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“Libro del sangue”: intervista a Matteo Trevisani (a cura di Giulia Bocchio)

Genealogia, sangue – molto sangue – un simbolismo moderno eppure radicato alla notte dei tempi, fedele alla buona Eva mitocondriale, un intreccio di vene, mostri marini, rituali: Libro del Sangue (Blu Atlantide 2021) di Matteo Trevisani è un sabba genetico, il DNA che lega insieme l’irrisolto, la supposizione, la speranza, la predestinazione, la morte. Se siamo ciò che siamo c’è un motivo, viene da dentro e dunque da lontano, un dentro che ha visto il mondo intero là fuori, nei secoli. E il futuro, in tutto questo? È scritto, se uno ci crede, tuttavia bisogna fare attenzione a certe radici, fare in modo che queste non diventino tentacoli, perché è così che le profezie si auto avverano. Poche pagine e tutto in questo romanzo si fa enigma, non senza una certa carnalità. 
Matteo Trevisani fa magistralmente quello che abbiamo provato a fare in tanti con la fantasia e le sensazioni: quel sentirsi parte di epoche lontane, le attitudini che ci contraddistinguono, le inquietudini alle quali siamo fedeli, il vizio e la virtù, le passioni, provare a rintracciare tutto questo, cercare, cercare e cercare. E sperare di sopravvivere al tempo in qualche ostinata maniera.
Tutto perché qualcuno ha cominciato per primo o per prima; ricostruire le tracce, l’albero genealogico dell’io, significa sprofondare in un’identità corale e misteriosa, forse pericolosa, forse salvifica, in ogni caso nostra e per questo umanissima.
Si ha voglia di saperne sempre un po’ di più, proprio come avviene nel romanzo di Matteo. 

 

Matteo, bentrovato. Libro del sangue è un romanzo sul mistero delle origini e il fascino – a tratti oscuro – della genealogia. Com’è nato tutto questo?

Quando ero piccolo mi raccontavano che la nostra famiglia aveva avuto molti lutti in mare, molti uomini che negli anni avevano fatto naufragio ed erano annegati. Non era una storia unica, che riguardava solo noi: da dove vengo io, da San Benedetto del Tronto, molte famiglie marinare hanno avuto la stessa sorte, gli stessi lutti. Però in quella storia mancavano i corpi, mancavano i morti. Nessuno li ricordava più. Così ho fatto quello che faccio di solito quando non capisco le cose, mi sono messo a cercare. E li ho trovati tutti, tutti quelli che – effettivamente – erano partiti senza più tornare, e che aveva dato origine con la loro assenza a una storia di famiglia che li riguardava e che nel tempo si era trasformato in qualcosa di simile a una maledizione. Ho scritto questo libro dopo che è nato mio figlio, quando tutte le domande che avevo per i miei avi si sono trasformate in un lascito. Il Libro del sangue, in cui non parlo della mia famiglia ma delle famiglie di tutti, serve a comprendere, a capire come queste storie siano in mezzo a noi.

Ci sono studi che affermano che i ricordi dei nostri avi si possono tramandare, imprimendosi nel DNA di ognuno: pensi che le attitudini, le passioni, i vizi, il gusto estetico ecc… siano tracce latenti di espressioni e vite sepolte nei secoli, come un’influenza genetica?

È la trasmissione psichica della vita tra le generazioni, ci sono studi di psicologia che indagano questi processi e ora anche la genetica sta cominciando a interessarsene. Ho letto qualche tempo fa un articolo su «Scientific American» che parlava della trasmissione genealogica dell’ansia, ma quello che intendo io, per come lo intendo, non ha bisogno di validazioni scientifiche, perché vive nel reame del simbolico e dell’allusione. C’è l’idea che il passato e quelli che lo hanno abitato ancora vivano dentro di noi sotto forma di pulsioni, di miti personali, di dubbi irrisolti che noi seguiamo e a cui obbediamo senza rendercene conto, inconsapevolmente. Alcune spinte, alcune paure, possono arrivare da molto lontano, rendersene conto può essere doloroso e liberatorio insieme.

All’interno del romanzo, a un certo punto, le lunghe radici del tuo albero genealogico sembrano soffocare tutto del presente, quasi sospendendo la concezione stessa di passato e futuro…

Nel libro il passato e il presente si mescolano, è vero, perché la narrazione è in mano ai morti. In passato si evocavano i morti perché loro conoscevano il futuro, perché da dove vengono loro il tempo è schiacciato su se stesso e tutto accade sempre nello stesso momento. Nel Libro del sangue c’è una progressiva diluizione del tempo, soffocato come dici giustamente tu, dalle radici dei due alberi. Solo quando il protagonista si renderà conto che la sua stessa voce è la voce di un morto, e che dunque ha una completa cittadinanza nell’oltretomba allora potrà cercare di separare le radici, di giocare cioè a quel gioco genealogico che come puntata ha la vita stessa.

Alvise e Giorgia sono due personaggi quasi “metaforici”, entrambi scissi fra un destino di ricerca e di disperata predestinazione…

Alvise e Giorgia sono i maestri di Matteo, sono loro che gli hanno insegnato la storia dei cognomi, delle famiglie, come costruire un albero genealogico, come non smarrirsi. È di loro dunque che ha bisogno quando la maledizione sta per abbattersi su di lui. Alvise arriva fino a una prima soglia, ma quella che lo accompagna davvero fino alla fine è Giorgia, che ha una storia familiare forse simile alla sua, perché anche lei sostituisce qualcuno, la madre Latifah. Durante una presentazione a Torino Marco Peano ha detto che Giorgia è una Beatrice oscura, che invece di accompagnarlo in paradiso lo aiuta a scendere nelle profondità infernali di se stesso. Credo sia assolutamente così. Il libro si interroga su quanto ci appartenga il nostro destino, se possiamo sfuggirgli, e se il futuro possa modificare il passato. Alvise e Giorgia forse hanno già una risposta a questa domanda, perché ci sono già passati.

Quali sono secondo te i primi passi da compiere per ricostruire il proprio albero genealogico che, come ben racconti nel tuo romanzo, non è semplicemente “un elenco degli antenati”.

La prima cosa da fare, ma forse vale in ogni ricerca, è ascoltare. Ascoltare chi ne sa più di te. Quindi chiedere, interrogare, domandare. Soprattutto i membri più anziani delle nostre famiglie che costituiscono la memoria più preziosa di quello che siamo. Bisogna scrivere tutto, segnare le date, i luoghi, i soprannomi, riportare le storie e le leggende di famiglia, farsi mostrare le foto, i documenti. Questa è la base su cui il nostro albero potrà crescere. Poi ci sono gli uffici di stato civile, le parrocchie, gli archivi di stato. È una delle ricerche più letterarie e romantiche che si possano fare, perché fare genealogia rimette a posto il mondo. Ed è una ricerca perfetta, perché non ha fine.

 


Matteo Trevisani è nato a San Benedetto del Tronto nel 1986, e vive a Roma. Per le Edizioni di Atlantide ha pubblicato Libro dei fulmini (2017) e Libro del sole (2019, Premio Comisso Under 35).
Editor di Edizioni Tlon e redattore di «Nuovi Argomenti», ha scritto e scrive su diversi giornali e riviste e collabora con «La Lettura – Corriere della Sera».

 

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