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proSabato: io Carla Lonzi – Diario

1972
1 nov. Sono seduta sul letto dell’hotel Principe a Firenze. Alle otto mi sono alzata e, da sola, sono andata in giro: era bellissimo sui lungarni, mattina limpida e sole caldo. Ieri Simone è venuto a casa con una scatola di cioccolatini e ha conosciuto mia madre: dopo esattamente nove anni che ho una relazione con lui. Mi è venuto da pensare che forse l’ho presentato alla fine della relazione. La sera mio padre ha detto che non vuole incontrarlo, non ne vede la necessità. Ha chiuso l’argomento con un “Lascia stare”. Ho ritrovato mio padre come l’avevo conosciuto: al di fuori di ogni possibilità di vedere i bisogni degli altri e di volerli soddisfare. Per questo i miei fratelli hanno rifiutato la sua officina, perché è insopportabile stare con uno che pretende da te quello che lui ha stabilito. Mio padre calpesta le persone senza accorgersene, nega loro quello che desiderano, è infallibile in questo, coglie esattamente quello che deve negare. È notte: anche mia madre è come la ricordavo: incapace di essere aggressiva, maestra nell’essere frustrante, forse perché è così facilmente delusa dagli altri. Insomma, mi dà sempre l’impressione di essere stata una frana rispetto alle sue aspettative e che comunque non drammatizzerà la cosa tanto ce n’è ancora per poco. Le ho detto “Papà non vuole conoscere Simone per riguardo a Raffaele che intanto si sposa”. Dice lei “Non sai essere diplomatica: ci vuole un’occasione qualsiasi, un incontro casuale che tolga papà dall’imbarazzo: se Simone viene a casa è troppo ufficiale”. Dico io “Ma mamma, sono nove anni che stiamo insieme, vale la pena superare un po’ di imbarazzo: per me è assurdo andare su è giù lasciando Simone in macchina ogni volta”. E lei “Ma io non sapevo niente di questo traffico su e giù, credevo che stessi qui un paio di giorni e poi te ne andassi con lui. Insomma, è riuscita a concludere che si aspettava una mia visita più breve. Me ne sono andata da Simone che era ad aspettarmi sulla piazza, ma certo che l’incantesimo in casa è rotto. Non riesco a mantenerlo più a lungo di quando, da piccola, tornavo a casa dopo aver fatto la comunione. Se una donna vive anni e anni, quaranta e più come lei, con un uomo, è impossibile ragionarci. A volte ho vagheggiato di ritrovarla dopo la morte di mio padre, ma è assurdo. Poi non sta mai ferma quando si parla: traffica in cucina, sposta delle cose, spolvera, fa il letto girandoci attorno velocemente, lava qualcosa in bagno. Così l’ho vista nel sogno detto di Lenin. Fa dei lunghi monologhi su cose che non la riguardano, anche un film o una notizia letta sul giornale, non annette particolare importanza a quello che ha a che vedere con i figli. Capisce che non c’è da aspettarsi niente da loro se non cose di riflesso, belle o brutte, e comunque non all’altezza dei suoi sogni di madre. Però è come se volesse nasconderci tutto questo, o farlo trapelare ogni tanto per punire un po’ chi avanza delle critiche o pretende qualcosa. Eppure il suo mondo sono stati i cinque figli, e il marito era piuttosto un essere da capire, da prendere per il suo verso che da intrattenercisi. Essendo tutta dedicata alla famiglia e così sottilmente e inesorabilmente delusa da essa, mia madre ha lasciato nelle figlie un desiderio molto forte di riscatto ai suoi occhi. Io, per fortuna, le sono sempre apparsa altezzosa e più incline verso il padre che verso di lei, forse perché, dice, avevo capito che era ”il capo della famiglia“. Avevo portato con me il diario dai tredici ai quindici anni, probabilmente per Simone ma una sera che eravamo nel discorso gliel’ho detto e ho immaginato che le sarebbe interessato, le ho citato qualche passo. Ma al momento di darglielo, si è schermita vivacemente: aveva da fare, per carità! E non me l’ha più chiesto. Per fortuna che è sempre stato così e non sono rimasta invischiata dal bisogno di farla contenta, per esempio, avendo più figli, tanto non è contenta lo stesso né con Lucia né con Nicola che he hanno tre per uno: si aspettava di meglio da loro, ma cosa? Forse una carriera brillante, un buon stipendio, un bel marito, studi e divertimenti… Ma, non so, non so immaginare, non l’ho mai immaginato. Comunque è così: non si può comunicare che fuori dalla famiglia e chi vuole la verità deve abbandonarla.

3 nov. Sono in campagna: mi sento così felice in mezzo alla natura, mi sembra che finalmente sono dove mi piace stare, tra l’erba, le foglie, gli alberi, con la terra morbida sotto i piedi. Mi viene un gran senso di pace e il pensiero che potrò fare quella corsa che ho sempre rimandato. Così Simone è così, che ci siamo accettati integralmente l’un l’altro, però lui è ancorato a me mentre io non sono ancorata a nessuno perché ho sperimentato la risonanza.
In principio era la risonanza di Sara in me di me in Sara.

4 nov. Santa Carla vergine e martire. Come avevo promesso alle suore del collegio sono diventata santa vergine e martire, e ora voglio entrare nel paradiso.
Sono a Siena: è una mattina limpida e Simone fa la doccia. Abbiamo parlato e gli ho detto che anche lui mi ha adoperata perché la mia coscienza era senza sbocco. L’unico sbocco restava il suo. Infatti mi è sempre suonato falso quando affermava di essere attaccato a me per il richiamo erotico. Non ha riso quando gli ho detto che ero stata santa vergine e martire, ma avevo perso di vista il paradiso, cioè la realizzazione che avrebbe dato un senso all’autenticità salvaguardata.

5 nov. È evidente che non mi sono amalgamata mai in nessun gergo né ambiente. Sono sempre la più silenziosa, per un intero pasto non apro bocca, sono tranquillamente a disagio. Se non hai complicità con gli altri non troverai mai niente da dire, oppure quello che dirai sarà un niente. Mi sono sempre chiesta perché quella ragazza così artefatta e balorda (ce n’è sempre una almeno in ogni occasione) possa dire, ascoltata, tante stupidaggini. Perché accetta l’indulgenza degli altri e ne solletica l’orgoglio continuamente. Io mi sento di un’ingenuità sconcertante, infatti vorrei rivelarmi agli altri, ma non so essere me stessa che nel silenzio.

7 nov. Sono in treno da Firenze a Milano. La mamma mi ha accompagnato alla stazione. Stamani le ho detto che lei deve avere le sue opinioni, non modificarle per giustificare il babbo. Ha avuto piacere a conoscere Simone? Dunque, cosa le è venuto in mente di trovare tanti argomenti assurdi per convincersi che papà ha ragione a non volerlo conoscere! Io non ci penso neanche a volermi immedesimare con Simone, non siamo la stessa persona, così mantengo il mio punto di vista sia o no in contrasto con il suo. A un certo punto le è uscito fuori che noi dobbiamo rispettare il babbo. Ecco la sua paura, paura che si abbatta il mito e tutto vada perduto. E’ il mito che lei ha di suo padre. Il nonno era un uomo molto distinto, sua madre era una contessa, non so se dipende da quello, comunque le i aveva sposato un sensale di grano perché la sua famiglia era decaduta. Ho delle lettere del nonno indirizzate in collegio “Alla Giovanetta C.L.”, poi altre frasi stereotipe (allora, poverino, era in ospedale con un cancro): aveva un misto di ufficialità e di modi toscani un po’ grevi/ Per esempio, ricordo che una volta ci lasciò allibite, me e Lucia bambine, perché durante una passeggiata ci chiese “Dov’è un pisciatoio?”. Io non sapevo quella parola che mi suonò molto volgare. Da piccola, l’estate sparivo con i genitori e Lucia a Genova: la nonna era morta (la matrigna di mia madre), ma c’erano tantissimi zii, circa quindici. La mattina mio nonno girava per la casa in pigiama, paglietta e canna da passeggio e svegliava i dormiglioni. Ricordo di avergli visto i genitali attraverso l’apertura dei pantaloni, qualcosa di ciondolante e strano, riuscivo a distinguerli anche abbastanza bene.
La mamma stamani mi ha rinfacciato delle cose, era proprio eccitata, l’ho sentita che parlava da sola, anch’io ero eccitata, mi ha detto “Permalosa”, come al solito, che lei è altruista e io no, che ha sempre pensato agli altri e che si sente superiore in tante cose anche dal babbo. Però non ha mancato di farmi notare quanto lui è intelligente, anzi intelligentissimo. Prima mi aggrediva, poi diceva che le facevo perdere tempo e doveva pulire la casa, ha sfogato un po’ di risentimento verso di me, e alla fine era più sollevata. L’ho lasciata sola e me ne sono andata a piedi per Firenze, cosa che mi piace moltissimo. Non ho più l’oppressione dalla città, ho superato l’astio che mi provocava, mi accorgo quanto è bella e come è conveniente comprarci qualcosa: guanti, scarpe, pullover. Al ritorno avevo questo diversivo degli acquisti da spartire con mia madre. Mi vede fare la stessa cosa che fa lei: andare in centro, scoprire qualche stupidaggine nei negozi, e il buon umore al ritorno. Abbiamo riso insieme, mi ha parlato ancora del suo passato, certi episodi li ripete tante volte nel tempo, però non la lasciavo proprio perdersi là dentro, riportavo a noi due. L’interessamento reciproco è la chiave per comunicare: se lei mi parla troppo di altro mi sento trascurata, ascolto di malavoglia. A un tratto mi è venuto da pensare “Cosa diavolo ho in comune con lei? Cosa potremmo mai scambiarci?”. Ma mentre pensavo così mi sentivo a terra, molto immatura e anche frettolosa. Certo, avevo immaginato di fare breccia nella sua scorza istantaneamente, l’avevo tanto sognato… Mia madre mi vede una potenzialmente prepotente e si difende, io le avevo dato quest’immagine per rassicurarla, in realtà le rivelavo come lei, così impotente e occupata a autoingannarsi, mi facesse paura.
Ho parlato anche con Adolfo. Ho avuto l’impressione di averlo fatto troppo, lui interveniva così poco, ma volevo rompere la riservatezza fra noi. Mia madre dice che mio fratello è un tipo piemontese come lei e che io invece sono fiorentina come mio padre, cioè un po’ parolaia e collerica. Simone mi piace sempre quando è con le persone: non strafà, non è sovrabbondante, ha dolcezza, ma certo non si scopre veramente. Una volta mi ha detto che quando ha conosciuto me, e lui era in piena crisi, ha capito che poteva smettere di fare l’arrampicatore, che poteva liberarsi dell’ossessione di riuscire nella società. Gli rimane molto grosso comunque il problema economico e il senso della riuscita di fronte a se stesso. Però mi ha sollevata quando ha risposto (io gli dicevo che l’artista fa l’opera perché non crede all’autenticità nei rapporti umani) che l’opera non è liberatoria. L’ha detto proprio dal cuore.
Parlo al telefono con Ester. Mi informa che stava conversando con Giulio T., che è un artista cosi straordinario. Io ribatto “Non mi fido di te”, e altre cose. Lei rimane calma, mi sembra un po’ faccia tosta come Vanda, ribadisce che è in gamba e come è bello stare con lui. Io incalzo “Hai una faccia come quella fotografia sul catalogo”.
In effetti mi aveva colpito sfavorevolmente l’espressione che aveva Ester nella foto di una rivista. So che sta per aprire una mostra e tutto l’insieme mi ha fatto un’impressione molto brutta.

8 nov. Sono arrivata a Milano ieri sera. Che tristezza! Nebbia, grigio, solitudine. Oggi è venuta Sara: era triste anche lei perché ha perso la speranza nel suo amico. Pensavo che sarebbe stata qui tutto il pomeriggio, invece all’improvviso se ne è andata da Agata. Dopo la prima sorpresa, poco più di un mese fa, di un rapporto tra loro più intenso di quello tra me e Sara, adesso mi sento liberata dall’essere la preferita i suoi noblesse oblige. Ancora ci ricasco se mi distraggo, per me è una sensazione così nuova non vedere più lontano delle altre. Ritrovo la sicurezza appena mi succede, ma la sicurezza di prima non mi serve, quella nuova è come un uccellino senza penne che non sa staccarsi dal nido, non sa volare tra gli alberi. Ma ogni mattina è più robusto e cresce a vista d’occhio. Di nuovo penso che, se papà morisse, essendo io divorziata mia madre verrebbe ad abitare con me, un bel privilegio! Però non vorrei che lui morisse, ma smettesse di lavorare: chissà chi è se non ha gli orari, le soddisfazioni, le preoccupazioni, la meta e la soluzione di sé nel lavoro. Mi piacerebbe godermeli un po’, a questo punto il rapporto coti loro non è più pericoloso. Mia madre è orgogliosa del fatto che non mi lascio fregare, secondo lei. In un treno affollatissimo sono salita per prima e ho trovato posto. Stasera c’è il gruppo, l’avevo quasi dimenticato. Un uomo non può liberare una donna. Mi chiedo se andare in Toscana da quegli amici con cui non scambio niente, solo per il riposo o per la trattativa della campagna, sia disonesto. Certo vorrei riuscire a comunicare con loro oppure non farmi più vedere.

1973
1 nov. Sara mi chiede “Chi è stata tua madre? Io non ho difficoltà a dire che sei stata tu”. Anche a per me è stata lei perché prima avevo il vuoto, oppure amiche come Ester che era solo materna. Dovevo risalire a suor Caterina per ritrovare la madre. Non avevo capito che la mia difficoltà con le donne deriva dal fatto che con me si inferiorizzano, così mi sono buttata nel femminismo e si sono inferiorizzate ancora di più. L’idea di cambiare le cose sembra esimere dal capirle. Per me cambiare le cose voleva solo dire non accettare l’incomunicabilità. Provocare incontri sul tema del disagio. Simone mi ha chiesto coni mai lui si sente completamente soddisfatto da me mentre non altrettanto pare sia io. Ho risposto che una delle ragioni è che lui ha dieci anni di più così mi costringe a affrontare sensazioni, esperienze, senso della vita propri di un’età diversa dalla mia, e forse questo mi immalinconisce un po’. È rimasto male e ha esclamato “Mollami, per carità”, ma io non voglio mollarlo, solo tirare fuori questo problema. Poi ha dato un po’ di matto dichiarando che può far ricorso ai privilegi del maschio e prendersi una donna molto più giovane di me, anzi può comprarla, ecc. Adesso che scrivo sta leggendo il «New Yorker» un po’ sostenuto, ma sono sicura che riflette. Con Simone sono brusca o violenta, può sopportarlo, così mi rivelo completamente e divento cosciente dei miei contenuti. Comunque con lui ho un precedente: mio padre; mia madre no, la vedevo troppo fragile. A suor Caterina raccontavo ciò che non andava di me, le mie vittorie e sconfitte, ma non avrei mai potuto aggredirla, cantargliele.
Oggi è importantissimo quello che ho capito: siccome ero più grande di mia sorella lei mi sentiva sempre più avanti, così covava ostilità per me. Io non potevo rendermi conto di quella ostilità, così pensavo di avere fatto qualcosa che non andasse, per esempio non essere stata abbastanza attenta, delicata, buona consigliera. Tanto più che lei, essendo sempre più bambina di me, mi sembrava più indifesa, più ingenua. La mia maggiore esperienza mi si presentava anche come una colpa. Mentre la sorella maggiore disturba l’altra sorella con la sua superiorità, la sorella minore disturba la maggiore facendola sentire in colpa. In colpa per essere più avanti. Questo è il senso di quel pezzo mio che sarà riporta alla fine del suo libro dove dico che devo imparare da lei, che lei è più autentica e io compromessa nel mondo maschile. Ugualmente, rispetto a Lucia a sedici anni, io a diciotto e mezzo mi sentivo ahimè più temeraria, più capace, più lontana dalla zona “innocente” dell’infanzia. Ma allora il recupero della parità impostato dalla minore è una castrazione della maggiore.
Ieri Sara mi parlava come discolpandomi della mia superiorità che è un dato di fatto molto comprensibile: tra l’altro sono, appunto, maggiore di età. Dunque era questo che cercavo: di liberarmi dal senso di colpa dovuto all’essere stata in gamba rispetto a altre donne più passive, pigre, impaurite, o semplicemente più giovani. La minore subisce la maggiore, ma cerca di smentirla per liberarsene. Così io sono stata guardata con sospetto da Lucia per tutto quello che ho fatto. Tacitamente sottintendeva le interpretazioni peggiori. Ho dovuto ignorarla, fregarmene; ma il suo rimprovero pesava su di me. Quando da ragazzina mi appassionavo di religione, e in casa litigavo con il padre senza cedere ma scatenando così il putiferio, quando cominciavo a truccarmi, a uscire con i ragazzi, a fare discussioni con loro, a avere rapporti sessuali, a andarmene di casa, a convivere con Raffaele, quando sono rimasta incinta, quando ho voluto sposarmi in comune, quando ho trovato rispondenza con gli artisti, quando mi sono separata da Raffaele, quando mi sono messa con Simone, quando ho detto che il femminismo non c’entra con il marxismo, quando ho affermato che la clitoride è nevrotica, ma più autonoma, ecc., ogni sbocco mi veniva contestato dalla minore che seminava la mia strada di dubbi. Così per me è stato durissimo quando ho avvertito che anche Sara dubitava di me, ma finalmente ho cominciato a prendere coscienza del problema, mentre prima, siccome avevo così battagliato con l’uomo, credevo che fosse lui il mio principale problema. Avendo ammesso quanta insicurezza e tortura mi aveva inflitto Lucia, e l’anno scorso Sara, ho cominciato a liberarmene. Mentre Ester, e prima di lei Marion, si erano fermate alla formulazione di accuse con cui sembrava loro di giustificarsi della subita interiorizzazione, quasi fosse un puro dato in perdita e non invece un’implicita ritorsione. Sara come me voleva andare in fondo al nostro rapporto per vedere gli inganni in cui personalmente si è portati a cadere coinvolgendo l’altra persona. Adesso capisce perché sono stata più con soddisfazione con gli uomini che con le donne, perché gli uomini possono sentirsi più alla pari se tu non ti poni in modo subordinato, possono avere problemi più simili nel senso dell’intraprendenza, dell’esperienza del conoscere, dell’elaborare. Adesso capisce anche che era inevitabile che le altre mi sentissero superiore perché veramente ero un po’ particolare come donna – un misto di affermazione di me e di rinuncia che mi arricchiva della spiritualità di entrambe le condizioni – e che io fossi una che stimolava le altre con aggressività, ma anche le accettava con dolcezza. Riccardo dice che ero paternalista con le sorelle, e Sara osserva che c’era troppa differenza di età e di esperienza perché potessi non esserlo.
3 nov. In campagna ho incontrato un’amica del tempo di guerra, quando ero sfollata lì. Ho provato verso di lei le stesse reazioni di allora: un leggero disagio per una sua durezza sotto l’aspetto cordiale. Si ricorda che quando i tedeschi avevano occupato il paese, noi due stavamo “in finestra” e io ho esclamato “Mi sento come un bussolotto”. Rideva ancora ricordandoselo proprio perché non capiva il motivo di quella frase; io stessa non ho idea di quello che intendevo, però mi è balenato il bisogno che avevo di esprimermi e il fatto che nelle formulazioni banali non mi ritrovavo. Però ho sofferto a lungo per questa originalità un po’ sballata.

4 nov. Papà al telefono mi fa gli auguri e dice ridendo “Santa Carla” (invece è San Carlo Borromeo). Rispondo sempre ridendo “Sei sicuro?”, ma lui m’interrompe “Perché? Sei una brava ragazza”. Mi è piaciuta la sua voce allegra e piena di energia, anche quella di mia madre era serena; lei si è subito accorta che avevo il raffreddore, che bella cosa la madre con il suo orecchio sensibile. Mi hanno promesso di venire sabato a Turicchi, devo dirgli di coprirsi bene, lì è freddo, non sì scherza. Sono rientrata a Roma per vedere Sara oggi, ma anche perché non avevo abbastanza indumenti caldi. Non si fa viva ancora, ma sono tranquilla, semmai ci vediamo domani; e poi sono interiormente felice.
È venuta e abbiamo parlato tutto il pomeriggio. Come prevedevo ha già incontrato Claudius e come prevedevo anche lei ha avuto l’impressione che a lui piaccia di più parlare che tutto il resto. Le sembra un tipo onesto come suo marito, però molto stimolante mentalmente. Quando Sara gli ha detto di aver adoprato nel suo libro tutta una terminologia presa da me, lui ha risposto che, siccome esprimersi è così difficile, si ricorre a chi sa scrivere bene facilitato dalla cultura di origine, e io scrivo così perché sono fiorentina, ho fatto gli studi classici, ecc. Dunque non vuole riconoscermi: questa piccola osservazione mi ha aperto tutto un orizzonte, mi ha dato quella conferma che lui ha sempre smentito. Adesso che Sara si è installata definitivamente al mio posto io sono qui: non mi è dispiaciuto, anzi mi ha fatto piacere. Oggi mi diceva ancora che si è trovata bene solo con me in Rivolta e per un periodo con Agata che era mia amica, le altre erano capitate lì casualmente e sono rimaste indietro. Mi ha sorpreso che parlasse spregiudicatamente di questi problemi del gruppo con il suo attuale ragazzo, nonostante tutto io non ne avrei parlato. Certo, così rimangono arrières pensèes, zone misteriose, cose non dette, ma come si fa a fidarsi.
Via via che Sara mi racconta dei suoi incontri mi chiedo se ricomincerei a vedere quegli stessi amici; mi sembra così inconcludente quello che ho avuto con loro, solo uno scalino, su cui lei ha poi fatto il primo passo. Io ho consumato tutte le mie energie in questo scalino. Ma non ricomincerei: quella fase c’è stata, l’ho voluta fino in fondo, non posso tornare indietro, posso solo vivere l’oggi, diverso da quello di Sara. Devo afferrare il mio oggi, diverso da quello di Sara. Devo afferrare il mio oggi, questa calma, questa voglia di niente che già non abbia alla portata. Invece ho voluto dirle qual è stato l’impegno maggiore della mia vita: quello di passare dalla frase “Mi sento come un bussolotto”, a una vera espressione e formulazione di me, dei miei problemi, delle mie sensazioni. Quella che gli psicologi chiamano “verbalizzazione”. Pare che i suicidi, spinti fondamentalmente da incapacità a comunicare (e in giugno leggevo quel libro sugli adolescenti perché avevo il bisogno assoluto di ricordarmi la paura di non riuscire a farlo), siano nell’impossibilità di verbalizzare le loro esperienze interiori. Allora io avevo l’impressione di avere dato alle altre, a Sara, il meglio di me, proprio questa verbalizzazione, che loro avevano accolto senza rendersi conto di che cosa gli era capitato nelle mani. L’argomento probante è che quasi tutte da Rivolta hanno preso forza per fare qualcosa d’altro, lavorare, cercare rapporti, erotismo, contatti, viaggiare, ecc., mentre io ho solo strappato la coscienza di non essere consapevole. Dicevo a Sara che, proprio perché l’ho provato, non voglio che l’uomo si senta colpevole a causa mia: solo nel sesso lo è, in tutta quella sua ostinazione a enfatizzare la vagina a e misurare la donna su quello. Ma nel resto non voglio. Per esempio, Simone, oltre a lavorare anche per me, non deve avere il senso di essere meno integro di me. Porse lo è, ma solo perché mi risparmiai l’aut-aut della competizione e della sopravvivenza.
L’anno scorso Sara era entusiasta di tutte le donne e con ciascuna sembrava potersi aprire e che l’altra avrebbe fatto altrettanto. Oggi dice “Sei tu e basta”. Suppongo che farà così anche con gli uomini, passata questa entusiasmante fase del primo contatto e della scoperta di tutte le potenzialità.

5 nov. Come potevo capire che si trattava di un rapporto superiore-inferiore con le altre donne se non conoscevo quello alla pari. Mi rendo conto che Sara è la prima donna cosciente che conosco, fa una bella differenza! Prima avevo sempre l’impressione di essere un battistrada, adesso non più: sento che è autonoma, inarrestabile come me, e se oggi ho meno curiosità di lei (del settore dove lei indaga), posso benissimo rivedermi in lei alla sua età. Stamani sono scesa con Simone e poi siamo rimasti a chiacchierare in macchina a Piazza di Spagna. Una cosa che lo blocca è la paura che io vada con altri. Mi sembra che lui non abbia tanta voglia di andare con altre. Oppure si frena inconsciamente per paura delle reazioni a catena. Io ho la sensazione che gli uomini siano spariti dal mio orizzonte, che strano, ma mi piace vivere questa oasi di pace con Simone, mi meraviglio di me stessa, ma è così. Adesso sono sola con lui e con Sara.
Da ragazzina pensavo con entusiasmo al monastero e al mondo, due realtà contrastanti, come intuire che non sarei potuta restare fissa in nessuno dei due posti, che avrei sempre avuto il rimbalzo. Ora sto rimbalzando verso il monastero. Turicchi, e anche la vita a due se mi viene sempre in mente la fine di L’uomo senza qualità dove c’è una specie di vita estatica tra un uomo e una donna (fratelli gemelli). Ancora temo questa esperienza, Simone dice di no, che è pieno di desiderio di farla, e già è cominciata.
Mi ha telefonato Piera: è qui da sabato, parte oggi, è stata da Ester. Sembrava un po’ giustificarsi “La prossima volta starò con te, è Ester che mi ha voluta, non potevo dividermi tra voi due”. Le ho risposto che probabilmente deve verificare anche il suo rapporto con Ester. Piera ha bisogno di chi le dimostra affetto, considerazione, premura un po’ coccolanti, però poi le rimane il rimpianto per un altro tipo di rapporto, che continua a rimandare. Quello che mi piace di Sara è il suo sfuggire cose del genere: per lei io sono proprio il massimo anche di calore. Ho il mio tipo di calore dello sguardo, del capire, dello scambiare attimi e attimi. Con Piera sto bene, ci siamo viste; ma non mi sento veramente ricca, imprevista come con Sara. Per esempio, se dico qualcosa di saggio devo sforzarmi perché non venga interpretato come disfattista o rinunciatario.

7 nov. Lascio andare Simone a letto, io invece scrivo. Ho fatto la prefazione all’edizione spagnola dei miei libretti: ormai mi sembra così superato quel modo “ragionato” e “sintetico” di scrivere. Non sono entusiasta della prefazione, mi ricorda stesure un po’ stentate. In fondo io venivo dalla critica d’arte dove mi ero ridotta all’osso. Ho battuto la testa molto forte e mi è venuto un bozzo. Un tempo un fatto così non lo collegavo veramente a me: era un bozzo nella testa come un’acciaccatura nel cappello, quasi, mentre adesso faccio così tutt’uno che sento un bozzo nell’anima, nel modo di riflettere. Da giovane uno si sente oltre il suo corpo, probabilmente da vecchi si è solo corpo.
Ho parlato con Federica al telefono: vorrebbe fare tradurre i miei libri in francese. Oh bella! Io invece provo il bisogno di mostrarmi più come sono, tirare fuori lettere, diario, poesie… Simone dice che Sara mi ha preso tutto, che io non mi rendo conto. L’altra sera era di pessimo umore quando è rientrato a cena, tardi perché gli avevo chiesto di rientrare tardi, e mi ha trovato con Sara. Ha cominciato dicendo di sentirsi “escluso” da noi, ma eravamo così stanche e lui così prevenuto che non c’era modo di affrontare la questione. Convincerlo che non era vero spettava a me, era affare suo. Però mi ha allarmata meno del solito, non è diventato un dramma né una lunga seduta. A letto l’ho abbracciato tranquillamente e lui non ha fatto resistenza. Questi sono i vantaggi dello stare insieme. Comunque tra poco Simone andrà a Pietrasanta e poi a Milano. Che ne farò di questa vacanza?

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In «EFFE», nn. 9/10, nov.-dic. 1982


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