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Ingeborg Bachmann, Il sorriso della sfinge

Ingeborg Bachmann, Das Lächeln der Sphinx. Copertina del n. 9 (settembre 1994) della rivista "du"
Ingeborg Bachmann, Das Lächeln der Sphinx. Copertina del n. 9 (settembre 1994) della rivista “du”

Già in passato “Poetarum Silva” ha proposto alla lettura e all’ascolto testi di Ingeborg Bachmann. Oggi, nel quarantesimo anniversario della sua morte, avvenuta a Roma il 17 ottobre 1973, la scelta è caduta su un racconto, Das Lächeln der Sphinx (Il sorriso della sfinge), che apparve per la prima volta il 25 settembre 1949 nella “Wiener Tageszeitung” (n. 224). Si tratta, dunque, di una prosa la cui stesura è coeva all’esordio lirico (1948) di Ingeborg Bachmann e che precede di qualche anno la sua partecipazione, nel maggio 1952, alle sedute del “Gruppo 47”. Per lungo tempo ignorata, ripropone l’annosa questione – questione liquidata spesso con un’alzata di spalle, con giudizi tranchant o con affermazioni che non esito a definire di maniera – del rapporto tra lirica e narrativa nella scrittura di Ingeborg Bachmann. Come osserva Antonella Gargano nel saggio Tra il possibile e l’impossibile: la sfida di Ingeborg Bachmann, postfazione alla raccolta di racconti da lei curata per i tipi della Cronopio, «la collocazione della vicenda fuori dal tempo e in uno spazio indefinibile […] non esclude, anzi, rende ancora più inquietante una possibile lettura ‘storica’». Una lettura storica, dunque, che, ai nostri occhi, è insieme confronto dell’autrice con il passato prossimo alla data di composizione del racconto e messaggio profetico di enigmatico rigore. (amc)

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Il sorriso della sfinge

In un’epoca nella quale tutti i governanti erano minacciati – spiegare in cosa consistesse questa minaccia è inutile, in quanto le minacce hanno contemporaneamente troppe cause e nessuna – il sovrano del paese, di cui parleremo, fu assalito da inquietudine e insonnia. Non che si sentisse minacciato “dal basso”, dal suo popolo; la minaccia veniva dall’alto, da richieste e ordini non detti, che credeva di dover eseguire e che non conosceva.
Quando poi il sovrano fu messo a conoscenza della comparsa di un’ombra sulle strade di accesso al suo castello, gli s’impose la convinzione che, per poterla combattere, avrebbe dovuto evocare e chiamare in vita quell’ombra che forse nascondeva la minaccia. E subito s’imbatté nell’ombra che gli era stata annunciata; era difficile risalire da essa alla figura che la proiettava, poiché era troppo grande per poterla abbracciare con lo sguardo. All’inizio il signore non vide altro che un gigantesco animale che si trascinava lentamente per la contrada; in seguito gli riuscì di scoprire, nel punto in cui supponeva fosse la testa, un viso schiacciato, largo, appartenente a quell’essere che a ogni istante poteva aprire la bocca e porre domande per cui da secoli davanti a lui tutti fallivano, restavano senza risposta ed erano perduti: il re aveva riconosciuto la strana, temibile sfinge, con la quale doveva lottare per la sopravvivenza del paese e della sua gente. Egli dunque aprì per primo la bocca e la sfidò a sfidarlo.
“L’interno della terra è inaccessibile al nostro sguardo”, lei cominciò, “ma voi dovete guardarvi dentro e mostrarmi le cose che essa nasconde e informarmi sul suo fuoco e sulla sua consistenza”
Il signore sorrise e ordinò ai suoi sapienti e alla sua gente di attaccare il ventre della terra, trapanarlo, portare alla luce i suoi segreti, misurare ogni cosa e trasformare ciò che era stato trovato nelle formule più sofisticate, la cui precisione era inimmaginabile. Egli seguì personalmente l’andamento del lavoro che prendeva forma in meravigliose tabelle e in libri voluminosi.
Arrivò così il giorno in cui il signore poté ordinare al suo seguito di presentare il lavoro svolto. La sfinge non poté fare a meno di ammettere che il lavoro era stato realizzato in mondo perfetto e ineccepibile; a molti tuttavia sembrò che esprimesse troppo poca considerazione per i risultati. Ma nessuno poté dire di lei che non si fosse comportata correttamente.
Se alcuni ancora pensavano che ora sarebbe divenuto palese che la sfinge aveva soltanto voluto cullare il re in un’illusione di sicurezza, per poi far saltar fuori una trappola nella formulazione dell’enigma, i loro timori adesso furono dissolti. Anche la seconda domanda era formulata in modo equivocabile e semplice. Il mostro, quasi privato della sua forza magica, ordinò, pacato, che ora tutti si dessero a catalogare le cose che ricoprivano la terra, comprese, le sfere che la circondavano. Questa volta gli scienziati con la loro squadra fecero ancora di più. Alle annotazioni allegarono un’indagine incredibilmente minuziosa dell’universo, che conteneva tutte le orbite planetarie, tutti i corpi celesti, passato e futuro della materia, con la segreta, malevola gioia di anticipare in questo modo una terza domanda della sfinge.
Anche al re sembrò escluso che potesse restare ancora qualcosa da chiedere, e consegnò la soluzione con un senso crescente di trionfo. La sfinge aveva abbassato le palpebre oppure era senza sguardo? Con circospezione il sovrano cercò di leggere nelle espressioni del suo volto.
La sfinge si prese tanto tempo per porre la terza domanda che tutti cominciarono a credere di aver vinto, con il loro grande zelo nel rispondere alla seconda domanda, la sfida mortale. Ma quando percepirono un lieve tremore sulla sua bocca, restarono come impietriti, senza saper dire perché.
“Cosa mai si nasconde negli uomini di cui sei sovrano?” chiese lei mentre il re era assorto nei suoi pensieri. Il re aveva voglia di rispondere all’istante con una facezia, per salvarsi, ma vi rinunciò giusto in tempo e convocò un consiglio. Incitò i suoi uomini al lavoro e si adirò con loro perché si facevano incitare. In una serie di esperimenti cominciarono a denudare gli individui; estirparono loro ogni senso del pudore, li costrinsero a confessioni che miravano a portare alla luce le scorie della loro esistenza, disarticolarono i loro pensieri e li ordinarono in serie infinite di numeri e di segni.
Non se ne vedeva la fine, ma essi non ne facevano parola, poiché il re girava comunque per i laboratori, come se non gli ispirassero la minima fiducia ed egli pensasse a un procedimento più rapido e più efficiente.
Questa supposizione trovò conferma un giorno, quando fece chiamare gli scienziati più importanti e i funzionari più capaci, ordinò l’immediata interruzione dei lavori e in sedute segrete illustrò loro alcune idee, il cui contenuto non fu comunicato ad altri, benché tutti, subito, fossero colpiti dalle conseguenze.
Poco dopo un’ordinanza raccolse la gente, a gruppi, in luoghi nei quali erano state installate ghigliottine estremamente sofisticate, a cui ciascuno, con estrema precisione, veniva chiamato individualmente e portato dalla vita alla morte.
La rivelazione che questo procedimento produsse fu così convincente da superare le aspettative del re; e tuttavia egli non esitò, per amore di perfezione e completezza, a indurre anche gli altri uomini, che gli erano stati utili per l’allestimento e l’installazione delle ghigliottine, a consegnarsi alle macchine, per non mettere in pericolo la soluzione dell’enigma.
Chino e muto per l’attesa, il re comparve davanti alla sfinge. Vide la sua ombra distendersi come un mantello sopra i morti che ora non esprimevano ciò che c’era da dire, poiché l’ombra si era stesa sopra di loro per prenderli sotto la sua custodia.
Il re, con respiro affannato, intimò alla sfinge di sollevarsi per ricevere la sua risposta, ma con un gesto lei gli diede a intendere che non era necessario; lui aveva trovato anche la terza risposta, era libero, la sua vita e quella del suo paese erano nelle sue mani.
Sul suo volto passò un’onda, sollevata da un mare di arcani. Poi sorrise e si allontanò, e quando il re ripensò a tutti quegli avvenimenti lei aveva già varcato i confini e abbandonato il suo regno.

Ingeborg Bachmann, Il sorriso della sfinge, Racconti. A cura di Antonella Gargano, Cronopio, Napoli 2011, pp. 23-26

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Qui di seguito i link ad alcuni dei contributi alla lettura di Ingeborg Bachmann pubblicati su “Poetarum Silva”

“La Boemia è sul mare” di Ingeborg Bachmann

“Lasciapassare” di Ingeborg Bachmann

Tra le righe n. 14: Ingeborg Bachmann

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