La luce come punto d’origine, un bagliore venuto dallo spazio siderale capace di creare il mondo e di contenere i più remoti segreti della creazione. Sotto la malia della sua fascinazione sono caduti i due autori di Palermo. Un’autobiografia nella luce, edito dalla casa editrice Humboldt Books. Lo scrittore, Giorgio Vasta e il fotografo Ramak Fazel, rinsaldano il loro sodalizio narrativo e visivo iniziato tra ghost town e gli spazi infiniti degli Stati Uniti, (Absolutely Nothing, Storie e sparizioni nei deserti americani) e si ritrovano a Palermo per raccontare due storie, una costruita con le parole, l’altra per immagini. Due racconti speculari per vivere Palermo sulla strada di un ritorno verso il punto d’origine dello sguardo.
La scoperta di un software che permette a chi realizza modellini tridimensionali di illuminarlo attraverso luci diverse a seconda delle città innesca, nella mente del protagonista del racconto di Vasta, un’ossessione nei confronti della luce. «Cos’è la luce? Dov’è la luce?, perché sì, è vero, la luce è dappertutto e da sempre e per sempre, ma io sapevo che a esasperarmi era il bisogno di individuare nel dappertutto e nel da sempre e nel per sempre, una sua forma specifica, o meglio una mia forma specifica, una luce mia…».
La voce narrante, si muove nel tempo, tra la sua infanzia e il presente, tracciando una geografia personale di ricordi che s’interroga e immagina come è stato il mondo all’inizio della creazione per costruire un’archeologia poetica e visionaria della luce.
Il racconto è la storia inventata di un’origine narrata in trapassato prossimo, un tempo verbale poetico di qualcosa che è scomparso, ma che è ancora presente. Un testo onda e particella, incarnazione dell’essenza della luce, scuote con un’irruzione continua di parole, suggestioni, peregrinazioni senza meta, a zonzo per le città e cattura cellule d’immagini del passato per riportarle al presente.
Situazioni e personaggi che si riflettono nelle fotografie di Ramak Fazel, nel racconto visivo, City of Phantoms dove Palermo prende vita attraverso un’indagine sulla memoria e sui fatti. La luce arcaica della città, densa irradiata dal cielo, viene trasformata in forme chiaroscurali per creare un nuovo vocabolario di visioni, radicate nella fitta realtà cittadina e astratte, irreali. Il battesimo di un migrante sulla spiaggia di Mondello descrive il rapporto stretto tra la città e il mare, un vecchio seduto con il giornale aperto con stampata in prima pagina la parola rifiuti ricorda un’immagine del testo di Vasta, in questa maniera si costruisce un gioco di rimandi visivi non didascalici, ma speculari tra il testo e le fotografie.
L’appartamento dell’infanzia del protagonista del racconto, il luogo del ritorno, è rappresentato con squarci d’interni, dettagli chiaroscurali, forme. Gli spazi liminari di Palermo, le sue periferie aperte, mostrano il lato più astratto della città, un dinosauro sperduto in mezzo a un campo diventa simbolo di immobilità, di paura trasformata in un gioco metafisico dove i mostri appaiono teneri e fragili.
Le immagini catturate dallo sguardo di Ramak Fazel si proiettano nella ricerca ossessiva dell’origine del racconto di Vasta che si conclude dentro un vecchio filmino in otto millimetri realizzato con una cinepresa Crown 8 per raccontare l’essenza di ogni inizio generata da uno sguardo capace di creare immagini e immaginare mondi, ma anche di descrivere i vuoti, mancanze profonde, nascoste dentro ognuno di noi.
Di Elena Cirioni
Una replica a “L’indagine sull’origine dello sguardo di Giorgio Vasta e Ramak Fazel in ‘Palermo. Un’autobiografia nella luce’ (di Elena Cirioni)”
L’ha ripubblicato su Downtobaker.
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