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Un’esattezza emotiva: Alessandra Trevisan racconta ‘Trasferimenti’ di Viviana Fiorentino

Trasferimenti, Viviana Fiorentino

Cosa siano i Trasferimenti del titolo della nuova raccolta di poesie di Viviana Fiorentino (edita da Zona) è riconoscibile attraverso una sistematica lettura dei testi che stratificano, secondo una “concentrazione aperta” anche alla disposizione (del lettore), una poetica del linguaggio nello spazio. Se il modello dichiarato da lei stessa può essere la poesia irlandese contemporanea – da Eavan Boland a Seamus Heaney – la sua poesia genera, tuttavia, in lingua italiana, una precisa tenuta di significante e significato, a declinare come il “trasferimento” – ossia “lo spostamento da una sede a un’altra” – possa rivelarsi concretamente in un’esperienza di vita: «Quando il tempo ha una sola direzione,/ divide./  Ricominciare/ significa/ rompere/ legami./  Trovare il nostro altro/ io/ nell’altro» (L’altro, p. 35). Sotto la scorta inconsapevole di Rimbaud, non rovesciato ma volutamente “trasferito”, Viviana Fiorentino compone le quattro sezioni del libro – Terra, Discostamenti, Madre e Desiderare – scegliendo un piano preciso che, come ha definito Marilena Renda nella sua Prefazione, è “la cifra del tessuto”, proprio perché siamo di fronte a un “libro ‘posizionato’”, anche nella viva scelta del lessico e della struttura. Non solo il titolo ma altri termini, “insediamento”, “smantellare”, risuonano a trasportare in dimensioni diverse, tra le mosse civili (l’impegno a favore dei rifugiati in Irlanda del Nord è reale) e l’ordinarietà del quotidiano, tuttavia separata da una certa ricerca all’immediatezza della scrittura cui la poesia lirica ci ha abituati. Non si è di fronte a una poesia che si fonda sulla voracità – talvolta anche manipolatoria – ma che converte il senso dell’immediatezza in un processo di lavorazione accurato, sensibile, nel campo nel linguaggio e dello spazio poetico.

È un legame scientifico, quello dell’autrice, che stabilisce ad ogni verso quale possa essere la percezione di chi legge dal punto di vista spaziale; come a doversi confrontare costantemente con un posizionamento obbligato in grado di non restringere il campo né visivo né poetico: «perché non sai/ cos’è casa/ cos’è soglia/ cos’è forma/ cos’è sé» (smantellare, p. 50).
Non c’è un io centripeto né centrifugo in Fiorentino, ma un io che lavora con lentezza, completando il proprio percorso di testo in testo; è un io che dialoga con alcuni tu – il materno, o Saffo ripresa, nell’ultima sezione, dall’opera di Anne Carson, o altri. È un io che non scende al compromesso dell’esposizione che invade, egocentricamente, certa poesia lirica.
Esiste un’estrema lucidità di pose linguistiche ed anche una esattezza emotiva, che emerge dal riconoscimento – con approccio lieve e piano – e non per accumulo: 

Litorale II

Prima di voltarci e tornare,
dammi la mano.
Tu sai gli scogli che girano
a nord
indovini case
imbiancate e tetti scuri oltre
la bruma immagini la Scozia
oltre l’azzurro tra nuvole
di grecale.
E nel tuo palmo
pesi pensieri
sono linee tra le dita.
Da noi stessi proviene anche il tempo,
alture
dalle quali emergiamo.
Se prima di dare le spalle al mare
rimango in questo sfiorare
non ha altro da aggiungere l’amare.

Gli elementi naturali, situati, nella poesia di quest’autrice riconoscono lo spazio, lo abitano fisicamente e concretamente poiché è sapienziale la visione aperta del sé sul mondo, un sé appunto svincolato dall’ego, tendente all’universale, che dà forza al testo.
Quello che in chimica definiremmo una valenza, ossia “la capacità di un elemento chimico di combinarsi per dare origine a un composto”, Viviana Fiorentino lo trasmette con la parola poetica, una parola lirico-chimica, anche nell’orientamento al mondo microscopico di questa scienza, e all’umano.

Alessandra Trevisan

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