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Edoardo Pisani, Rivoluzione Parente!

Rivoluzione Parente!

«Fuori dall’eresia non c’è santità.»
Barbara Alberti

È in libreria Lettere dalla fine del mondo, un ampio carteggio fra Massimiliano Parente, «scrittore che voleva essere scienziato», e Giorgio Vallortigara, «scienziato che voleva essere scrittore». Giorgio Vallortigara è un neurologo, come il Massimiliano Parente de L’inumano, capitolo conclusivo della Trilogia dell’inumano, l’opera maggiore di Massimiliano Parente, che comprende La macinatrice, edito da Pequod nel 2005, libro a lungo introvabile nelle librerie, Contronatura, uscito per Bompiani nel 2008, e L’inumano, appunto, pubblicato per Mondadori nel 2012. La Trilogia dell’inumano, che conta oltre milleseicento pagine, è uscita invece per La nave di Teseo nel 2017. Sempre La nave di Teseo dà ora alle stampe Lettere dalla fine del mondo. Dialogo tra uno scrittore che voleva essere uno scienziato e uno scienziato che voleva essere uno scrittore.
L’approccio di Massimiliano Parente alla scienza, o per meglio dire a tutto quanto concerne biologicamente e non solo l’animale uomo, che sia neurologia o biologia o fisica quantistica o antropologia, attraversa e travalica e in taluni casi annulla, rivoltandovisi, il suo interesse per la letteratura. Dietro la cartapesta di una supposta superficialità fatta di smalti rossi e incanti e noie e canzonette pop e sesso e serie tv e videogiochi, la tragicità dell’esistenza assurge a un suo essere fatta di nulla, nelle opere di Parente, alla disperazione di un essere umano destinato fin dal principio alla scomparsa e al silenzio, «quando non ci sarà più essere vivente né un pianeta né una stella ma solo l’infinito buio universale attraversato da particelle di luce alla deriva nello spazio desolato», come si legge ne L’inumano. Parente, l’io delle sue opere, si pone al punto estremo della parola umana vissuta e sofferta, non soltanto nella Trilogia ma anche nelle opere minori e successive, che possono essere considerate dei testi divulgativi della Trilogia stessa oltre che delle rivolte (comiche) all’arte e alla letteratura e dunque all’uomo. Le sue insopportabili o sopportabilissime opinioni, i suoi gusti, perfino i suoi sfottò, di certo i suoi amori e le sue ossessioni, fanno da sfondo a un pensiero che è cosmico e disperato e turbante e inedito e pericoloso al tempo stesso – pericoloso per il quieto vivere, pericoloso perché autentico. Quanto sarebbe facile ridurre Parente alla sua superficialità, che è anche la sua libertà di uomo e di scrittore, ignorandone la visione tragica dell’esistenza; quanto sarebbe facile e ingiusto e vile limitarsi a sfogliarlo tronfiamente e a inchiodarlo al suo infantilismo o a sterili polemiche riguardanti lui e i suoi articoli e le sue battute contro altri scrittori o supposti tali.
Contronatura, che è il secondo volume della Trilogia dell’inumano ma che nell’edizione de La nave di Teseo è posto come inizio, racconta la storia di uno scrittore e recensore di alluci, Massimiliano Parente, che si dibatte fra i ricordi di Scarlett, suo amore finito e scomparso, le lettere di una misteriosa Madame Medusa e la potente e famosa Naike Porcella, il tutto in un incontro/scontro fra la realtà del romanzo e le sue infinite sfaccettature televisive, epistolari, psichiche, genetiche, umane, disumane, mostruose. Si tratta di un grande romanzo sul sesso e sulle ossessioni, sull’amore, sull’odio, sul potere, sul mondo dello spettacolo, sul feticismo, sulla morte e persino sulla merda – Massimiliano Parente è un grande scrittore di merda, letteralmente: gli basta uno stronzo in gola per annientare e sublimare il proprio io, per rovesciare l’universo. Il narratore si muove con sprezzo fra il demi-monde letterario romano e gli umori di Naike Porcella, sopravvivendo a una Roma per così dire “schermata”, dove via del Corso diventa via dell’Indice di Ascolto, la Salaria via di Aldo Busi vestito da Zsa Zsa Gabor per Parlare di Letteratura agli Aspiranti Famosi da Amici di Maria De Filippi, piazza di Spagna Piazza dei Lifting Perfettamente Riusciti di Ivana Spagna e via di seguito. Lo sbocco del libro è racchiuso in un bacio rubato e in uno sguardo lanciato attraverso un vetro – e dunque schermato, ancora –, nella tragica irrepetibilità di ogni «vita pensante costretta a pensarsi», nell’ultimo «bacio umano tra due vite umane in via di estinzione da sempre».
«Dovremmo ricorrere alla biologia per comprenderlo» diceva Ennio Flaiano a proposito di Gadda, e il consiglio è altrettanto calzante (l’aggettivo non è casuale) per l’opera di Parente. Il protagonista del suo libro successivo, la terza parte della Trilogia, è infatti un ex biologo, come detto, il solito Massimiliano Parente, candidato al Premio Strenna ma senza un libro da premiare, disgustato dalla vita, dal sesso, dalla letteratura, dall’umanità e soprattutto da sé stesso, dall’io delle sue opere. «Con questo personaggio» scrive il narratore de L’inumano, «con l’uso cosciente e sistematico di Parente, cambio le carte in tavola sulla carta dei miei libri, a mio piacere, divertendomi a essere me fino in fondo senza doverne rendere conto a nessuno, tantomeno a me stesso perché dentro non sono nulla e per dare voce a questo nulla ho dovuto creare Parente e nessuno può odiare Parente più di quanto lo odi io». Dentro non sono nulla, quindi, e più avanti lo stesso narratore dirà che la perfezione dell’arte è non sentire niente nella vita, riallacciandosi alla struggente estetica di Contronatura: «L’ultimo genio è uno scrittore non più umano e non più animale, non più contraddittorio, senza più pensieri né scopi diversi dal dover finire il più presto possibile per poter mettere fine alla propria verità e assurdità.» L’inumano però cerca di spingersi oltre, oltre l’evoluzione e i limiti dell’uomo, oltre il linguaggio, oltre le consolazioni, oltre il DNA – «Siamo ammassi di carbonio, idrogeno, ossigeno e azoto, gli atomi che compongono il nostro corpo sono già appartenuti a miliardi di corpi organici, mammiferi, insetti, dinosauri, virus, nebulose, stelle, e tutto questo non significa niente di consolante per nessuno, non significa niente.» Il romanzo segue una struttura a spirale, simile proprio a quella dell’acido desossiribonucleico, snodandosi su due binari e alternando l’orrida vita del Parente scrittore alle ere geologiche, alla materia. Massimiliano Parente attraversa quindi le ere geologiche, però rinchiuso in un buco, nudo e legato, fra vomito e torture e immagini strazianti, alla ricerca di una parola assoluta e fine sé stessa prima che l’universo si spenga, una parola per non dire io, una parola vera per dire basta. Questa è la grande sfida de L’inumano.
Se Contronatura voleva e poteva essere un capolavoro, L’inumano è un controcapolavoro, cioè un romanzo che si ribella al concetto stesso di opera d’arte, all’uomo e alla letteratura. «Ogni parola che neghi la seconda legge della termodinamica» scriveva Parente in Contronatura, «o la tragedia dell’evoluzione, ogni parola che non sia vera e assurda e conficcata nella carne a cominciare dalla propria carne, sia reputata per quello che è: inutile tanto all’arte quanto alla vita, lavoro per scrivani timorati non di Dio, che non esiste se non per gli imbecilli, ma dell’uomo che gli fa pensare i pensieri dell’uomo, che lo riconosce solo se stupido come uno scrittore, come una volta si era stupidi come un pittore.» Come una volta si era stupidi come un pittore, ossia come una volta si dipingeva ignorando il caos del cosmo e la fine della materia e la tragicità del destino umano. Già in Incantata o no che fosse, il suo primo e ormai introvabile romanzo breve, Parente poneva Marcel Duchamp e Paul Valéry in epigrafe; e Valéry scriveva: «Io confesso di aver inteso la letteratura come mezzo, e non come scopo illusorio.» In La macinatrice, peraltro, romanzo dal titolo duchampiano (Parente si è laureato in arte contemporanea con una tesi su Marcel Duchamp) che narra di Andrea e di Elena e dello stupefacente Vagina’s World, i rimandi al cosmo e alla finitudine della materia sono molti, come in uno dei dialoghi fra alcune donne del sottosuolo, la Masturbatrice di Farfalle e la Vulva e Palmira, che dice: «Pensa se i buchi neri fossero i buchi del culo di noi donne, pensa se ogni volta che ci capita di farla su un maschio cacassimo materia collassata, gli attraversassimo la faccia, gli bucassimo il cranio, se il nostro stronzo superpesante perforasse il globo terrestre per poi uscire dall’altra parte, spappolasse un passante all’altro capo del mondo e poi si perdesse nello spazio…» – e qui, nel sottosuolo torrenoviano (della Torrenuova Edizioni, la sinistra casa editrice per cui lavora Andrea), c’è la cifra stilistica del Parente scrittore, fin dagli esordi, il sesso indicibile e perciò detto, scritto, la pornografia più oscena che diventa realtà e parola. Come il “vero” Massimiliano Parente, Andrea passa le giornate al giardino zoologico di Roma, a villa Borghese, fugando il Vagina’s World, guardando le famiglie che vagano e gli animali ingabbiati e proiettandosi egli stesso nelle gabbie, con gli animali, «per sentirsi più libero», allontanandosi dal mondo illusorio degli esseri umani – «Lo confortava il pensiero che per i due gorilla Bongo e Romina quella gabbia fosse tutto il loro spazio, tutto il loro mondo, tutta la loro gioia e tutta la loro tristezza. Come il mito della caverna di Platone, di cui aveva sentito parlare. Non avevano altre chance, Bongo e Romina, nati nello zoo, non le avevano mai avute, non potevano ricavarne né gioia né dolore né altri mondi possibili, migliori o peggiori, da desiderare in alternativa. Erano gli umani, liberati dalla religione, pur arrabattandosi nel tentativo di averne una, che non vedendo più niente nel cielo si consolavano vedendo nella libertà un feticcio…».
Non c’è scampo dalla condizione umana e animale, per Parente, non c’è e non ci sarà nessuna liberazione e quindi nessuna speranza possibile; il suo è un pensiero rivoluzionario perché disincantato eppure romantico, perché inumano eppure o perciò umano, troppo umano. Ora, a quasi dieci anni dall’ultimo capitolo della Trilogia, è in libreria questo Lettere dalla fine del mondo, libro che bisognerebbe leggere «seduti sulla fine del mondo come se fosse l’inizio», per citare un vecchio articolo (Osare, testimoniare, resistere) di Barbara Alberti, autrice che non ha mai nascosto la sua ammirazione per Parente, come Parente non nasconde, scrivendogli, la sua ammirazione per Giorgio Vallortigara. Le lettere fra i due, scrittore il primo e scienziato il secondo, trattano di scienza, di letteratura, di filosofia, di fede, di sesso, di verità, insomma di tutto quanto concerne lo scibile umano; e la prosa di Vallortigara, come quella di Parente, è ottima, senza gli appiattimenti stilistici e ritmici che purtroppo caratterizzano molti autori scientifici (ah, la dittatura dell’editing di stampo angloamericano!). Vallortigara cita, fra gli altri, Richard Dawkins, Umberto Eco, Daniele Del Giudice, Marguerite Yourcenar, Frances Yates, sant’Agostino (facendo inorridire Parente), Borges, Woody Allen, Montale, David Barash, persino Totò. Parente, che data le sue lettere in base all’anno di nascita di Darwin e che scrive da Roma e da Las Vegas, da New York e da Montreaux, in Svizzera, dove Freddie Mercury componeva le sue ultime canzoni, risponde con vari artisti e scrittori e cantanti e naturalmente con altri scienziati, pur criticando la scienza stessa, a un certo punto, o meglio gli scienziati come Vallortigara, perché «siete interessati anche voi alla specie, alla sopravvivenza della specie, pur avendo compreso che tutto procede per un meccanismo cieco e senza finalità, eppure vi interessa la specie, anche qui portando avanti un istinto che è identico a quello di qualsiasi altro animale, un istinto cieco di proseguimento dei propri geni.» Invece bisogna saper andare più in là, per Parente: «Bisogna pensare più in grande, bisogna andare oltre, bisogna superare i limiti del nostro ottimismo vitalistico, questo mi sono sempre detto. Anche se superare questi limiti porta la negazione di me stesso, di tutto quello che ho fatto, di tutto quello che mi ha portato in un punto che non potesse portare più nessuno oltre lì, che negasse qualsiasi illusione.»
Il pensiero rivoluzionario e tragico della Trilogia torna spesso nelle lettere di Parente. D’altra parte è proprio come uno scienziato, con un approccio libero e inventivo e deduttivo al tempo stesso, che per oltre vent’anni Parente ha affrontato l’arte del romanzo dall’interno, almeno fino a L’inumano (si pensi anche al suo saggio sulla Recherche di Proust, L’evidenza della cosa terribile, edito nel 2010 e citato per l’appunto in Lettere dalla fine del mondo); poi sono seguiti romanzi strutturalmente più “semplici”, per quanto irresistibilmente comici e a tratti tragici, con una predilezione per il mondo pop e la fisica teorica. C’è l’irriverente e geniale Max Fontana (il più grande artista del mondo dopo Adolf Hitler!), l’infantile e antiletterario Walter Moschino (o meglio: Batman), il Massimiliano Parente ossessionato da Vasco Rossi, eccetera. La stringatezza e l’esattezza dei primi romanzi (purtroppo ormai introvabili) sembra lontana, e tuttavia il Parente di Tre incredibili racconti erotici per ragazzi (2020) è altrettanto interessante e inedito del Parente di Mamma (2000) o di Incantata o no che fosse (1998).
Per finire: Massimiliano Parente, che un po’ marziano ci sembra, è nato il dodici ottobre, data dell’atterraggio a Roma del marziano di Ennio Flaiano (che coincidenza!) – e Flaiano scriveva, fra gli appunti postumi del Diario degli errori: «Quando avremo sondato l’Universo alla ricerca della nostra incapacità di dominarlo e di capirlo, dovremo ritornare al Poeta e concludere che a muovere il Sole e le altre stelle (a muoverle, ma non a spiegarle) è l’Amore. Allora la nostra fede non sarà più liberatrice, ma deduttiva, accettata per la nostra incapacità di andare oltre. Crederemo perché è evidente, non perché è assurdo.» Ecco: chissà cosa pensa l’antipoetico (e perciò poeticissimo) Massimiliano Parente di queste parole, dell’Amore e del Poeta; speriamo che non le liquidi con la strafottenza antifilosofica di Max Fontana o di Walter Moschino (ai quali risponderemmo citando il filosofo ignoto, alias Guido Ceronetti: «La sfida della scienza alla filosofia è questa: Fatti mia serva se vuoi sopravvivere. Per restare libera e non doversi umiliare la filosofia si ritira nell’ombra e aspetta che tornino come proprio futuro i pensatori presocratici…»).
Per essere davvero utile, e perciò duratura, una rivoluzione del pensiero deve anche ribellarsi a sé stessa, saper vedere oltre le proprie certezze e i propri magnifici incanti, come d’altronde ha sempre fatto la scienza, rimettendosi continuamente in gioco. Lettere dalla fine del mondo è uno splendido libro, uno scambio epistolare che coniuga scienza e letteratura e filosofia e arte; e siamo lieti di aver scoperto Giorgio Vallortigara, già autore, con Nicla Panciera, di Cervelli che contano, saggio che si apre con l’Argomentum Ornithologicum di Borges, da L’artefice, o di Nati per credere, che viene citato a più riprese in Lettere dalla fine del mondo e che leggeremo presto. Quanto a Massimiliano Parente, è un grande e rivoluzionario scrittore che per nostra fortuna, e anche al di là del suo scrivere romanzi, non ha ancora finito di stupirci e incantarci.

© Edoardo Pisani

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