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La campagna di Andrea Biondi (Nota di Valerio Ragazzini)

Per chi è abituato alla vita di città, ai grandi impianti industriali, agli abbaglianti ipermercati che si stendono a perdita d’occhio in mezzo a un mare di automobili parcheggiate, sembrerà strano parlare di campagna. Poi, quando se ne parla è inevitabile immaginare un mondo perduto, un mondo più vero e dai tratti bucolici. A nulla sono serviti i libri come Paesi tuoi di Cesare Pavese, o Il podere di Federigo Tozzi, solo per citare i primi che mi vengono in mente, a scalfire l’aura paradisiaca del mondo contadino, se paragonata all’inferno della metropoli.
Ma da dove vengo io, la Romagna, vi posso garantire che di campagna ce n’è ancora molta, ma non possiede affatto i tratti affascinanti che vi aspettereste. Qui la campagna ha trasformato la terra in fabbrica, e le logiche utilitaristiche secondo cui un figlio equivale ad un operaio in più, si sono concesse al demone del mercato.
Davanti a quelle distese perse nella nebbia, spezzate solo da uno due alberi contorti che graffiano il cielo, si è sopraffatti da un sentimento di sconfitta, di cedimento. La fatica di generazioni di padri si abbatte su di noi fino a farci crollare esausti in mezzo ai campi lavorati da mani antiche quanto il mondo. Ecco, la sola vista della campagna mi provoca una grande debolezza. Quella terra brulla e squassata dagli aratri ha il volto straziato del Cristo deposto dalla Croce, il corpo ferito dal sole e coperto di mosche. Nella quiete della notte è la quiete della morte, e la campagna è un invito a cedere, come il Cristo cede per salvare l’umanità.
Io credo che soltanto chi vive in tutta questa campagna, fatta di uomini ruvidi e a tratti sgradevoli, fatta di invidie e risentimenti, ma anche di un profondo sentimento religioso, di pani benedetti, fave dei morti, cimiteri piccoli e appartati, soltanto costoro possono comprendere appieno il significato delle poesie di Andrea Biondi contenute in Le campagne hanno bocche (Fara) e in Ghironda (Fara).

Le campagne hanno bocche
che sono porte del dolore.
Quando scendo ai campi
vedo macchie qua e là
come spiriti che affiorano.

La città dei morti è nei campi
con midolli che corrono lungo i fossi
e parole sparse su bianche lenzuola.

Sicuramente un uomo
ha disegnato su molti cocci,
deve aver amato molto.

Biondi ha origini romagnole, ma la sua campagna è quella marchigiana. La campagna della fatica e del sudore, della trebbiatura e del raccolto, cambia volto quando scende la notte, dove s’aprono bocche in grado di liberare i morti. E allora torna la paura ancestrale, gli uomini perdono arroganza e mutano in pecore in cerca d’un pastore, in cerca del Signore.
La campagna sa essere brutale, lo sappiamo. La letteratura ci presenta questi uomini che lavorano la terra a testa bassa, cercando di mescolarsi a loro senza però mai riuscirvi. Ma il poeta è lì come sacrificio, come Agnello pasquale e muore appoggiato a una vecchia pietra.

Ho ripensato alla mia vita
e mi sono incendiato
come rami nei roghi campagnoli

Se è vero che l’Agnello va errando in attesa del suo sacrificio, ecco che questo simbolo di debolezza è l’unico candore che può alleviare le paure di notti troppo lunghe e buie. In mezzo alle ruvide storie di campagna, nel pane duro affettato male e nelle camere spoglie dei casolari, l’agnello viene a consolare le anime inquiete. Allora, la campagna si fa ancora luogo dove l’Agnello riluce di candore; dove tutto è notte, Egli viene a consolare i vivi e ad accompagnare i morti con la dolcezza di un canto.

Mi sono seduto al tavolo e ho parlato coi morti.
Avevano per me grandi ceste di erbe selvatiche
amare e scure come passi nella soffitta.

È salito uno spirito agitando una palma benedetta,
descriveva nell’aria versi cortissimi,
una bimba lo guardava e gocciava latte dai seni.

Dalle visioni di Biondi emergono paesaggi familiari e spettri, e l’Agnello si aggira in una campagna ancora carica di simboli pagani. Ci sono ancora leggi che parlano di donne gravide, presagi, vincoli, e tutto questo si mescola e tenta di trovare una conciliazione. Proprio quando Biondi ci parla degli strani riti (fanno eccitare i seni con versi/ velocemente vergati lungo la curva della mammella/ da una piccola mano di bambina) ci rendiamo conto quanto sia complicata la conciliazione tra il desiderio della salvezza, della redenzione, e la carne che si fa terra di conquiste. Così, tra corpi arsi del desiderio e la purificazione dell’Agnello, la campagna ancora mostra il suo volto stravolto, a metà tra fede e pregiudizio, tra dolore e salvezza, tra mille pianti e una danza senza fine.

© Valerio Ragazzini

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