
In Apulien #5: Paz in Capitanata
Trommeln in den Höhlenstädten trommeln ohne Unterlaß
weißes Brot und schwarze Lippen
Kinder in den Futterkrippen
will der Fliegenschwarm zum Fraß
Tamburi nelle città cave rullano senza sostare
pane bianco e labbra nere
nelle greppie bimbi a schiere
vuole di mosche il nugolo gustare
Ingeborg Bachmann, In Apulien
(traduzione di Anna Maria Curci)
Questa rubrica propone itinerari di lettura tra voci della terra di Puglia. Alcune di queste sono note, altre meno, altre ancora sono state troppo presto dimenticate.
La quinta tappa è dedicata al genio di Andrea Pazienza. Qualcuno si domanderà quale sia il nesso tra Paz e la rubrica “In Apulien”. Andrea Pazienza è nato a San Benedetto del Tronto, è morto a Montepulciano, all’età di tredici anni ha cominciato a frequentare il liceo artistico a Pescara, il suo itinerario artistico ha legami profondi con la città di Bologna e l’esperienza del DAMS. Allora? Allora è lo stesso Andrea Pazienza a dichiarare la sua appartenenza alla terra paterna, in particolare alle località di San Severo e San Menaio, entrambe in provincia di Foggia. Sono dichiarazioni in perfetto equilibrio tra ironia e coinvolgimento, sia le rime dedicate a San Severo, in Storiellet:
Oh San Severo,
la città del mio pensiero,
dove prospera la vite
e l’inverno è alquanto mite
sia la spiritosa contraffazione della propria autobiografia, apparsa nel supplemento al numero di «Il Male» del 2 febbraio 1981:
«Andrea Pazienza è nato a San Menaio (FG) ed è praticamente pugliese, pur vivendo tra Bologna e New York. Alto 1,86 cm. ha frequentato il liceo artistico di Pescara, rivelandosi presto un enfant prodige. Colto e brillante, pratica molti sport, nessuno escluso. Come tutti gli artisti dei Gemelli è del segno dei Gemelli con ascendente Sagittario. Freddo e calcolatore, ha fatto mostre a Pescara, San Benedetto, Ascoli Piceno, Vasto Marina, Monte Silva ed altre località della riviera adriatica. Dopo la pittura si è dedicato al fumetto mietendo successi e grano. Come ama ripetere nulla gli è impossibile, solo che non ha molta voglia. Il suo hobby è andare in bicicletta, anche perché non ha la macchina e gli hanno fregato il vespino. È stato in Inghilterra, Francia; Spagna, Jugoslavia, Marocco, Svizzera e Stati Uniti. Ha collaborato ad Alter, e al Male. È stato tra i fondatori della rivista Cannibale ed attualmente è redattore del mensile Frigidaire. essendo così giovane, 24 anni, la sua carriera può definirsi senz’altro folgorante. Sotto l’aspetto fatuo e salottiero nasconde abilmente torbidi legami con il movimento del ’77 e con altri movimenti analoghi.»
Sia ben chiaro: la parola ‘appartenenza’ è da intendere, come tutto quel che riguarda Paz, nel modo che gli è proprio, vale a dire emancipato con spiritosa ferocia da qualsiasi visione tradizionale e, allo stesso tempo, totalmente consapevole delle scelte compiute da “anatra migrante”.
“La foglia sorrise, era la prima volta di ogni cosa”: questo verso da La mela di Odessa degli Area mi torna in mente ogni volta che leggo un testo di Andrea Pazienza o ascolto una delle interviste che ci sono rimaste di lui.
L’impatto della parola pronunciata, del segno tracciato per la prima volta. È stata solo un’illusione, questa, contro la quale la mia generazione si è schiantata più o meno ingloriosamente? Qui mi preme piuttosto manifestare il nitore della visione, la sua forza profetica – la vignetta del 1979 scelta come immagine di questa quinta tappa ne è una dimostrazione evidente – a dispetto di tutte le accuse di disumana durezza. Prima volta, sì, ma con la sapienza di chi ha letto, ha osservato, ha ascoltato, ne ha fatto tesoro, di chi non ha timori reverenziali, ma neanche la memoria a maglie larghe. Rileggere le tavole di Zanardi – anche ora, proprio ora che sono nella prospettiva ‘altra’ rispetto alla cattedra – e cogliere il guizzo di chi sa oltrepassare in fecondo cinismo il Franti di Cuore, pur elogiato da Umberto Eco, è una cosa sola. Bene fa Lea Durante ad affermare nel capitolo dedicato ad Andrea Pazienza nella sezione La scrittura narrativa in Capitanata del volume Letteratura del Novecento in Puglia: «L’ambiente della scuola diventa ancora una volta occasione di lavoro sulla lingua, di creazione di parole» (p. 142). Prima volta, sì, ma con la pazienza di chi sa aspettare “la preda più ambita”, pronto a disegnarla se esce dall’acqua. Un’immagine, quest’ultima, che l’amico Stefano Benni sceglie per Andrea Pazienza nel suo racconto Paz e la carpa Nan Ch’ai, pubblicato per la prima volta sulla rivista «Il Grifo». Del racconto ho scelto di riportare la prima parte:
«Il torrente Resina fila giù dritto e baldanzoso consumando una immensa roccia preistorica che sta dentro un bosco sulle montagne dell’Umbria. In quei tempi era uno dei meno inquinati del paese, e infatti vi si potevano incontrare esemplari di gambero fluviale, di granchio fiumarolo e di Andrea Pazienza, tutti animali che, come sapete, vivono solo in acque pulite.
Risalivamo controcorrente, io e Paz, verso due grandi cascate (quasi due metri di altezza!) che formavano le pozze dove si favoleggiava vivesse la carpa Nan Ch’ai. La nostra dotazione era:
Lo scrivente:
Un coltello svizzero a sette lame.
Stivali da pesca.
La guida Vademecum per le acque interne dell’Umbria, V dipartimento, assessorato cultura e tempo libero, contenente le norme generali e transitorie su periodi, misure e attrezzi consentiti per la cattura della carpa Nan Ch’ai.
Un carpometro (righello misuracarpa) da zero a 45 cm.
Una rete del tipo «bilancino» o a «stecca d’ombrello» di metri due per due (attrezzo non consentito).
Una scatola di granturco da pastura «rapid fish».
Una modica quantità.
Una borraccia d’acqua frizzante.
Paz:
Un coltello sardo pattadese scannabuoi.
Stivali da motocross.
Una macchina fotografica bulgara non funzionante.
Uno shuriken (attrezzo vietato).
Un guadino (retina da pesca con lungo manico), attrezzo consentito, ma bucato in tre punti.
Un panino del tipo «ciabatta» con mortadella.
Wafer Loacker.
Una modica quantità.
Una lattina di Coca-Cola.
Un tubetto di unghento contro le scottature (si era bruciato una gamba col tubo di scappamento della moto, previo volo giù da un tornante).
Paz (procedendo a grandi balzi di sasso in sasso, davanti allo scrivente): – La carpa Nan Ch’ai è la preda più ambita che un pescatore possa desiderare. Gli antichi testi sacri parlano chiaro…
Lo scrivente (arrancando dietro, con la rete che gli si impiglia nei rami degli alberi): – Ma sei sicuro che si trovi nel Resina?
Paz: – Gli antichi testi dicono: là dove il torrente si placa un attimo, tra la porta del pavone di Bhuodang e il bivio per Santa Cristina, dove non è né Nord né Sud, dove gli uomini aspirano ancora a essere liberi e dove c’è un incredibile numero di ranocchie…
Era sempre più caldo, e la risalita del fiume sempre più difficile. Le zanzare ci attaccavano. I climi più caldi allevano le zanne più feroci (Melville). Con quel caldo neanche un’anima (Flaubert). Il torrente erano tante cabine telefoniche una vicina all’altra (Brautigan). Siamo soli e siamo morti (Miller).
Sosta: Paz, sdraiato su una roccia di forma divanica, mangia il panino alla mortadella e con un bacchettino affresca il fango. E dice:
– I colori che ci sono qui (acqua-alberi-sole-riflessi) sono difficilissimi da rendere perché sono pieni di luce, fatti di luce, come il bosco di Rashomon, ricordi?
Ma io sono capace di rifarli uguali sulla pagina; io e chi altri al mondo?
Lo scrivente: – Nessuno, maestro.»
Prima volta, sì, ma con metodo. In un documento video del 1983 Andrea Pazienza afferma: «Il fumetto, come un’arte marziale, significa un insieme di regole che a prima vista sembrano facilissime, e forse lo sono, ma che tutte insieme sono molto difficili da imparare, difficilissime da digerire e soprattutto è molto difficile impararle e digerirle in modo naturale. Questa naturalezza, che è la cosa alla quale io tendo oggi, è un po’ diventato lo scopo del mio disegnare».
«Detto questo, – scrive Stefania Scateni sull’«Unità» del 18 settembre 2005 – Andrea non era diverso dagli altri, naturalmente. Aveva le sue insicurezze e le sue paturnie, le sue passioni e i suoi entusiasmi, come tutti i mortali. Però, è innegabile, aveva dei doni speciali.»
Che cosa resta a noi? Che cosa possiamo fare? Raccogliere, se vogliamo, l’invito che Andrea Pazienza formula in questa sua poesia del 1984:
Ma io sono la mitica anatra migrante,
sono ancora una volta perpetuo moto
sono la brocca sognante,
desiderio di vuoto.
E se le mie arroganti parole di un tempo,
son finite segnalibro d’un volume dimenticato
pure ti chiedo ara il mio campo
a scoprirlo.
© Anna Maria Curci
Andrea Pazienza nasce nel 1956 a San Benedetto del Tronto. Il padre, Enrico Pazienza, è professore di educazione artistica; la madre, Giuliana Di Cretico, insegna applicazioni tecniche. A San Severo, la città del padre trascorre l’infanzia; d’ estate è con la famiglia a San Menaio, frazione di Vico del Gargano.
All’età di tredici anni Pazienza si trasferisce per studio a Pescara. Torna quasi ogni fine settimana a San Severo, dove continua a frequentare gli amici di sempre e a lasciare tracce della sua genialità, tra l’altro realizzando le scenografie di alcuni spettacoli presso il Teatro Verdi. Nella città abruzzese si iscrive al liceo artistico e stringe amicizia con l’autore di fumetti Tanino Liberatore. In questi anni crea i suoi primi fumetti e realizza una serie di dipinti; collabora con il Laboratorio Comune d’Arte “Convergenze”, che dal 1973 espone i suoi lavori in mostre sia collettive sia personali.
Nel 1974 si iscrive al DAMS di Bologna, vivendo gli anni della contestazione giovanile, sfondo del fumetto Le straordinarie avventure di Pentothal, primo lavoro di Pazienza pubblicato («Alter Alter», 1977). In quella facoltà incontra altri artisti e scrittori: Pier Vittorio Tondelli, Enrico Palandri, Giacomo Campiotti, Gian Ruggero Manzoni, Roberto “Freak” Antoni. Nel 1977, con Filippo Scozzari, Stefano Tamburini, Massimo Mattioli e Tanino Liberatore, fonda la Primo Carnera Editore e la rivista «Cannibale», e dal 1979 al 1981 collabora col settimanale «Il Male». Col gruppo di «Cannibale» e con Vincenzo Sparagna, fonda nel 1980 il mensile «Frigidaire», sulle cui pagine fa la sua comparsa Zanardi.
Gli ultimi giorni di Pompeo è del 1987. Andrea Pazienza muore a Montepulciano, dove si era trasferito nel 1984, il 16 giugno 1988. Pochi giorni dopo la sua scomparsa si apre a Peschici la prima mostra che avrebbe dovuto tenere insieme al padre Enrico.
6 risposte a “In Apulien #5: Paz in Capitanata”
Ma io sono la mitica anatra migrante,
sono ancora una volta perpetuo moto
sì.
Questo contributo è magnifico. Grazie Anna Maria!
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Bello questo contributo Anna Maria! Grazie!
Definirsi una “brocca sognante” è magnifico!
Ciao
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Ad Alessandra, Margherita, a tutti coloro che si sono soffermati su questo tributo al segno di Andrea Pazienza va il mio saluto riconoscente e fiducioso che più d’uno raccolga l’invito di Paz: “ara il mio campo / a scoprirlo”
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splendido Paz e grazie Anna Maria (quando leggo i post domenicali divento subito un po’ pugliese)
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Bene, Gianni, non è detto che l’effetto di cui scrivi non sia intenzionalmente perseguito :-)
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[…] dedicata ad Andrea (“Pompeo”) Pazienza […]
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