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Massimo Parizzi, Io (Nota di Alessandro Pertosa)

Massimo Parizzi, Io
Manni 2021
Nota di Alessandro Pertosa

Massimo Parizzi è l’autore di Io, un romanzo magmatico e poetico di rara bellezza, dove la parola sgorga da un flusso di coscienza che si fa storia e realtà. Storia e realtà che non si lasciano dire, perché emergono dalla contraddizione profonda che siamo. Storia e realtà che possiamo leggere, attraversare nel cammino della vita, riconoscere come vie da percorrere per giungere a ritrovarsi, a raccontare sé stessi alla luce dell’incontro con l’altro. Io è un romanzo polifonico la cui direzione d’orchestra è affidata al protagonista. La voce narrante sgorga dalla ferita primordiale che ci costituisce e si domanda: «Chi è io?»; e grazie a quell’interrogativo che gli vibra dentro, scopre che «tutti sono io». Ma «io» cos’è? Chi è quel soggetto che chiamiamo «io»? Chi è quel qualcuno che siamo e con cui facciamo i conti ogni giorno?
La parola «io», cantava Giorgio Gaber, è un’idea che si fa strada poco a poco dentro ognuno di noi. Nel bambino sognatore suona dolce come un’eco, come una voce che si spande e invita a muovere i primi passi verso un’intima certezza di sé stessi. Ma, aggiunge Gaber, crescendo, con il tempo, la parola «io» assume un tono più preciso. L’adulto inizia a prendersi sul serio, assume una postura definita, spigolosa, tanto da risultare persino fastidioso agli occhi di chi lo incrocia per la strada. L’«io» adulto crede di essere qualcuno. Ma tale credenza è un’impostura, è il segno di una logica infantile che se si manifesta negli adulti allarma. E quando accade, la parola «io» diventa «uno strano grido/ che nasconde invano/ la paura di non essere nessuno». Di essere dimenticati, inghiottiti nel nulla che divora e spazza. Pertanto, dire «io» è un modo di annunciare al mondo la propria presenza, è un bisogno – se vogliamo – «esagerato/ e un po’ morboso/ è l’immagine struggente del Narciso».
Massimo Parizzi ha ben presente che l’«Io» è un grande enigma. Un mistero. Non direi un problema. Perché i problemi, seppur complessi, si risolvono in qualche modo. L’enigma no. L’enigma va interpretato. E l’«Io» è per l’appunto questo enigma contraddittorio di cui non si può dire, ma di cui al tempo stesso non ci si può esimere dal dire.
E allora con Io assistiamo a un romanzo di formazione in cui il bambino, poi ragazzo e adulto si accorge ad un certo punto che non esiste «io» senza un «tu» che ti guarda e ti riconosce. Non esiste «io» senza vedersi specchiati negli occhi di chi si incontra lungo la via. E la scoperta decisiva, è che tutti sono «io». Ma lo sono solo in virtù dei «tu» che incontrano e li riconoscono come uomini.
Ognuno è «io» in virtù di un «tu» che lo guarda, ed è un «tu» per gli altri. Ognuno è centro e periferia nella relazione costitutiva. Ma, cosa ancor più affascinante, ognuno è «fatto» anche dall’altro. Nell’incrocio di sguardi con una serie di «tu», l’«io» diventa chi è e non un altro, perché l’altro lo costituisce, lo fa essere chi è. L’incontro con un «tu» caratterizza l’«io».  L’altro non è un altro-da-me ma è un altro-in-me.
Parizzi narra questa consapevolezza. È la consapevolezza dello stare al mondo irriducibilmente collegato al contesto. Io esisto in virtù delle relazioni che costituisco con il circostante. E il circostante è un mistero, un enigma. Così come l’io. Per questo motivo le domande che si ripetono, pagina dopo pagina, sono sempre le stesse. Perché l’uomo, da quando ha mosso i primi passi sulla terra, ha dinanzi a sé le stesse irrisolvibili questioni. Chi sono? Da dove vengo? Dove vado?
Nel romanzo Io le domande del bambino si ripetono nell’adolescente e nell’adulto con ulteriori complicazioni. E a queste domande l’adulto tenta disperatamente di fornire risposte, che sono di fatto provvisorie. E non potrebbe essere altrimenti.
Ogni risposta, ogni tentativo di soluzione è il risultato di un percorso incarnato lungo la strada della vita. Strada che ha comportato scelte tragiche e dolorose. Come la consapevolezza di venire dal marcio e non dal bene. Come la rottura della retorica dei padri, il tradimento della famiglia di origine e dei principi professati da un padre fascista. E quando si affonda nella melma della quotidianità, quando si compiono strappi laceranti col proprio passato, si rischia di smarrirsi, di trovarsi naufraghi senza appigli. Perché rompere con la propria storia vuol dire abbandonare la garanzia e la sicurezza per navigare controvento, fra le onde di un mare in tempesta. E quando si è soli, e ci si sente abbandonati, è quello il momento in cui dalla ferita del proprio cuore sgorgano a fiotti le domande lancinanti: Perché è così? Perché?
E non c’è risposta che esaurisca la domanda. Le parole restano due passi dietro la vita. La parola recede. Ma qui Parizzi mostra tutta la sua maestria di narratore, nel consentire alle parole di dire quel di più. Di dire l’impossibile. In questo senso allora, questo romanzo, è autenticamente poetico. È poesia in flusso che sgorga dall’intimo dell’autore: abile narratore e tessitore raffinato.

© Alessandro Pertosa

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