David Peace, Fantasma, il Saggiatore, Milano 2016 – € 17.00, ebook € 7,99
Composto di quattro racconti e un breve saggio finale, Fantasma, tradotto da Matteo Battarra, è un “romanzo di racconti”, potremmo dire; racconti che in realtà sembrano portare lontano dalla forma del romanzo. «Il romanzo come forma ha iniziato a deprimermi», ha avuto modo di dichiarare Peace, recentemente. Spingere il romanzo oltre i propri limiti, dunque, sembra essere il compito oggi avvertito dall’autore inglese.
Lo scrittore appare come investigatore: «gli investigatori e gli scrittori hanno di certo molto in comune… In modi diversi, entrambi cercano la verità…» (p. 52). E qui nasce il tremore, il tremendo, l’essenza scura e ineludibile che nutre la mente, la favola che la coinvolge interamente, la paura che ne domina l’intelletto e impongono alle dita dello scrittore di muoversi.
Quanto a tecnica di scrittura, Peace afferma di scrivere come se si trattasse di poesia e soltanto successivamente di mettere tutto assieme, di pensare al plot e alla creazione del mistero.
Ha scelto il racconto – dice – anche perché è diventato più lento e meditato nella scrittura.
Lo stile linguisticamente martellante di Peace pare qui ammorbidirsi, come smorzato, più pacato. Solo in parte, però. Basti pensare ad esempio al nome del protagonista, Ryūnosuke (Ryūnosuke Akutagawa, grande scrittore giapponese morto suicida a trentacinque anni, nel 1927) ripetuto ottantatré volte in cinque pagine (pp. 54-58). Ma per quanto in generale più rarefatta, l’aria della sua scrittura è ancora oggi il frutto della distillazione della sconfitta. È la meccanica sottile e segreta della perdita, infatti, e in modo sublime, a dettare il respiro di queste pagine. E sebbene più lieve nell’incedere, ogni momento della scrittura è puntuale, perfettamente in accordo col senso di disfacimento di un mondo, o forse del mondo.
Fantasma si compone così di un respiro tutto suo: il fiato rotto in un fraseggio di proposizioni spesso costituite di due-tre parti, separate da una-due virgole (soprattutto in Dopo la guerra, prima della guerra). Frasi assertive e piane che portano il tempo tutto a un immanente presente, dove la meccanica della perdita, appunto, si fa nitida nei suoi contorni.
Potrà forse apparire strano, dopo quanto detto, eppure sembra dedicarsi ai piccoli, la tensione di questa scrittura, ai bambini. Nelle figure e nel ritmo, e almeno in parte nel contenuto. Lo dice anche, Peace: «Venite, parlo a voi».
Il tema è il doppio, tema nuovo e antico, collocato già nel dopo e nel prima diventati un solo tasto continuamente battuto nel titolo dei quattro racconti. Da questo tasto ecco provenire il suono del diabolico, del diviso, della disunione. In un modo che ha dell’inesorabile, contrariamente al portato del simbolico, della riunione, della riconciliazione di tutti i segni e dei significati. È il groviglio dell’Occidente, del tramontante, probabilmente, a dominare, e del nostro intelletto al suo cospetto.
Vediamo all’inizio Gesù, in compagnia di Buddha, comparire in lacrime: guarda attraverso l’acqua di un lago cristallino. E lo vediamo poi tornare nel libro, sempre sull’acqua e in lacrime.
La citazione in esergo, tratta da Kappa, una delle ultime opere di Akutagawa, anno 1927, è un’immagine suggestiva e se possibile ancor più chiara per condurci al nodo forse centrale del libro:
Tra i fiori di palma, tra le canne di bambù,
Buddha si è appena addormentato…
Sul ciglio della strada, sotto un fico appassito,
anche Cristo, e sembra quasi morto.
Il nodo, e il suo scioglimento. A pagina 46 Peace lo fa dire a Jones, uno dei due accompagnatori di Ryūnosuke in visita a Shanghai: «L’Oriente e l’Occidente non possono riconciliarsi. Ti spezzeranno in due, Ryūnosuke». E tutto resta nel diavolo della mente, nella sua verità buia.
Ryūnosuke stesso, per intero, è figura fantasmatica che viene a visitarci tra queste pagine dalla dimensione del sempre, del sempre presente. Chi è, cos’è, dunque, il fantasma? Qualcosa di sparito che torna, che non c’è ed è ovunque, antico presente e predizione del futuro.
Cristiano Poletti
__
David Peace è nato in Inghilterra nel 1967, a Ossett, nel West Yorkshire, e dal 1994 vive a Tokyo.
Dal 1999 al 2002 ha pubblicato il cosiddetto Red Riding Quartet, quadrilogia di romanzi neri dominati dall’implacabilità del male, portata in luce mediante soprattutto l’efferatezza dei delitti operati dallo Squartatore dello Yorkshire. Peace, attraverso questo lavoro, disegna del periodo 1974-83 la parabola di una società inglese che si sta trasformando.
Nel 2004, con GB84, affronta poi un momento essenziale della storia britannica recente: lo sciopero dei minatori negli anni ’84-’85.
Il maledetto United (2006) è invece incentrato sui drammatici 44 giorni del 1974 in cui allenatore del Leeds United fu Brian Clough. Rivalità, ammutinamenti, infine l’esonero. Si legano calcio e storia, e di nuovo indagata a fondo è la società inglese.
Come in Red or dead (2013), sul Liverpool Football Club: anche qui si tratta non tanto e non solo di calcio. Peace canta sì l’ascesa del glorioso Club e di Bill Shankly, allenatore dal ’59 al ’74, ma in luce si pongono l’ossessione totalizzante di un uomo. Giorno dopo giorno, notte dopo notte, fino alla separazione, inattesa e scioccante.
Nel 2007 ha avviato la cosiddetta Trilogia di Tokyo, di cui sono ad oggi state pubblicate due opere.
__