l’utilità del vaso sta nella sua capienza
in quella sua funzione di comprendere e raccogliere
di farsi intermediario di cose in fondo semplici
è vero può cadere frantumarsi e l’entropia
di certo non consente una ricomposizione
bisogna fare il vuoto valorizzare il nulla
che intorno ha prevalenza
su tutte quelle cose che sembrano impedirlo
e poi ad ogni caduta
ricostruire ancora
per trasportare il nettare
di quell’imperfezione che conserva le fratture
l’impianto dell’esistere è già
così terribile, tra angosce
solitudini distanze ed ossessioni
per essere sereni
scontiamo uno sconforto permanente
e allora
perché rendere ogni cosa più difficile
razziando i nostri simili
cedendo alle lusinghe di vantaggi
predatori
la logica dovrebbe favorire
il formicaio, che invece
tolleriamo con fatica
la cenere sul capo
l’olezzo di impostura
amare la rovina
la resa della logica al veleno
della cura
eppure si era detto di svanire
silenziosi, pacificarsi al cielo
pugnalando le ambizioni
quante volte in questo vivere
si va per la stessa strada
fino al punto in cui i dettagli
evadono dai margini
i volti le parole si innervano
e svaniscono
uniti al gas di scarico
che traccia ogni passaggio
senza un’attenzione
quell’aria velenosa
conserva le parole
le contingenze che per noi rimangono
un contorno
nell’affrettarci appena qualche
smorfia quando il cielo
umetta di una goccia quella bava
corrosiva
la vita è sempre altrove
e intanto qui si corre
distanti ed ammassati
ansiosamente in fuga verso il
baratro
i treni ti appassionano
gradisci il tuo
destino
non fai che disegnarne a
centinai
tuo padre un po’ ti spiega
bambino intestardito
distrugge quel quaderno
così non puoi distrarti
da quel binario semplice
con cura custodito
meglio imparare
presto
sapessi quanto insegna poi
la vita
“e che lavoro fa mario?” chiede
aspettandosi una risposta semplice,
adeguata all’innocenza dei suoi
sei anni. “hai presente quando a scuola
ti prendono in giro, ti fanno piangere
o qualcuno ti costringe a fare quello
che non vuoi?” ascolta interessata.
“io difendo. è questo il mio mestiere.”
magari non mi crede, ma sorride.
mi ha capito. (perché poi debba farlo
è ben altro quesito)
l’estrema negazione
non è così
letale
annega la parola
sotto il peso della mano
e nel suo soffocare
riconosci
l’essenziale