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Dai margini # 1 – Christine Lavant

Con la rubrica “Dai margini”, che si apre oggi qui con Christine Lavant, Poetarum Silva si propone di diffondere la conoscenza di autori che hanno seguito percorsi inconsueti, ai margini delle correnti più diffuse.

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Dai margini # 1 – Christine Lavant
di Anna Maria Curci

Di lei scrisse Thomas Bernhard: «è la testimonianza semplicissima di una persona che subì la violenza di tutti i buoni spiriti, sotto forma di grande poesia, una poesia che non è ancora conosciuta nel mondo come meriterebbe.» Ho conosciuto Christine Lavant leggendo di lei nel museo che a Klagenfurt custodisce testimonianze di e su scrittori noti della Carinzia, dove le sue tracce si trovano accanto, per essere più espliciti, a due illustri figli di Klagenfurt, Robert Musil e Ingeborg Bachmann. Dapprima mi sono accostata alla prosa di Christine Lavant, leggendo i racconti pubblicati in traduzione italiana da Zandonai nel volume Nell. In quella occasione, tramite il saggio introduttivo «Ho bisogno di un essere umano, finché non avrò Dio». Il linguaggio salvifico di Christine Lavant, è avvenuto anche il mio primo incontro con l’autrice del saggio, Marica Bodrožić, di cui ho letto, subito incuriosita, prosa e poesia. Ho rivolto poi lo sguardo alla  poesia, che ho provato a rendere in italiano, di Christine Lavant. La sua è una scrittura che racchiude gli opposti: quieta e potente, lieve e incisiva, ascetica e concreta, è preghiera umile e ribelle. Alla ricerca del volto di Dio, lo sguardo si sofferma sull’esistente con slancio estatico e acume critico, visionarietà vertiginosa e sinestesie corpose. Sguardo ossimorico, questo, che si conferma nei suoi Appunti da un manicomio.  In una lettera non datata alla poetessa Hilde Domin, che Marica Bodrožić nel saggio menzionato definisce “sua amica fidata”, Lavant scrive: «Nulla cambia nell’esistente: per uno dei molti canali della creatività che si occlude, se ne aprono sempre di nuovi.»

Ho scelto, per questo incontro “Dai margini” con l’opera di Christine Lavant, l’incipit di un racconto e alcune sue liriche. Il brano del racconto è nella traduzione di Fabio Cremonesi e Umberto Gandini. Le poesie, presentate prima nella versione italiana e poi nell’originale in tedesco,  sono tutte nella mia traduzione.

© Anna Maria Curci

* * *

Rosa Berchtold

Rosa Berchtold quella mattina aveva trovato sul suo tavolo da lavoro la seguente nota: «Un tailleur primaverile elegante in gabardine di lana. Gonna leggermente scampanata, giacca molto ampia con collo alto a listino. Taglia 42-44. Occorrono 3 m di tessuto alto 140 cm». Rimase a guardare per alcuni minuti la pagina della rivista di moda su cui c’era il modello richiesto, segnato a matita rossa, ma appena si accorse che Berta e Maria la fissavano con aria un po’ beffarda, vinse il proprio disagio e, non senza una certa solennità, passò davanti alle due e si recò al telefono. Il caporeparto Blümlein fu perfino gentile con lei. Le fece piacere udire la sua voce burrosa e gentile, e quando lui la pregò di andare lei stessa a prendere la stoffa, non le parve una pretesa eccessiva, anzi, gliene fu grata. Berta e Maria avevano già steso le loro stoffe e in quel momento sembravano molto pensierose. Rosa all’improvviso sentì il bisogno di dire una parola gentile, ma come al solito non le venne in mente niente di adatto, quindi lasciò il locale in assoluto silenzio e, colma di dolcezza, chiuse la porta. Dalla finestra sulle scale si vedeva il giardino del titolare della ditta, in cui erano già sbocciati dei narcisi bianchi, e dei fiori gialli sui cespugli. Lo osservò timidamente e pensò che non avrebbe mai avuto un giardino del genere. Anche le gialle torri della villa con i loro tetti in rame la spingevano a fare dei paragoni che si lasciavano dietro una tristezza desolata. Non si faceva illusioni, e anzi, sapeva bene che avrebbe dovuto lavorare per lo meno altri cinque anni, rinunciando a tutto, solo per potersi comprare una casetta in legno del tipo più economico. Naturalmente non avrebbe avuto neppure una torre e in giardino ci sarebbero state al massimo un paio di aiuole per la verdura. Ma nemmeno questo era sicuro, perché ultimamente si ricominciava a parlare di licenziamenti. Era difficile che toccasse a Berta e Maria, avevano imparato il loro mestiere, e per giunta andavano più d’accordo di lei con la signorina Bibiana. Rosa ammetteva anche di aver perso molto la mano negli anni di guerra, durante i quali aveva lavorato in una fabbrica di munizioni, e per questo era sempre molto in apprensione quando doveva tagliare una stoffa costosa. Inoltre la signorina Bibiana le aveva detto fin dal primo giorno che qualsiasi tessuto sprecato o cucito male le sarebbe stato detratto dal salario, ovviamente insieme al tempo perso. Finora Rosa in realtà aveva dovuto lavorare solo tagli facili e non costosi, ma stavolta si trattava di gabardine di lana. Probabilmente quella verde oliva, che aveva già ammirato qualche volta nella vetrina degli articoli di lusso. Rabbrividì entrando nel reparto tessuti. Ma il signor Blümlein, che stava servendo una cliente, le fece cenno con i suoi freddi, minuscoli occhi azzurri. Il buon profumo della signora si diffondeva in tutto il reparto, e le sue unghie dipinte di rosso spiccavano sul verde oliva come fiori esotici. «Sì, è un colore molto in voga quest’anno» disse Blümlein mentre sistemava con un gesto assai discreto alcune pieghe del tessuto sulle spalle della signora. Lei fece mezzo giro di fronte allo specchio, e Rosa pensò di non aver mai visto un volto così bello. Blümlein fece un cenno più brusco con gli occhi, scrisse rapidamente un messaggio sul suo bloc notes e lo sospinse verso Rosa. «Guardi bene, tenga d’occhio le misure, faccia attenzione soprattutto all’ampiezza delle spalle, è la probabile indossatrice di quest’anno. Profuga dai Paesi baltici!»

Christine Lavant, Rosa Berchtold, traduzione di Fabio Cremonesi, in: Christine Lavant, Nell, traduzione di Fabio Cremonesi e Umberto Gandini, Zandonai Editore, Rovereto 2009, 95-96

* * *

C’è odor di neve…

C’è odor di neve, pende il pomo del sole
così bello e rosso ai vetri della mia finestra;
se ora scaccio da me la febbre,
questa diventa una donnola, che il vicino cattura,
e non ci sarà nessuno a scaldare le mie dita fredde.
Forse per il villaggio passan cantando oggi i bimbi come Magi
e certo arriveranno anche dalle mie sorelle.
Sono un po’ più triste di ieri,
eppure mi manca tanto per essere devota.
Il pomo, mi piacerebbe farlo entrare
e vorrei odorare la buccia di nascosto,
solo per annusare che sapore ha il cielo.
La donnola si rannicchia selvatica e stanata,
e forse ora striscerà dal vicino
perché il mio cuore così stretto si contrae.
Chissà se il cielo si inginocchia,
quando si è troppo deboli per giungere in cima?
Il pomo, l’ha preso qualcun altro…
eppure in fin dei conti la mia stanza è buona
e forse molto più calda di un albero pieno di neve.
Anche a me fa male solo mezza testa
e inoltre nel mio sangue
il sonno va su e giù con un fiore
e solo per me canta i canti dei Magi.

Es riecht nach Schnee…

Es riecht nach Schnee, der Sonnenapfel hängt
so schön und rot vor meiner Fensterscheibe;
wenn ich das Fieber jetzt aus mir vertreibe,
wird es ein Wiesel, das der Nachbar fängt,
und niemand wärmt dann meine kalten Finger.
Durchs Dorf gehn heute wohl die Sternensinger
und kommen sicher auch zu meinen Schwestern.
Ein wenig bin ich trauriger als gestern,
doch lange nicht genug, um fromm zu sein.
Den Apfel nähme ich wohl gern herein
und möchte heimlich an der Schale riechen,
bloß um zu wissen, wie der Himmel schmeckt.
Das Wiesel duckt sich wild und aufgeschreckt
und wird vielleicht nun doch zum Nachbar kriechen,
weil sich mein Herz so eng zusammenzieht.
Ich weiß nicht, ob der Himmel niederkniet,
wenn man zu schwach ist, um hinaufzukommen?
Den Apfel hat schon jemand weggenommen …
Doch eigentlich ist meine Stube gut
und wohl viel wärmer als ein Baum voll Schnee.
Mir tut auch nur der halbe Schädel weh
und außerdem geht jetzt in meinem Blut
der Schlaf mit einer Blume auf und nieder
und singt für mich allein die Sternenlieder.

* * *

La ciotola del mendicante

Tendi l’orecchio, è la ciotola vuota del mendico,
per metà ancora di fango, ma già mezza di pietra
e a te ogni volta tamburella
canti di fame tra pane e vino.
Non distogliere lo sguardo e non fare il sordo!
Da tempo le tue dita sussultano vogliose,
senza controllo ti danza nelle froge
superbia da mendico e furto disdegnato.
Continua solo a spezzare il pane lodato!
Da cima a fondo è già inacidito
dal sale che mi fa sfregare gli occhi
e minaccia di riempire la mia ciotola.
Quando il tamburo all’improvviso il suono smorza
nessun pasto più sulla terra gusto avrà
e il tuo cuore per moto proprio si arrotonderà
nella mano che al mendicare ti forza.

Die Bettlerschale

Horch! das ist die leere Bettlerschale,
halb aus Lehm noch, aber halb schon Stein
und sie trommelt dir bei jedem Male
Hungerlieder zwischen Brot und Wein.
Blick nicht weg und stelle dich nicht taub!
Deine Zehen zucken längst schon lüstern,
eigenmächtig tanzt in deinen Nüstern
Bettler-Hochmut und verschmähter Raub.
Brich nur weiter das gelobte Brot!
Es ist durch und durch schon angesäuert
von dem Salz, das meine Augen scheuert
und die Schale anzufüllen droht.
Wenn die Trommel plötzlich nicht mehr klingt,
wird kein Mahl auf Erden dir mehr munden
und dein Herz wird sich von selber runden
in der Hand, die dich zum Betteln zwingt.

* *  *

[Giallo ambra è il sangue della terra…]

Giallo ambra è il sangue della terra,
infuso di papavero goccia da tutte le specie di gioia
nel tempo, giardino sempreverde,
cresce la mela che io coglierò.

Devo prima, da invetriate ore,
mestizia e assenzio trapiantarti in cuore,
mentre danzano stelle per il mezzogiorno
che la fame ha sciolto in noi.

Presso i nidi di vespe e calabroni
il mio pensiero ruba qualche favo incolto
per avere un pane per te e per me,
e butta sangue giallo la terra come ieri.

Bevi con me tutte le specie di gioia!
Mestizia e assenzio crescono ora per conto proprio,
anche la mela si fa sempre più gialla,
quando è matura, sta la morte nel giardino.

Oh, noi li mangeremo estasiati,
la mela e la morte e i semi neri –
eppure il fuoco delle nostre stelle di fame
arrosserà il sangue della terra e lo moltiplicherà.

[Bernsteingelb ist das Geblüt der Erde…]

Bernsteingelb ist das Geblüt der Erde,
Mohnsud tropft aus allen Freudenarten
in der Zeit, dem immergrünen Garten,
wächst der Apfel, den ich pflücken werde.
Muß zuvor aus überglasten Stunden
Weh- und Wermut in dein Herz verpflanzen,
während Sterne durch den Mittag tanzen,
die der Hunger in uns losgebunden.
Bei den Hornissen- und Wespennestern
stiehlt mein Denken ein paar wilde Waben,
um ein Brot für dich und mich zu haben,
und die Erde blutet gelb wie gestern.
Trink mit mir von allen Freudenarten!
Weh- und Wermut wachsen jetzt von selber,
auch der Apfel wird schon immer gelber,
wenn er reif ist, steht der Tod im Garten.
Oh, wir werden sie verzückt verzehren,
Tod und Apfel und die schwarzen Kerne –
doch das Feuer unsrer Hungersterne
wird das Erdblut röten und vermehren.

* * *

Dov’è la mia parte di luce, Signore?

Dov’è la mia parte di luce, Signore?
Anche io voglio arrivare a casa!
Il mio bastone da ciechi è andato alla deriva
la luna piena è calata intempestiva
possente cresce il dorso dei monti.
Da lungo tempo passo notti insonni
e, frutto ormai andato per stanchezza,
potrei mettere al mondo la morte
ogni volta che il respiro grida in me,
Fa che non duri in eterno!
Dammi la luce che mi porta a casa
pur se acuta trafigge il cristallino opaco
e la memoria mi affligge.
Sai che non mi serve una casa celeste,
mostrami il rifugio di un topo
prima che mi lapidi il giorno.

Wo ist mein Anteil, Herr, am Licht ?

Wo ist mein Anteil, Herr, am Licht ?
Ich will doch auch nach Hause kommen !
Mein Blindenstock ist weggeschwommen
unzeitig sank das Mondgesicht
Bergrücken wachsen mächtig.
Längst bin ich übernächtig
und überreif vor Müdigkeit
sooft der Atem in mir schreit
könnt ich den Tod gebären.
Laß das nicht ewig währen !
Verschaffe mir mein Heimweglicht
auch wenn es grell den Traumstar sticht
und mein Gedächtnis peinigt.
Du weißt, ich brauch kein Himmelshaus
zeig mir das Obdach einer Maus
bevor der Tag mich steinigt.

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«Christine Lavant (pseudonimo di Christine Habernig), nata a il 4 luglio 1915 a Groß Edling presso St. Stefan nella valle Lavant (Carinzia), morta a Wolfsberg (Carinzia) il 17 giugno 1976.

La vita di Christine Lavant è segnata dalla povertà e dalla malattia. Nona figlia di un minatore, fin dalla nascita conobbe la sofferenza delle malattie, visse un’esistenza nel perenne ruolo dei deboli, dei bisognosi di aiuto. Crebbe in un ambiente rigidamente cristiano, con il quale non riuscì a identificarsi. Se è vero che le sue poesie e le sue opere in prosa, caratterizzate da un linguaggio densamente metaforico, hanno per argomento un patrimonio culturale cristiano, esso viene ampliato in direzione di una religiosità naturale contraddistinta dal desiderio di sicurezza e di calore. La letteratura è per Lavant un modo di affrontare l’esistenza; negli anni che hanno immediatamente preceduto la sua morte ha rinunciato consapevolmente a questo mezzo di espressione.

Opere: Poesia: Die unvollendete Liebe, 1949, Die Bettlerschale, 1956, Spindel im Mond, 1959, Der Sonnenvogel, 1960, Der Pfauenschrei, 1962, Hälfte des Herzens, 1966 – RaccontiDas Kind, 1948, Das Krüglein, 1949, Maria Katharina, 1950, Baruscha, 1952, Die Rosenkugel, 1956, Wirf ab den Lehm, 1961, Das Ringelspiel, 1963, Nell, 1969 – Raccolte ed edizioni delle opere: Kunst wie meine ist nur verstümmeltes Leben. Nachgelassene und verstreut veröffentlichte Gedichte – Prosa – Briefe, 1978, Versuchung der Sterne, 1984, Gedichte, 1988, Das Kind. Erzählungen, 1989»

da: Manfred Brauneck (a cura di), Autorenlexikon deutschsprachiger Literatur des 20. Jahrhunderts, Rowohlt, Reinbeck bei Hamburg. ed. 1991, p. 458, trad. di Anna Maria Curci)

Alcuni link per proseguire la ricerca “dai margini”

http://www.goethe.de/ins/it/lp/prj/lit/ueb/lm1/lav/itindex.htm

http://www.radio3.rai.it/dl/radio3/programmi/puntata/ContentItem-f7e8abca-1c88-414f-9c3a-556acf9009c4.html

Anna Maria Curci traduce Christine Lavant .

http://www.lankelot.eu/letteratura/lavant-christine-appunti-da-un-manicomio.html

http://www.forumeditrice.it/percorsi/lingua-e-letteratura/oltre/appunti-da-un-manicomio/christine-lavant-appunti-di-umanita-da-un-manicomio-subito-per-libera-scelta/file

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