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Annientare se stessi: la reincarnazione di Houellebecq (a cura di Omar Suboh)

M. Houellebecq, Annientare (La Nave di Teseo, traduzione di Zemira Ciccimarra Milena)

«Quel tramonto non era un addio, la notte sarebbe stata breve e avrebbe portato a un’alba assoluta, alla prima alba assoluta nella storia del mondo, ecco fin dove poteva spingersi l’immaginazione, rifletteva Paul, a forza di contemplare i quadri di Claude Gellée, detto Lorrain, o di contemplare il sole che calava sulle colline del Beaujolais». Lasciate fuori ogni convinzione preconcetta su quello che state per leggere, Michel Houellebecq ha ucciso se stesso e fatto pace con il mondo. Annientare (La nave di Teseo, 2022) è un libro fluviale, denso e monumentale: sia per portato concettuale che per stile e forma. Come in La carta e il territorio, lo scrittore francese che aveva in messo scena l’omicidio di se stesso, qui sembra aver raggiunto una tregua con i propri demoni, attraverso un atto conciliativo con quel che resta di una civiltà sempre sull’orlo del collasso, sia cognitivo che politico ed economico, estinguendo tutto ciò che è male, e che non vale la pena di essere salvato, o per lo meno trattenuto. A dispetto di quanto il titolo del romanzo può suggerire, rimandando per assonanza al capolavoro Estinzione dello scrittore Thomas Bernhard, qui tutto ciò che si distrugge è il superfluo dell’esistente, il vano perenne rumore di fondo di un tempo in cui sopraffatti dalla onnipresenza di stimoli non siamo più capaci di distinguere ciò che ha valore e che merita di essere salvaguardato, da ciò che dovrebbe essere liquidato definitivamente.

Paul Raison è capo di gabinetto del ministro dell’economia Bruno Juge, alla fine del secondo mandato di Macron – che non viene nominato esplicitamente, ma di cui si intuisce la presenza ingombrante sullo sfondo – nel 2027, «l’anno di tutte le mutazioni», a ridosso delle elezioni presidenziali. Un attacco terroristico informatico diffonde in rete una serie di video raccapriccianti, contrassegnati da una misteriosa simbologia esoterica che evoca un pentagramma stellato (che «rappresenta l’iniziato, colui che possiede la sapienza») e triangoli sacri (oltre a Bafometto: il cui nome risale al Medioevo, sorta di «deformazione di Maometto», nella visione dei cavalieri cristiani dell’undicesimo secolo, contro i musulmani «adoratori del diavolo», e soltanto successivamente venerato dai Templari per approdare tra i gruppi death metal), in cui viene mostrato lo stesso Bruno decapitato, ricostruito attraverso una precisione di dettagli impeccabili che lascia attoniti i membri dell’intelligence francese accorsi per l’indagine. Si scopre così che il padre di Paul, Édouard, era uno dei massimi esponenti dei servizi segreti francesi, e già da diverso tempo aveva raccolto, in alcuni dossier conservati nel suo studio, indizi in merito al gruppo di cui si inseguono le tracce, ma che verranno scoperti soltanto dopo il suo ricovero per una ischemia cerebrale. Da quel momento incomincia la vera sottotrama dell’opera, il nucleo speculativo centrale: la malattia e l’educazione al dolore della morte.

Se Houellebecq nelle precedenti opere, dai capolavori come Le particelle elementari e La possibilità di un’isola, aveva restituito ai suoi lettori l’immagine di una condizione umana privata di ogni appiglio a una qualsiasi salvezza o forma di redenzione possibile, quella distanza abissale da ogni residuo di etica e di empatia, qui, viene rovesciata radicalmente nel suo opposto: Annientare è una elegia alla vita. «La vera ragione dell’eutanasia, in realtà, è che non sopportiamo più i vecchi, non vogliamo nemmeno sapere che esistono, per questo li parcheggiamo in luoghi specializzati, lontano dalla vista degli altri. Quasi tutte le persone oggi ritengono che il valore di un essere umano diminuisca con l’aumentare dell’età; che la vita di un giovane, e ancor più quella di un bambino, sia di gran lunga più preziosa di quella di una persona molto vecchia; suppongo che anche su questo sarà d’accordo con me?». L’amore, come quello di Paul con la moglie Prudence, l’empatia con l’Altro da sé, così come i legami umani, rappresentano la possibilità (forse l’unica) di un’isola felice, ancora di più quando non rimane più niente e si è sul letto di morte: così come in prima istanza il padre del protagonista, che verrà salvato da qualsiasi proposito di eutanasia in una fuga congegnata dallo stesso figlio con la complicità della compagna di Édouard, Madeleine, e dalla infermiera della medesima clinica in cui è ricoverato, Maryse, che diviene anche amante del fratello di Paul, il restauratore di arazzi medievali Aurélien; e infine da Paul stesso, a cui viene diagnosticato un tumore alla mascella in stato avanzato nei capitoli conclusivi del romanzo (le pagine più belle dell’intero volume), che lo costringerà a estenuanti sedute di chemioterapia per scongiurare il rischio di un intervento chirurgico dagli esiti incerti. «Tu forse ti immagini che la tua vita ti appartenga, ma non è vero, la tua vita appartiene a chi ti ama, tu appartieni prima di tutto a Prudence, ma anche un po’ a me, e forse ad altre persone che non conosco, tu appartieni agli altri, anche se non lo sai». E proprio quando tutto sembra perduto, il legame con Prudence riacquista vitalità e nuova luce, dopo anni di assoluta distanza e aridità, sia sentimentale che sessuale. I lettori più attenti scorgeranno l’assenza di sequenze ad alta tensione erotica a cui ci aveva abituato nei precedenti lavori, ma in quelle descritte presenti vi è una metafisica dell’eros ancora più intensa se è possibile; infatti sarà proprio la malattia a riavvicinarli, ampliando il quadro della visione che, rispetto all’ultimo lavoro Serotonina, sembra essersi ristretto dettato dall’urgenza di assecondare l’immagine e lo statuto da profeta impostogli dalla popolarità.

Liberatosi dalle maglie strette dell’anticipazione a tutti i costi della realtà nel suo svolgimento cronachistico, la visione si allarga aprendosi all’ontologia della rinascita: il tema più importante del libro, in fondo, è proprio quello della reincarnazione. Suggerito da Pascal, il perno teorico più o meno nascosto, Houellebecq ci restituisce un’opera quasi religiosa dove – come nella celebre argomentazione del filosofo francese – l’autore di Piattaforma sembra aver raggiunto un’armonia interiore, con se stesso e il mondo fenomenico. Il suo libro potrebbe essere inquadrato come la conseguenza di quella scommessa per cui se Dio non esistesse, ma ci avessimo comunque creduto, non perderemmo niente, ma avremmo tutto da guadagnarci se si rivelasse esatta; mentre, al contrario, se avessimo scommesso sulla sua inesistenza, e questa previsione fosse errata, avremmo perso tutto. Ecco, questo è il vero guadagno acquisito da Paul, alter ego dell’autore, permettendogli di entrare in sintonia con la natura e con tutto ciò che gli sta intorno, in un dialogo silenzioso come quello con il padre immobile sulla sedia a rotelle (tra i momenti più toccanti che siano mai stati scritti, e non solo da Houellebecq), nella quieta contemplazione dei boschi e delle campagne dalla finestra della loro casa.

Guidato da una scrittura che si fa nuovamente lenta, rispetto ai ritmi serrati delle ultime produzioni, Annientare potrebbe rasentare la perfezione se non fosse per alcune interminabili sequenze di geopolitica senza sbocco, che non conducono allo scioglimento del nodo che imbastisce l’autore (come nel caso degli attentati informatici, messi quasi a ornamento di una trama che conduce verso tutt’altri lidi), ma è chiaro che a una lettura attenta e calibrata l’intento è quello di schiudere nuovi varchi nell’orizzonte desolato di nichilismo in cui siamo immersi, per disegnare una via samsarica che conduca alla fusione con il tutto, come un’illuminazione: «Forse non trovavano posto in una realtà che si erano limitati ad attraversare con incomprensione spaurita. Ma erano stati fortunati, molto fortunati. Per la maggior parte delle persone la traversata era, dall’inizio alla fine, solitaria».

Omar Suboh

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