L’uomo nudo giace
ai margini contratti dell’etere
e dalla sommità del mattino
giunge l’eco dell’arrotino.
Sull’incespicare del primo incontro,
del nostro,
nella cumbia di aghi di pino
sale come un mantra dai fondali
il clamore degli invertebrati
di una gigantesca gastroscopia
e nell’appannarsi dei quadranti
sotto l’alito del terrapieno
io rivedo i tuoi fianchi convessi,
quelle bionde scabrosità,
che aspergono note di testa,
osmanto e bergamotto.
Cadono le voci e liquide parole
nell’aria satura di falsi pudori;
i tuoi capelli come alghe nella risacca
mi trascinano al largo
dei sensi di colpa.
Il vorticare dei respiri
nell’incresparsi delle lenzuola:
nostro minimo comun detonatore.