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We are all made of bread

fonte Moby.com
fonte Moby.com

L’uomo infila la chiave nella toppa dell’appartamento. Gira la chiave e entra. Si toglie il casco da astronauta e lo appoggia sul tavolo accanto all’ingresso. L’uomo è calvo. L’uomo indossa una tuta bianca anche questa da astronauta, l’uomo somiglia a Moby. L’uomo è Moby. Si butta sul divano vestito così com’è. Un musicista astronauta su un divano di pelle. Pelle non nuovissima, un divano messo maluccio, potremmo dire. In effetti, questa, non sembra una casa da ricchi, eppure lui è Moby. Moby prende il telefono e ordina una pizza con peperoni e formaggio, come nei telefilm. Moby, o chi per lui, anche se sembra proprio lui, accende il televisore, fa zapping, poi si ferma su un canale: stanno trasmettendo un vecchio film italiano, Miseria e nobiltà, sottotitolato. C’è una scena in cui il protagonista, un attore molto bravo, che riesce a far ridere anche solo con la mimica, che fa lo scrivano per strada, deve scrivere una lettera per un campagnolo che si è trasferito in città, intanto manda il figlio a ordinare una pizza, anzi due, perché la lettera si annuncia lunga. Sono poveri e molto affamati. L’attore scoprirà presto, però, che l’uomo che detta non ha soldi per pagarlo; lo caccerà in malo (ma divertentissimo) modo.

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Moby ride di gusto, poi come ridestato da un sogno pensa allo scrivano che scrive per mangiare: per il pane, come si usava dire. Come tutti. Il fornaio fa il pane per il pane. Moby si ricorda del suo forno, di quando sfornava musica. Ci credeva, era tutta una questione di magia. La magia che ti faceva infornare il pane perché sapevi farlo, perché facendolo creavi qualcosa, e poi questa cosa, che era fatta pure d’odore, la davi agli altri. Non c’è buon pane senza odore, non c’è musica senza ritmo. Si alzò dal divano e si diresse alla finestra. Su retro della tuta c’era una scritta Mike – Hamburger and Stars. Guardava fuori, era passato un secolo, un lampo, un’astronave. Quello che era accaduto non lo ricordava e, pensò, non aveva più alcuna importanza. New York di notte era ancora la cosa più bella che lui avesse visto. Si voltò verso il televisore, l’attore italiano ballava stando in piedi su un tavolo, tra le mani teneva degli spaghetti cotti, alcuni li infilava in tasca.

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© Gianni Montieri

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Racconto scritto per il “Che ‘importa la gloria” di Progetto Santiago


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