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Maria Lenti, Ai piedi del faro

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Maria Lenti, Ai piedi del faro. Poesie, La Vita Felice, 2016

Chi legge Ai piedi del faro, la più recente raccolta di Maria Lenti, vede innanzitutto confermato il titolo, vale a dire la prospettiva dal basso scelta – ai piedi del faro, appunto – e tuttavia illuminata da un’ampia fonte di luce. Con i piedi ben piantati sulla terra, lo sguardo si volge al passato, al presente e al «futuro radiosato» e, allo stesso tempo, la mano scrive partiture per «sinfoniette» e ballate, senza disdegnare, bensì, al contrario, conferendo loro dignità, filastrocche e cantilene che ravvivano il loro passo guardando in volto, pensose, ridenti, malinconiche, indignate, sempre coraggiose, anche la crudezza della realtà. La poesia ironica dà la mano, in una ronde trascinante e serissima, alla poesia giocosa, il campo della fiera – campo di calcio – e la sua erba calpestata si alterna al valzer dei fiori. Le età della vita guardano, sagge nell’accettazione non supina, alle illusioni mendaci. Impegno politico, vocazione pedagogica e sorriso aperto diventano parola poetica, che intreccia idiomi e fa volare alto l’etimologia. La poesia amata delle radici si mescola agli austeri inventari, che si trasformano a loro volta in divertissement dai significati molteplici. Maria Lenti conduce il lettore in aree geografiche molto distanti tra di loro, attraversa e fa attraversare molti spazi del pensiero e dell’azione, provocando incontri inaspettati. Non lo fa attraverso accostamenti che cozzano l’uno con l’altro, non pigia il pedale sull’acceleratore dello straniamento; fa ricorso, piuttosto, allo strumento raffinato della coniugazione della parola. Chi legge partecipa attivamente alla scoperta del legame, alla realizzazione di un vero e proprio connubio, e non è azzardato ritenere che questa partecipazione attiva sia ricercata, richiesta da colei che scrive. In virtù di questa particolare abilità si snoda quasi per moto spontaneo il filo  tra il ‘giro del mondo dei nomi, degli oggetti e della memoria’ di Paese che vai ricordi che trovi e le poesie dedicate alla città natale, Urbino – Urbino, Mia città. «Maria-Mary», come si presenta alle bambine di Samarcanda, assicura la tenacia di questo filo; la donna che osserva le bambine giocare a “campana” in un vicolo sterrato della città uzbeca ha lo stesso sguardo sagace di colei che coglie la commedie umane delle persone fotografate in Ottobre al parco. Eredità, la poesia che riporta l’inventario, stilato da Domenico Lenti, antenato di Maria, degli oggetti rinvenuti nella casa di una donna processata per stregoneria nel 1647, tende così la mano a Cronaca: «In apertura la quindicenne rapita dal padre/ troppa modernità occidentale» e le Icone fiorite, un inno sapiente alle virtù dei fiori, assumono la veste di coraggioso controcanto – «respiro e riparo/ (da gazzette e da TG» di un brechtiano “discorso sugli alberi” in tempi oscuri. Dal gioco del calcio, confinata in porta, all’insegnamento, alla professione scelta e amata, esaltata nei lunedì successivi alle giornate di campionato, il filo si fa metafora della vita come partita non giocata e, insieme, giocata tutta e diventa, in un titolo che illumina tutta la raccolta, Due tempi… perfetti.

© Anna Maria Curci

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Sinfonietta

Torna a trovarmi
cuore fedele.

Da tempo manca alla mia mano
il tocco della tua lieve

la “fine del mondo” degli occhi
il corpo che lo ricopre
per farlo poi leggero
le dita che lo cercano
a leggerne contorni
la bocca che lo reclama
al gusto dello scambio
l’orecchio che lo risente
e ne ridice l’eco
lo sguardo che lo profila
in un disegno lieve

il seno che l’accoglie
l’anca che lo rivive
il fianco che lo serra
la voce che lo fa canto
la parola che lo nomina
nei suoi colori tenui.

Torna a scaldarmi
aspra dulcedo.

*

Per voce (ed eco)

Un battito d’ala solo
un battito soltanto nel trepestio
di sconti riscontri rendiconti
un respiro alito-vicinanza
gettare-tirare a riva qualche rete
un girotondo capriccio di bambini
un nero contingente da giocare
sentirsi nel gioco
del desiderare e fare
sul pieno di un insieme
insieme che eravamo.

*

Visita a domicilio

Sentita più che vista
una sera d’ottobre
un giro d’aria sulle braccia
un cono puntato sotto lo sterno
una frusta alle ginocchia
nella strada del Monte Pallotta.

Il sole che se ne va
la luna che sta salendo
la giornata
nostra che finisce
io ancora
a pigiare tasti che qualcosa
qualche cosa
tentano di suonare
tu sorella-madre
adocchiata dalla visitatrice.

*

Carta d’identità
(sottratta e rinnovata)

Nome, cognome, luogo e data di nascita?
Inalterati (Scriverei: beneamati)
Professione e Stato civile?
Omessi per la privacy (Scriverei: affetto)
Segni particolari?
n.n. (Scriverei: indignazione)
Altezza? Ancora quella.
(Scriverei: bassa e alta, per relatività)

«Colore di capelli?», continua l’impiegata d’anagrafe.
«Lei come li vede i miei capelli?»
«Brizzolati. Meglio: biondo scuro».
«Scriva così».
(Io li vedo ancora fulvi).

*

Allegro al tempo giusto

Piacere

– scarto i sinonimi
i verbi troppi e un po’ bugiardi –

lo gioco in rima sostantiva
carboniere
gabelliere
battelliere
candeliere
coppiere
giocoliere
romanziere
fontaniere
cocchiere
pasticciere
paroliere
barattiere
mitragliere

quanti -ere
(perfino bucaniere)
nel paniere.

*

Addì 20 marzo 2011

Sparano dalla tv
tutti quanti canali e giornalisti
un’altra guerra

non c’è voce contraria
contraddittorio
un “no” d’amico
una diversità politica
perché politica agisca
prima dei soldi

marginalità di vènti
di pensieri-avvertimenti

gridano, per di più,
le camarille
le canatterìe (chiedo scusa ai cani)

in coda, sottovoce, i morti arsi
bruciati a mille.

Primi resoconti dell’intervento in Libia.

*

Due tempi… perfetti

Mi destinavano, ahi loro!, a parare palloni,
duri di refe per le mie mani piccole,
nel campo della fiera, sportivo in altri giorni,
gli amici e compagni delle elementari.
Io, mia madre volata – per il prete e la maestra –
in cielo, ogni volta cercata,
io Mariolina, mai sola:
Corrado, Giampaolo, Ferruccio, Ireneo,
Riccardo, Lucio, Gilberto, Peppe, Gigina,
Tonia, Carla, Imelde, Franca, Anna,
a scuola di mattina, di pomeriggio lungo il fiume
– primavere calde e assolicchiate, sole d’estate –
a cercare sassi e anguille, a deviare acque,
a inventare vite a non finire.
… ma il calcio premeva nei maschi
e urgeva, uguale la forza,
l’amore per una sognatrice dal fiato corto.
«In porta. Tu, in porta.»
Seduta, li aspettavo in grembo, quei palloni,
non a destra o a sinistra delle mie gambe e braccia:
entravano oltre la riga come fiocchi di ovatta
o come dirigibili fischiavano alle orecchie.
Non giocavo mai la mia partita.

Il lunedì alla prima ora, scuole superiori,
io insegnante di italiano e storia (o latino)
li sentivo i miei studenti precipitarsi
nella serie A della domenica:
chi aveva vinto, chi perso,
chi si era lasciato sfuggire occasioni,
chi non aveva schemi, chi non aveva p…
Lezione improponibile.
… ma, studiando io, la mattina presto,
le gazzette sportive, preparavo l’anticipo su
Fabrizio, Daniele, Lorenzo,
Manuele, Giancarlo, Filippo, Toni, Fabio,
Rossano, Franco, Roberto, ecc.,
giocatori in proprio o in poltrona.
Spiattellavo squadre e il pallone ai piedi,
ridarella sui “no” sui “sì” sui “così così”,
facevo seria melina sulla classifica.
Le voci scomparivano alle mie sciocchezze.
Rimettevo in campo i miei pallini:
Catullo innamorato, le assenti nei libri storici, la poesia
Qualcuno s’assonnava, qualche altro si svegliava.
La mia partita la giocavo tutta.

*

Invito

Adesso, miei cari, il cielo s’è aperto
l’attesa pioggia di novità
inattese somiglianti a porte
prospettive di nessuna parte
parterre di nero-fumo
scolorito al ribasso
nell’alzo del tiro media voce
un sonoro-inquinamento-acustico
sgomento che attanaglia voci
e non solfeggia i timpani

è qui, miei cari, la disobbedienza
nel troppo-pieno di un corpo
paziente oltremisura
consunto concertato
sconfinato ancora adolescente
nel passo di ripresa e inseguimento

è il tempo, adesso, delle margherite
nel bicchiere perle d’acqua fresca.

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