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Paolo Carlucci, Divagazioni sull’inquietudine sonora di Rainer Maria Rilke

Rilke (ritratto da Helmuth Westhoff)
Rainer Maria Rilke (1875-1926) ritratto da Helmut Westhoff, 1901 (Photo by Apic/Getty Images)
«Respiro, tu, invisibile poema».
Divagazioni sull’inquietudine sonora
di Rainer Maria Rilke

E dunque ci sarà l’angelo
che lentamente beva dai miei tratti
il vino rischiarato di visioni.
Assetato, chi ti indicò il cammino?

Tu dunque hai sete. Tu che in ogni vena
Scrosci il torrente in piena di Dio. Tu
hai sete ancora. Abbandònati
alla sete. (Ma come mi hai afferrato!)

Ed io scorrendo avverto
come era arido il tuo sguardo
ed al tuo sangue inclino tanto
da inondarti la pura arcata delle ciglia.

Poeta della sete e musicante tonale dell’ombra, così definirei l’inquietudine dell’esperienza (Erlebnis), di Rainer Maria Rilke (1875-1926), pilastro dello spirito europeo nella cultura del primo Novecento. Una siringa antica di Pan, per l’occidente al passo del proprio discorso ontologico e in attesa di timbri per l’anima in viaggio: è questo il cuore ermeneutico di I Sonetti a Orfeo, l’opera in cui meglio si svela il cammino poetico di Rilke, profeta dell’ombra in canto, che si fa medicina della distanza, mediante la musica della visione; questi sono dunque i cardini della cifra di Rainer Maria Rilke.

E ascese un albero. O puro trascendere!
Orfeo canta! Oh alto albero che nell’orecchio sorge!
E tutto tacque. Ma anche in quel tacere
fu nuovo inizio, segno e metamorfosi

Si senta la potenza di rinascita, quella reine Übersteigung, che dà piena e sublime liricità della visione, all’avvio di I Sonetti a Orfeo. L’opera, pubblicata nel 1923, è il frutto di un «innominato turbine» che risaliva alle prime poesie e plasma e cesella la poetica rilkiana; e termini come: ansia di un nuovo inizio, segno, metamorfosi, assurgono quindi a dei senhal, a gradini della Weltanschauung del nostro autore, voce di un’onirica inquietudine; un viaggio di iniziazione e rinascita, tra infanzia, ricordo e tensione di Vita totale. E nei Sonetti così, sin dall’inizio, il dolore per la morte di Euridice si cura col canto e la melodia; che è ritrovato amore, una sete appunto di vita che dal sonno, ombra di fanciulla che si trasmuta e si ridesta nebbia amorosa, in canto della ricordanza e pittura celestiale di natura.

E quasi una fanciulla era, sgorgata
da questa unanime felicità di canto e lira;
splendeva tra i suoi veli primaverili chiara
e s’adagiò nel letto del mio orecchio.

E in me dormì. E tutto era il suo sonno.
Gli alberi ovunque che ammirai e questa
lontananza tangibile, questi toccati prati
e ogni stupore che mi colse.

Questi versi, tratti dalla prima sezione, configurano una ricerca ombrosa della vita, attraverso l’amore e la fede nella poesia, in una sorta d’orchestrazione, di partitura ritmica e lessicale. Prove inconfutabili della sete, del bisogno di acqua d’Eunoè, di versi in colore di musica, per dare luce al Lete. E quello che l’Ur-Dichter, Orfeo fa, ma…  e scatta il tremendo angelo del Mito. Sull’onda dell’Ellade di Hölderlin, ma con un tono che, da romantico, si fa crepuscolo di luce, insomma moderno coro su scena vuota, così erompe il fortissimo rilkiano. 

Un Dio lo può. Ma come potrà un uomo,
seguirlo sull’esile lira?
L’uomo è discordia.
Non ha templi Apollo
dove in cuore s’incrociano due vie
.

Il mondo convulso della Modernità è quindi platonicamente inteso, come discordia e scissione. Come ombra del bene, la vita e la poesia è sete da spegnere in musica.
La complessità dei Sonetti a Orfeo è come tutte le opere apicali, un cammino a ritroso nella vita e nelle stagioni della poesia e della meditazione culturale di Rilke, celebre conferenziere in Europa di letteratura, arte e filosofia, risolte spesso in sinestesie  estetiche, ricche quindi di  sottesi simboli di molte di quelle suggestioni amplissime, che sempre animano la poesia lirica tedesca: dai modelli romantici di Hölderlin e Novalis, fino alle correnti dell’irrazionalismo, di un certo decadentismo e tardo romanticismo, poi basso continuo anche mitteleuropeo.
Ma è dalle prime poesie e dai Quaderni del Malte, l’opera in prosa più corposa di Rilke, che occorre partire, per trovare lo sguardo in fieri sul mondo del poeta. I quaderni di Malte Laurids Brigge sono la scrittura, in forma di diario, della crisi di un’epoca nel giardino d’ombre del cuore.
E questa è stata in anni lontani una delle mie prime letture del nostro praghese in fuga e in amore, nel teatro tra angeli e muse, epifanie di crisi nell’Europa tra Otto e Novecento, poi travolta dalla Grande Guerra, carnefice di vite e tomba del mondo di ieri.

Io imparo a vedere. Non so perché tutto mi penetra adesso più profondo; e non si sofferma dov’era solito arrestarsi e aver fine. Ho dentro un misterioso cantuccio che ignoravo.

Sembra quasi uno di quei consigli che maturati in ateliers di artisti e pittori, primo tra tutti, Rodin, che Rilke mutuerà in forma d’arte per un giovane poeta con lettere decisive sull’estetica e pagine sull’arte come stimolo poetico e religioso per ritrovare ombre di vita. Questo imparare a vedere è la cetra di un disagio in metamorfosi di scrittura compositiva.
L’opera di Rilke è fittissima di lettere, prose, canti, elegie del cuore e della morte. Il poeta dello spirito cristiano sente sempre quella sete sorgiva, fontale: e si fa sacerdote nuovo, rispetto a Baudelaire, di un tempio della natura sacralizzata.
Ampi orizzonti ha la geografia delle migrazioni rilkiane. Ecco le fermate del treno Rilke: da Praga a Duino, da Parigi a Berlino, alla Svizzera, infine e sempre, rifugio d’amore e morte, nel nido di Val Mont. Di tale vastità di temi, qui mi preme focalizzare il tema della sete, come approdo alla poesia rilkiana, non solo per quanto l’opera dell’autore delle Elegie Duinesi e dei Sonetti a Orfeo, abbia inciso nella mia coscienza letteraria e di poeta; mi interessa inoltre restituire, in queste osservazioni  intorno agli appunti sulla melodia di Rilke, la centralità di un canto memoriale, un estro bergsoniano in versi che il tremendo dell’Amore dispiega: angelo di abbracci nascosto nel fondo dei cieli del cuore, nell’opera del poeta; che sempre dunque  ritrova ispirazione nella memoria, nel colore dello spirito, nell’ombra della vita il suo canto  più alto e profondo.
E dell’Amore fa filosofia dell’unità, della fusione, del noi in una luce nuova e primitiva.

Come potrei trattenerla in me,
la mia anima che la tua non sfiori;
come levarla, oltre te, ad altre cose
[…]
Ma tutto quello che ci tocca, te
E me, insieme ci prende come un arco
Che da due corde un suono solo rende.
Su qual strumento siamo tesi, e quale
Violinista ci tiene nella mano?
O dolce canto.

Anche Rilke appartiene alla schiera dei fanciulli poeti, profeti al passo, che vibrano iniziatici: «Amo quell’ora che, diversa dalle altre, viene e va. No non l’ora, ma l’istante, amo questo istante di profondo silenzio. Questo istante nel suo nascere, questa iniziale del silenzio, questa prima stella che compare, questo inizio…»; e più avanti sempre la sete d’Amore di vita e di natura: «Amo questo vento, questo vasto vento di metamorfosi». E in questo contesto di agitati sonori ritmici, il tema del canto del fanciullo in Rilke, si fa alta tradizione europea: eco diverse intessono i versi di Novalis e Brentano, arrivando a Verlaine, Wilde e Pascoli.
Anche per Rilke la Musica è davvero tutto, un inno al movimento. Tempo verticale: un altro Angelo, innominato e liberatore. Dioniso il tremendo di gioia, come diceva Nietzsche, sull’onda del dàimon degli antichi Greci. 

Musica: respiro delle statue.
Silenzio delle immagini, forse.
Tu, lingua che estingue ogni lingua.
Tempo verticale che svetta verso cuori
Evanescenti.

Strumento sempre teso alla melodia remota delle cose, il verso rilkiano in conclusione si spiega nella musica del ricordo, nel canto primitivo del poeta che dà all’uomo in crisi, l’inappagato d’essere, strumenti di meditazione lirica.
Così, da poeta, Rilke offre la lira nuova del sentimento dell’ombra-luce che rinasce in cammino nel crepuscolo aurorale del mondo, in note di pittura assoluta.
Un continente lirico, il caso sempre aperto di un uomo in concerto totale di vita e di versi, Rilke, appunto, incarna la creatura angelica e tremenda della nostra poetica necessità.

© Paolo Carlucci

 


I riferimenti ai testi in traduzione sono stati tratti dalle seguenti antologie:
Rainer Maria Rilke, Liriche e prose, a cura di V. Errante Sansoni, Firenze, 1984
Id., Poesie, 1907-1926, a cura di A. Lavagetto, Einaudi, Torino, 2000
Id., Appunti sulla melodia delle cose, a cura di S. Mori Carmignani, Passigli, Firenze, 2006
Id., Poesie alla notte, a cura di M. Specchio, Passigli, Firenze, 1999
Id., Canto remoto, a cura di S. Mori Carmignani, Passigli, Firenze, 2011

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