Quando gli dèi parlavano in versi
di Chiara Catapano
Quando gli dèi parlavano in versi, la vita veniva creata in noi dal loro solo pronunciarci. Nei sogni di una conversazione prendevano forma i miraggi: concreti e solidi più della realtà degli uomini, questi andavano a formare città, borghi, mari, distanze e presenze senza età.
In questo pantheon (che dobbiamo immaginare come ricco di quel sentire profondo che gli dèi ci infusero nel cuore) incontriamo due figure che tornano a noi in forma di appassionato carteggio. Alessandra Cenni, attraverso un accurato e tribolato lavoro di ricerca che l’ha condotta in Grecia – ad Atene – ci conduce dentro le segrete conversazioni di Eugenio Montale con la poetessa e traduttrice greca Margherita Dalmati (1921-2009). Una figura avvolta nel mistero a partire dal nome con cui scelse di ribattezzarsi, Dalmati appunto. Il suo vero nome era Maria-Nike Zoroyannidis, e la sua figura, sconosciuta a molti in Italia, è stata altresì determinante per la produzione poetica dell’ultimo Montale.
Lei, poetessa e musicista, donna bellissima, dal fascino “lunare” (come lo definisce Cenni) è stata tramite fondamentale per la diffusione della poesia italiana in Grecia, e di quella greca nel nostro paese. Leggiamo nella prefazione di Alessandra Cenni:
«In quella accesa primavera greca, a passeggio tra scavi archeologici e discontinue testimonianze della modernità, i due poeti si erano dati appuntamento proprio nel luogo dove il dramma della storia si coniuga con l’antica bellezza e con il fascino di un paesaggio immutato. Margherita Dalmati ed Eugenio Montale, in quell’aprile del 1962, s’incontrarono ad Atene, entrambi poeti e profeti di un mondo a venire, confondendosi tra i turisti voraci consumatori di bellezza. Tra loro c’è una differenza di età di 24 anni, ma sono molto simili per la capacità di trattenere la giovinezza nel gusto estroso dell’umorismo e nel temperamento timido e fantasioso, attratti dalla realtà come dai suoi simboli. È il vero inizio di un’amicizia durata fino alla morte del poeta, nel 1981. […]
L’importanza di questi inediti, per fare una sintesi iniziale, risiede in alcune tematiche che vengono affrontate, di grande interesse non solo biografico: lo scambio culturale soprattutto dedicato all’attività di traduzione dal greco e di studio su Kostantinos Kavafis; l’influenza dello stile dello stesso Kavafis, secondo l’interpretazione della Dalmati; la situazione familiare e professionale del poeta, che si sente spesso recluso nella vita quotidiana di Milano e dovrà subire il dolore della morte della moglie; la graduale messa in atto – grazie all’incontro – di una nuova personificazione, anzi incarnazione del desiderio e dell’innamoramento verso la definizione di una poetica affatto diversa dalle precedenti, perché non più appoggiata sulla metafisica ma sulla vita reale, sulla autenticità dell’esperienza. […]
Queste 42 lettere, che ci hanno permesso di scoprire i significati sottesi e le circostanze adombrate in molti testi poetici montaliani, sono state rinvenute in una busta con dicitura di pugno della poetessa, e sono datate dal 1965 al 1974. Sono scritte quasi tutte su carta intestata del “Corriere della Sera” e sono firmate Eugenio o, più spesso, Agenore: il nome del mitico re fenicio di Tiro, di cui parla Erodoto, che fu padre di Europa. Lo stile della Dalmati, che conosciamo da altre carte autobiografiche, era vibrante, scintillante come una Sonata di Scarlatti, che lei prediligeva, ma lasciava trasparire ampi squarci di dolore e malinconia. Un’attitudine contrastante, che aveva a che fare con una personalità altrettanto dicotomica, trascolorante tra “bollori” d’Averno e sublimazioni “celestiali”.»
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Alessandra Cenni, da dove è iniziata questa ricerca?
Ho sentito parlare di Margherita Dalmati la prima volta da Vanni Scheiwiller, il più prestigioso editore milanese di poesia, che le era amico. Mi tornò in mente il suo nome e la sua figura, in occasione della mia attività di ricerca presso l’Università di Salonicco, al Dipartimento di Lingue Straniere e Comparate. Ho pensato proprio di occuparmi della sua opera, così importante e misconosciuta nel ’900, persino in Grecia, andando a cercare i documenti proprio nella sua casa, presso il suo Archivio, anche se, purtroppo, non avrei più avuto modo di conoscerla, essendo lei morta nel 2009.
Puoi dirci qualcosa sul misterioso nome con cui la Zoroyannidis decise di ribattezzarsi?
Come la Campo scelse questo nom de plume per ricordare i campi di sterminio, così, anche Maria Niki volle – credo – riferirsi alla persecuzione dei profughi dalmati durante la guerra di Jugoslavia e la dittatura di Tito. Sono degli eventi luttuosi della storia vissuta, le pagine più tragiche del ’900, che non volevano fossero dimenticati. Margherita, invece, forse è un riferimento sororale alla stessa Campo, nel nome di una semplicità ed essenzialità che accomuna la loro ricerca spirituale. Anche se a noi viene in mente, e veniva in mente anche a Montale, la Margherita di Faust…
Quali sono state le scoperte per te più importanti, in questa ricerca?
Innazitutto, la vastità e importanza della cultura letteraria e musicale della Dalmati, la raffinatezza del suo gusto poetico, il contributo enorme da lei dato alla conoscenza della letteratura neollenica in Italia e italiana in Grecia. I suoi meriti per una migliore conoscenza della letteratura del ’900 è dimostrato dalla mole dei suoi lavori: alcuni dei più importanti volumi di poesia grecomoderna, le traduzioni di Solomos, Kavafis, di Theotokas, di Seferis, dei poeti ciprioti di cui aveva sposato la causa, ma anche di altri autori in altre lingue: Twain, Pasternak, Pirandello… conosceva oltre l’italiano, il russo e l’inglese e probabilmente anche il francese, dato che fu amica di Albert Camus. Si tratta di una vita appassionata e avventurosa, dominata da un talento profondamente musicale. Pensate che era interprete affermata di clavicembalo e organo: tastiere sicuramente particolari, che sapeva suonare con grazia e maestria. La completezza del suo talento artistico si nota anche nella sapienza con cui scriveva i suoi versi, in cui la musicalità è prevalente, secondo il modello del prediletto Kavafis, di cui fu una delle prime traduttrici e di cui conosceva perfettamente il mondo poetico, tanto da possedere anche del poeta di Alessandria, tra i suoi spartiti, alcuni fogli manoscritti.
In che modo la Dalmati influenzò la produzione dell’ultimo Montale?
La presenza di questa Musa, dalla personalità insieme misteriosa e affettuosa, è presente in molti punti della poesia di Montale, da Satura, in poi, come viene detto dallo stesso poeta. Leggendo le lettere possiamo rintracciare nelle poesie d Montale accadimenti, condivise abitudini, gesti, simboli di questo amore lungo, quanto vissuto con nostalgia e tenerezza autentica. Nelle ultime raccolte di Montale ci sono molti riferimenti anche a qualcosa di mai evocato prima: oltre alla drammatica storia della Grecia moderna, in Botta e Risposta III, richiami alla Moira, al fato, agli dei e all’immaginario mitico con lei condiviso, come i fantasiosi animali domestici, totem di una natura potente e segreta o la delineazione di “angeli neri”, di ascendenza bizantina, che però portano abiti poveri nelle soffitte impolverate e suonano ancora melodie di organo che non vengono più ascoltate.
Quando possiamo sperare di leggere le lettere della Dalmati a Montale?
Sarà difficile. Personalmente ho cercato in ogni archivio, ma si suppone siano state distrutte, non credo dal poeta, che rispettava troppo la sua amica per farle questa offesa, piuttosto dalla moglie, Mosca, che prima di morire soffriva di disturbi nervosi, o dalla governante Gina che si era data il ruolo di custode dei legami familiari che avevano tenuto le redini all’esuberanza emotiva del poeta. Speriamo in un miracolo, chissà.
Cosa porterai con te, dell’appassionata figura che la Dalmati ha incarnato, nell’universo letterario?
Mi è capitato anche con altri autori che ho cercato di fare rivivere, curando e pubblicando le loro opere, come Emily Dickinson, Sibilla Aleramo, Antonia Pozzi… è come se le avessi conosciute, come se avessi potuto davvero parlare con loro, abitando nei loro scritti, per un tempo non breve. Mi è sembrata straordinaria la figura di Maria Niki: così riservata e segreta, e nello stesso tempo, estrosa e affascinante, capace di sedurre con la sua generosa affettività i principali geni del suo tempo, che le hanno voluto sempre bene, che è l’aspetto più importante, più durevole, dell’amore.
Mi piace immaginarla quando, da giovane, imparava la lingua italiana stando in piedi nelle librerie di Firenze e di Roma a leggere i libri dei poeti che di lì a poco avrebbe incontrato di persona, oppure quando studiava musica antica nella soffitta gelata tracciando sul tavolo il pentagramma, oppure quando si tuffava coraggiosamente per attraversare a nuoto lo stretto di Corinto. Mi dispiace non averla conosciuta di persona – è un rimpianto che ho – perché forse avrei seguito meglio anche la situazione del suo archivio e avrei potuto forse frequentarla nell’ultimo periodo ad Atene, in cui doveva affrontare una città che le era sempre più estranea e un mondo che la stava lasciando sola, senza avere la possibilità di fronteggiare la solitudine come aveva fatto da adolescente – come Antigone. Allora, per poter seppellire suo padre aveva dovuto subire un tentativo di stupro da parte di un ufficiale italiano, del comando di occupazione; eppure aveva reagito e aveva deciso di partire, dopo la guerra, proprio verso quel paese, l’Italia, con cui voleva riconciliarsi, nella poesia e nell’arte e nel tesoro di grandi amicizie che scaldarono i suoi ricordi per tutta la vita.
Eugenio Montale, Divinità in incognito. Lettere a Margherita Dalmati (1956-1974)
a cura di Alessandra Cenni
Edizioni Archinto 2021
Alessandra Cenni, dottore di ricerca con Label Europeo all’Università di Roma Tor Vergata, all’Università “Capodistriako” di Atene e Université de la Lorraine (Francia), sta svolgendo attività di ricerca presso l’Universita’ di Salonicco ed è docente di Letteratura Italiana nelle Scuole Superiori. Ha svolto ricerche di comparatistica, in particolare, italiana, francese e greca con una tesi di postlaurea presso l’Università Aristotele di Salonicco sui poeti ionici: Foscolo, Calvos e Solomos e con un dottorato europeo sull’orfismo nella letteratura del Novecento (Atene e Roma, 2014). Ha curato l’opera completa di Antonia Pozzi per diversi editori, dalla prima edizione moderna per Scheiwiller (1986), per Garzanti (2009), all’ultima per Bietti (2013, 2a ristampa 2016), oltre alla biografia: In riva alla vita (Rizzoli, 2002). In via di stampa l’edizione critica completa per Mondadori. Ha scritto numerosi articoli per riviste letterarie internazionali e partecipato come relatrice in molti Convegni di Italianistica. Collaboratrice di Istituzioni di Cultura Italiana all’estero ha organizzato Convegni letterari a carattere internazionale e partecipato a Festival di poesia in Italia e all’estero. Ha scritto i saggi storico-biografici: C’era una volta I Lombardi. Ritratto di Tommaso Grossi (Viennepierre 1989), Cercando Emily Dickinson (Archinto 1998), Gli occhi eroici (Mursia 2011). Ha scritto i romanzi Pietre e onde (Biblioteca del vascello 2013), A come Arianna (Aracne 2017). Ha pubblicato poesie che interpreta come performance di poesia visiva: Silhouettes-L’Altra Poesia (San Marco dei Giustiniani 1994), Le tuffatrici (Rangoni 1997), Corpi celesti (LietoColle 2010), Jeanne Delair abita qui (LietoColle 2015).