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Reloaded – riproposte natalizie #5 – ALTRI DOVE E RITAGLI # 4 – AYSEL

Come è già avvenuto la scorsa estate facciamo una piccola pausa natalizia rispetto alla programmazione ordinaria, sfruttando i giorni che vanno dal 24/12 al 06/01 per riproporre articoli che ci sono particolarmente piaciuti o che, secondo noi, meritano un secondo giro d’attenzione. Buone feste e buona lettura, la programmazione ordinaria ricomincerà il 7 gennaio 2015. (la redazione)

spine

La delusione, l’insoddisfazione e la tristezza, questa mattina la fanno da padrone dentro e fuori Clementina. Potremmo definirla fantasma.
Fantasma vitale.
Si muove velocemente: capelli riavviati a casaccio, niente trucco, piega amara alle labbra.
Finito il suo lavoro, si prepara per uscire lasciando il resto da completare a chi ha più ore da fare.
Come sempre passa dall’entrata principale, dove solitamente incontra Aysel, una signora sulla cinquantina di nazionalità turca; lei che, nel corso delle ultime settimane, era riuscita con perseveranza e nonostante il suo tedesco incerto, a dirle di sé in brevi spezzoni mattutini inseriti tra i saluti di rito.
Le aveva raccontato dei suoi cinque figli rimarcando quel numero con il palmo della mano aperta e affannandosi, contando dito per dito, a precisarle con orgoglio di come già tre di loro stessero lavorando: uno in banca, pollice, uno in una grande catena di negozi, indice, e l’altro, dito medio, alla Ford.


Infine, come a scusarsi, guardava dolcemente e con vero e inaspettato interesse, le due dita mancanti alla conta e aggiungeva che i restanti due studiavano ancora ma subito si affrettava a rassicurarla su quanto anche questi ultimi si stessero dando da fare per meritare quella vita alla quale Aysel, eroicamente, non dava alcun aggettivo negativo, ma che Clementina sapeva impietosa: quella stessa vita che la chiamava fuori dal letto all’alba di ogni giorno per andare a fare pulizia negli uffici dei lavoratori della classe dirigente.

Non vedeva Aysel già da un po’ di mattine, la immaginava partita per le sue tanto attese vacanze in Turchia, dove finalmente avrebbe riabbracciato genitori e famiglia tutta, perciò vederla stamani la coglie di sorpresa e realizza subito di quanto si fosse autonomamente convinta di qualcosa che non era.
Non sa perché sia mancata e, a dirla tutta, neppure le importa saperlo.
Potrebbe chiederglielo, ma dato il suo tedesco incerottato e quello di Aysel non certo meglio, decide di lasciar andare. In fin dei conti non le interessa dilungarsi troppo per raccontarle cosa avesse creduto, né tantomeno rovistare nella sua vita per conoscere quale altro motivo l’avesse tenuta lontana dal lavoro.
“Ho già i miei problemi, io” rimugina Clementina, che a passo deciso si avvia verso l’uscita osservando Aysel: il capo e il collo sono come sempre coperti da un foulard colorato di spento, scelta di colori dovuta probabilmente alla sua età, ma negli occhi neri sempre accesi e attenti è la sua rivincita.
Ha già l’aspetto stanco di lavoro e di levataccia, eppure i suoi movimenti restano svelti e determinati, quasi caparbi.
Le sorride e in un tedesco sicuro, dettato solo dalla certezza che vigliaccamente si guadagna al cospetto dell’altrui debolezza linguistica, le lancia uno spavaldo:
«Ciao, come va, tutto bene?»
Anche Aysel sorride, rispondendo con un cenno silenzioso al saluto e aperta la porta per uscire, si avvicina quasi che avesse qualcosa da aggiungere, e qualcosa c’è: le dice che è stata in ospedale, un calo di pressione pericoloso; ha l’espressione di una bambina che racconta alle compagne di classe di avere avuto la febbre alta, arriva a volerle dire il numero preciso dei valori delle analisi che l’avevano costretta al ricovero.
Clementina la guarda seria, le raccomanda di riguardarsi e di non fare scherzi, poi non sa aggiungere altro se non una lieve carezza sulla guancia semicoperta dal velo. In un lampo d’intima vergogna, riflette su tutti i suoi pensieri vittimistici in merito alla vita, sull’amarezza dalla quale si lascia troppo spesso irretire e sull’inutilità di quel pensare perlopiù sterile.
Aysel, bambina grande, ha sentito la necessità di raccontarle che era stata male. Per quale motivo avrebbe mai dovuto farlo, se non per avere conforto e così combattere, a suo modo, il disagio e la solitudine interiore?

Esce alla luce del mattino, respira l’aria.
In questo suo respiro tanto naturale da essere dimenticato è forse possibile ritrovare uno sguardo verso l’esterno e ciò che vive là fuori, più che solo rivolto alle piccolezze che, nostro malgrado, si fanno fulcro, oggetto e soggetto a ogni giro delle lancette del nostro ego-orologio.

La primavera si avvicina, ma è freddo. Ancora.

 

 

Clelia Pierangela Pieri

 

Pubblicato in origine il  30 giugno 2014


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