Gabriella Sica, Tu io e Montale a cena. Poesie per Zeichen
(InternoPoesia, 2019)
Nota di Sasha Piersanti
«A casa di Gabriella Sica/ a Porto Ercole vecchia,/ dalla finestra, lontano/ noto un aquilone contromano/ tra Forte Filippo e il mare,/ il volatile vira e risale» (Porto Ercole, in Neomarziale, 2006). Chissà se ci pensava, mentre scriveva questi versi, chissà se ci avrebbe mai pensato e se, gliel’avessero detto, ci avrebbe poi creduto, Valentino Zeichen, poeta tra i più grandi del secondo Novecento, che proprio dalle mani di quell’ospite, di quell’amica, sarebbe nato un intero libro dedicato a lui: Tu io e Montale a cena. Poesie per Zeichen (InternoPoesia, 2019).
Gabriella Sica sceglie di tornare alla poesia, rompendo un silenzio durato dieci anni (l’ultima raccolta, Le lacrime delle cose, risale al 2009), così, con un libro che è dedica e canzoniere, album dei ricordi e biografia, compianto e cronistoria, tutto incentrato sul suo rapporto d’amicizia con Zeichen, rapporto che, dallo scoccare di una vera e propria “affinità elettiva” negli Anni Settanta (galeotto fu Pagliarani), è durato fino alla scomparsa di lui, avvenuta nel 2016. È durato, sì, ma dovremmo forse dire “dura”, ché questi versi si fanno leggere non solo come racconto di qualcosa (qualcuno) che fu ma anche e forse soprattutto come testimonianza di qualcuno (qualcosa) che resta, che resiste, quasi Sica riuscisse a tenere ancora insieme, davvero insieme, se stessa e quell’amico, in un florilegio di poesie che, per quanto scandite dalla ferrea cronologia del dolore, dall’implacabile lancetta del lutto, trasudano e trasmettono vita.
Combinazione tutt’altro che facile e tutt’altro che scontata da trovare, come s’immagina, questa, che Sica raggiunge e replica, domina, grazie agli strumenti più affilati della propria tecnica poetica e, a tratti, di quella di Zeichen (presa in prestito o istintivamente simulata per esplicito omaggio), tessendo versi che al dolore lancinante del ‘cosa si dice’ contrappongono l’analgesico del ‘come lo si dice’: da un lato melodia, elegia e quasi classica levitas – tipiche di Sica, maestra nel far cantare sillabe e accenti e nel respirare ripetizioni e inarcature senz’affanni:
Che tu potessi tu anche tu morire
neppure ci si pensava
vecchio ragazzo solo e a zonzo
con gli amici i vecchi ragazzi
per la tua bella Roma sempre
immortale com’eri già da vivo.
Un segno volevi lasciare a tutti
insegnare come si sopravvive
a dispetto del male
con poco nel poco per poco
come si vive vivo tra i vivi
dopo una gran catastrofe sonora
con tutto nel tutto per tutto.
(Che tu potessi tu anche tu morire)
e dall’altro ironia, lucido disincanto e narrativa – tipiche di Zeichen:
All’ombra della Casa di Goethe
a via del Corso incontro Valentino
lui con i guanti e il cappotto
14 gennaio e anche io con il cappotto.
“Sono stanca sai, amico mio caro
stiamo invecchiando, qui in cammino!”.
“Eh, sì, certo, stiamo invecchiando”.
“E quale sarebbe l’alternativa?
Morire da giovani senza acciacchi!”
“Già, ma vedi ormai è troppo tardi!”
(Due dialoghetti)
Il risultato, come si vede, è un insieme certo organico, organizzato (si noti, a tal proposito, il rigore della struttura: una sezione proemiale, In limine, con due poesie scritte tra il 2013 e il 2015, e un epilogo, Altre due poesie, all’insegna della rinascita: “Sta nascendo ancora qualche bel fiore”, che incastonano le Quaranta poesie che sono il vero e proprio racconto-in-versi, dalla malattia all’ingannevole recupero fino alla morte di Zeichen), ma sensibilmente variegato, plurale nei timbri e nelle scelte di tono, tra momenti più asciutti e distaccati e altri più coinvolti e commoventi, con anche richiami più o meno evidenti ai grandi della nostra tradizione (oltre al Montale simpaticamente evocato dal titolo, “classico”, per altro, tra i pochi apprezzati da Zeichen, è visibile in controluce la lezione di Ungaretti: «esule come si sente coi suoi morti/ … / tiene su le quattro ossa…») e un certo dettato volutamente ‘infantile’, in linea con tanta parte dell’opera di Sica (si ricordi, ad esempio, Poesie bambine, uscito nel ’97 per La Vita Felice, che, per inciso, trovò proprio in Valentino Zeichen un forse inaspettato estimatore: chi scrive ha avuto l’onore e l’onere di catalogare tutti i libri presenti nella celebre “casa-baracca” di Zeichen e di visionare così le tante postille critiche che il poeta annotò sulla propria copia di quel volume), che sa dar voce universale anche all’angoscia più privata:
Non so se ci sei madremadonnina
se ci sei salvalo salvalo tu se mi ascolti
fallo tornare tra noi
al dolce tepore d’aprile
questo non è uno scherzetto
prometto lo inviterò di più a cena…
(E ora che a Roma è aprile)
Voce universale, abbiamo scritto, sì, e sì, Tu io e Montale a cena è il libro che un’amica dedica a un amico, ma no: non c’è alcun un paradosso, alcuna contraddizione. Viaggiando sempre sul terreno del poetico senza sbandare nei facili –ismi del cuore e dei contenuti, rigorosa com’è nella guida di retorica e forme mai però gelide, infatti, Sica sa dare al racconto di questo rapporto e di questo dolore privati delle coinvolgenti tinte classiche: al netto di ogni specifico storico e biografico (ma qui, si ricordi, siamo di fronte a due poeti, a due “grandi” della poesia contemporanea, per cui il loro rapporto non è, non può essere solo… il loro), quell’amicizia, quel rapporto, quel lutto e quella morte sembrano aver a che fare davvero con tutti noi. Noi, i vivi, sopravvissuti ai nostri morti, convinti tutti che “la vita ci proteggerà ancora un po’” (Quello che una vita è stata è e sarà).
© Sacha Piersanti
15 marzo 2020
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Valentino al vetriolo
più che a Gozzano
dopo la Scuola di Francoforte
(come burbero scriveva il Paglia
pensando al minimale
per te valentinozeichen caro)
io ti somiglio al caustico Cardarelli
non so se più in dissidio con sé stesso
o con l’altro di turno
e più al bastian contrario Bernhard
sempre e per partito preso
Valentino coriaceo al vetriolo
stai nella tua area di rigore
gelida area di esodo corrusco
di esilio da persone e cose
dove giocando in contropiede
strappi reticente e predace pezzetti
d’anima ai poeti
impertinente pensando al massimale
e come un guanto lo rovesci
in punta di fioretto
nel tuo veemente duello mentale.
3 febbraio 2013