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La Botte Piccola #8: Marguerite Yourcenar, ‘Anna, soror…’

La botte piccola contiene il vino buono, e questo non è, come si può pensare, un malcelato sfottò di consolazione: l’accoglienza costringe ogni minima particola di vino a venire prima o poi a contatto con le note del legno. Il racconto, la meno diluita delle forme, impone a se stesso la medesima procedura. Ci sono storie che pretendono questa e nessun’altra forma: alcuni autori l’hanno accolta come propria lungo l’intera carriera, altri l’hanno esplorata, come prova massima di controllo. Ciascun episodio di questa rubrica analizzerà un racconto, la sua capacità di essere incendiario quanto una poesia e appagante quanto un buon romanzo. Il sesto appuntamento è con il racconto Anna, soror… di Marguerite Yourcenar. Buona lettura.

annasoror

Nient’altro ci sarebbe da raccontare della sua trama:

«Cinque giorni e cinque notti di una felicità violenta riempivano della loro eco e del loro riflesso tutti i recessi dell’eternità.»

 Anna, soror…, racconto giovanile di Marguerite Yourcenar, pubblicato per la prima volta nel 1935 (poi 1981, quindi in Italia in Come l’acqua che scorre, Einaudi 1983), è il lineare racconto di una lunga premessa, e di un’ancora più lunga propaggine, a un unico, luminoso evento che accade durante i vent’anni della protagonista Anna: i cinque giorni di relazione amorosa da lei intrecciati con il fratello Miguel.A rendere perturbante il racconto della Yourcenar è la sua struttura assolutamente perfetta che accompagna e riecheggia la duplicità di tutte le componenti della scrittura. L’evento in sé è taciuto, delicatamente messo sotto elisione, ma attorno a lui – che nel libro è in posizione centrale – l’infanzia dei due ragazzini a Sant’Elmo attorno al 1570, e poi la vita di Anna, interamente concentrata su quei cinque giorni passati, ombrosa non per qualche forma di rimorso ma per il lutto che non ha intenzione di rimarginarsi. Questa struttura a clessidra permette al racconto di ampliarsi in maniera speculare, di fare perno su quell’unico grande momento e svilupparsi nel senso della doppia direzione. Tutto, nel racconto, è doppio, come ovviamente doppi sono i due fratelli/amanti. Doppio è anche il loro incontro, dopo un primo addio, quando – qui la Yourcenar inserisce una pennellata di realismo dove la maestria è pari solo alla tenerezza del risultato – una bonaccia impedisce a Don Miguel di partire e «risalì al forte Sant’Elmo, ma non dimenticò di legare alle imposte di Anna una lunga sciarpa che avrebbe schioccato al vento». Doppia è Napoli, splendida a percorrerla e accettata nella sua calma claustrale nel forte Sant’Elmo; doppi sono i sentimenti dei napoletani per la famiglia protagonista del racconto, nel loro astio verso Don Alvaro e la loro ammirazione affascinata per la figlia Anna. Sfumati di doppio sono anche i comportamenti dei personaggi, non tanto in quelli maschili, con un Don Alvaro che si redime dai suoi atteggiamenti sgarbati con la vita monacale o Don Miguel che tenta di allontanare il suo sentimento mostrandosi schivo e violento. È il delicato tratteggio delle donne a fare di loro dei personaggi caleidoscopici. Valentina, madre di Anna, «era stata educata a Urbino nella più raffinata società cortese, tra manoscritti antichi, conversazioni dotte e viole d’amore. Gli ultimi versi di Pietro Bembo, in punto di morte, furono composti per celebrare la sua prossima venuta al mondo. La madre, appena rimessasi dal parto, la condusse a Roma, al convento di Sant’Anna. Una donna pallida, la bocca segnata da una piega triste, prese la bambina tra le braccia e le impartì la sua benedizione. Era Vittoria Colonna, vedova di Ferrante D’Avalos, il vincitore di Pavia, e mistica amica di Michelangelo. Dall’essere cresciuta a fianco di questa Musa austera, Valentina trasse, ancora giovane, una singolare gravità e la calma di coloro che non aspirano nemmeno alla felicità». Nella donna convivono obbedienza maritale – che per lei si è tradotta in vita quasi monastica – amore appassionato per i figli, fede religiosa e lettura dei testi degli antichi con cui ha allevato i bambini. Così Anna, adulta, sarà moglie obbediente e per nulla innamorata, e saprà convivere con la passione mai spenta per il fratello e la devozione. Il fervore religioso è ben presente nei due fratelli, descritto negli atti come nei paramenti di casa, e il suo basso continuo permette alla narratrice di notare, la notte della loro unione, il cielo «risplendente di piaghe» del Venerdì Santo; Anna, soror… non è un libro sul rimorso dell’incesto, neanche per due giovani della Controriforma.

C’è un piccolo episodio, tuttavia, che nell’economia simmetrica del racconto sembra isolato e contribuisce, una volta depositato nell’immaginazione del lettore, a creare un alone tossico all’intera storia: è l’incontro, nella prima parte, di Don Miguel con la ragazza delle vipere, incontro profetico e febbrile che punge i nervi di un Don Miguel già al limite dell’esaurimento per la sua passione. Il brano è marchiato da una profonda differenza con il resto del racconto, può dividere i lettori, chi scrive lo considera probabilmente l’apice delle pagine e una sezione senza la quale il racconto avrebbe perso molto dell’atmosfera onirica che lo caratterizza. In origine il brano era più lungo, e la stessa Yourcenar nella postfazione al racconto spiega di averlo ridotto perché leggermente fuori contesto, «qualcosa dell’appretto che hanno “i Sogni” nelle tragedie di una volta». E così dice di altre cose:

La prima Anna apparteneva ancora all’epoca in cui, alle prese con un immenso affresco destinato a rimanere incompiuto, scrivevo rapidamente, senza preoccupazioni compositive o stilistiche, attingendo direttamente a non so quale fonte che avevo dentro. Fu solamente più tardi, a partire da Alexis che mi sono messa alla rigida scuola del racconto alla francese; ed è ancora più tardi verso il 1932, che mi sono dedicata a ricerche di tecnica poetica dissimulata nella prosa, che a volte ne è rimasta rattrappita. Il testo del 1935 portava il segno di questi metodi diversi: avevo compresso certe frasi, come attraverso una serie di giri di vite, col rischio di farle scoppiare; un tentativo maldestro di stilizzazione irrigidiva qua e là l’atteggiamento dei personaggi. La maggior parte delle correzioni del 1980 è servita ad ammorbidire alcuni passaggi.

Altre riflessioni, in questa preziosa postfazione, altre aggiunte, come alcuni particolari «strettamente legati al luogo e al tempo». E la considerazione su come il primo impulso alla scrittura sia nato attraverso un vero e proprio senso di possessione da parte dei personaggi, con i quali l’autrice aveva stretto una convivenza mentale. Tangibile e vera, come l’esistenza prensile di Anna e Miguel per il lettore ben oltre la chiusura del libro.

© Giovanna Amato