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Le ‘Carte Correnti’ di Roberto Galaverni: ovvero scrivere di poesia omettendo le donne (di Annachiara Atzei)

La domanda che spesso si rivolge a un poeta è quale sia il senso della poesia. Non è semplice trovare risposta a un simile interrogativo: ciascuno ricerca un significato del tutto soggettivo o, talvolta, neppure prova a risolvere il quesito. In Carte Correnti – Nove lezioni sul senso della poesia (Fazi Editore), Roberto Galaverni, critico letterario e penna raffinata delle pagine culturali del Corriere della Sera, affronta il tema attraverso il commento dei testi di otto grandi autori del Novecento italiano, alcuni dei quali ancora in piena attività.
Questa la tesi: la poesia mette a fuoco la vita attraverso le parole e non lo fa arbitrariamente, ma dal punto di vista privilegiato di ciascuno scrittore o, ancor meglio, tramite il particolare modo in cui certi versi sono capaci di legittimare il senso poetico. Galaverni parte dal basso, dalla concretezza del singolo componimento, e chiarisce come ogni poeta sia tale proprio perché in grado di riconoscere una maniera unica di motivare il rapporto tra le cose e la lingua. La sua poesia diventa, così, una promotrice di significato. Non solo. Se, da un lato, la poesia nasce dalla necessità di dire, dall’altro, condivide la sorte comune del linguaggio umano, che viene portato a intensità ed evidenza distintiva a partire dai suoi stessi limiti. Il tema è affascinante ed è trattato da Galaverni con innegabile maestria.
In genere, quando mi accingo a una nuova lettura, il primo sguardo corre all’indice del libro. Nel caso di Carte correnti ho fatto lo stesso. Qui, troviamo in serie: Montale, Zanzotto, Sereni, Fortini, Pagnanelli, Pusterla, Magrelli e De Angelis. Nessuna autrice, nemmeno una traccia. Non nego di aver provato una certa delusione, una delusione non solo correlata a un discorso di pura critica letteraria, ma a un orizzonte di senso che ancora una volta coincide con la sistematica esclusione che spesso accompagna il lavoro intellettuale femminile.

 

Galaverni considera i nomi scelti “autorità poetiche” e, di certo, per i classici che prende in esame, non si può dargli torto: quanto è suggestiva la poesia di De Angelis? E quanto ancora affascinano e fanno riflettere i versi di Sereni e Zanzotto? È fatto noto. Ma la questione, in questo caso, è un’altra ed è più sottile. È ormai così evidente e condivisa la volontà di conoscere il pensiero delle donne, che salta subito agli occhi la costante mancanza di nomi femminili, come nel caso di questo elenco di autori. Non si può non fare uno sforzo per dare voce a scrittrici e artiste, tanto più nel mondo della cultura e della letteratura. È doveroso e, purtroppo, ancora necessario. Talmente necessario che un’autrice attenta come Anna Toscano ha curato per La Vita Felice due importanti e originali antologie poetiche dedicate alla scrittura femminile: Chiamami col mio nome Vol. I e II, scegliendo delle scrittrici che, come ha scritto su queste pagine Giulia Bocchio “Toscano ha trovato fra le trame della vita e delle sue stesse letture, e qualcuno ora potrebbe dire: ‘Bene, e tutte le altre?’. Le altre, che sono la maggior parte, sono ancora là fuori, ma non è un principio escludente, perché non esiste antologia esaustiva, non esiste un’arca sulla quale chiamarle tutte per fortuna”. Non esiste, infatti, un’antologia esaustiva. Ma, come pure in Galaverni, può esservi l’eventualità di sfiorare quell’esercizio asfittico di catalogazione che, in fondo, è privo di utilità, perché c’è sempre qualcosa (o qualcuno) che sfugge quando si tratta di poesia.
Forse è un caso – o forse no – che in questi giorni mi sia passato di nuovo tra le mani Odiare la poesia, di Ben Lerner (edito da Sellerio) che, in una appassionata difesa del genere, sostiene che la poesia soccombe alla crudeltà del reale e che lo scrittore sia una figura tragica, sempre tesa a comporre materialmente dei versi che somiglino all’autentico. In ciò, non c’è poeta, uomo o donna (aggiungerei io), che non si ostini in questa ricerca del linguaggio ideale, della parola adatta, del giusto ritmo o suono, o almeno così dovrebbe essere. E, pur se destinato a fallire – come nella visione dello statunitense – ogni autore o autrice rischierà sempre di comporre una “fievole ombra” di qualcosa di più grande. Questo tentativo – che è allo stesso tempo il modo per rispondere a domande essenziali che riguardano il valore delle cose e la loro direzione – accomuna tutti senza differenza di genere alcuna. L’individuale aspirazione all’utopia molto ha a che fare con l’amore di chi scrive di e per la poesia. E penso a tanti autori, ma soprattutto a tante autrici del nostro panorama letterario dalla grande sensibilità e capacità di cogliere con consapevolezza un’idea pura di sé e del mondo. Intorno a queste ultime – lo ammetto – avrei davvero voluto leggere la critica di Roberto Galaverni, che spiega di essere stato spinto a scrivere il libro dal desiderio di dire qualcosa non sulla poesia in sé, ma su alcuni testi in particolare, proprio perché capaci di esporre sé stessi e il processo di definizione del senso che ne presiede la costituzione. Al loro posto – dice – avrebbe potuto considerare componimenti diversi – o autori diversi e da lui non meno amati – perché capaci di assicurare “la vividezza, l’efficacia, l’energia, la necessità e soprattutto la plausibilità di ciò che viene detto”.
Ma, se davvero la poesia fa parte del nostro corredo antropologico come da lui teorizzato, c’è da chiedersi: non altrettanta vividezza, efficacia, energia, necessità, plausibilità di ciò che viene detto avrebbero avuto le poesie di Rosselli, Merini, Cavalli, Anedda, Pozzi, Spaziani, Candiani o Carpi, per nominarne solo alcune?

 

 

Di Annachiara Atzei


In copertina: artwork by Alexandra Waliszewska


 

5 risposte a “Le ‘Carte Correnti’ di Roberto Galaverni: ovvero scrivere di poesia omettendo le donne (di Annachiara Atzei)”

  1. “Nessuna autrice, nemmeno una traccia”.
    Nonostante io sia un lettore di poesia scritta da donne, non trovo nulla di così scandaloso.
    Segno dei tempi, al contrario, la delusione che si prova. E’ proprio necessario che in una lista di scelte debba essere inclusa per forza qualche donna? Così come, per converso, in una analoga lista di segno opposto una inclusione di qualche uomo? Secondo me, assolutamente no.
    Attenersi al dato: la libertà critica non scende a compromessi.

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  2. Invece in questo caso la critica si limita a militare in una confort zone che si fonda nella censura avvertita come non tale.
    Sì legga, se può, se vuole, il saggio di Federico Sanguineti pubblicato da Argo, possibilmente nella seconda edizione ampliata””; vedrà che le sembrerà scandalosa l’assenza di poetesse. Soprattutto alla luce del fatto che Galaverni, agli esordi, ha seguito Anedda.
    Insomma, l’assenza di Rosselli e Insana stride tanto quanto il contro canto citato dall’autrice dell’articolo.

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  3. Ringrazio per la lettura attenta e per i suggerimenti. Vedo con piacere che l’articolo ha suscitato il dibattito che il tema merita.

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  4. L’articolo si inserisce a pieno titolo nel dibattito, che è una vera e propria vexata quaestio, (ri)aperto da Federico Sanguineti col saggio da me tirato in ballo. Ed è giusto che sia così

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