Ma “il corpo a corpo” di Fabrizio Ferreri qual è? Qual è la sua sfida, la sua ricerca, il suo “stanare”, “frugare”, “snidare”? Nella sua ansia dell’oltre vibra un’irrequietezza messa duramente a tacere, in cui trapelano l’angoscia d’impronta siciliana e le interrogazioni sul divino ormai classiche di Caproni. Forse è un corpo a corpo che sembrerebbe poco corporeo, al limite dell’invisibile, quando il corpo dell’altro, in quanto appunto altro, diventa un fantasma, di natura divina o umana. L’altro ha sempre un corpo sfuggente che scivola dalle nostre braccia verso l’assenza. Che sia Dio o la persona amata. E il faccia a faccia inseguito è sempre procrastinato.
(dall’Introduzione Fabrizio Ferreri poeta in lotta di Gabriella Sica)
Quando mi ascolti è come
se da me svolgessi
il vischio della materia
e intorno il sapore acre
e forte spandesse
di vittoria – su cosa
contro chi se al più
è una larva tinta di rosa
per darne cupida illusione
che di fronte a me si posa?
***
Filigrana intravista
in contro-luce appena,
falsariga, cecità
e vista, silenzioso solista
in un coro di sbandate voci, dimmi
sei demiurgo dalle mani invisibili
o semplice cronista?
***
Forse ancora poco provato?
Quale caccia
per monti lastricati avvenati
da laceranti slanci di cane
al lampo di spari e grida
che da malcerte tane
snida tremori e fiati in corsa di scriccioli?
È qui del cacciatore la ricerca affannosa
chissà in quale scorza d’albero
la preda
o riverbero acquattata: eterea linfa
di tale vista
da bruciarne l’aria.
Forse transita tra vetta
e fondo
…………….(dall’ombra
…………………………..trabocca,
………………….nel pensiero
…………………………..si flette e affonda?)
***
La mano deponi
fragile scriba
sopra ogni cancellatura
tu non sai se oggi sia bene
lasciare verità alcuna
senza alcuna screpolatura.
***
In principio fu un bengala
a scatenare la furibonda zuffa
la lambada universale.
…………….Dio celeste, sottoveste,
…………….in fondo in fondo
…………….una peste.
…………………………..Onnipotente?
…………………………………………Mozzo intento:
creazione improvvida
senza mondo di scorta.
***
Ancora il vuoto
sterminato, l’arresto,
le cieche raccolte senza resto?
Labile incantesimo del corpo,
qui non c’è viaggio, né migrazione
o ritorno, solo un bivacco approntato
su una grande cruna, protesa
alla perdita, intenta al rimpianto.
Tutto poi si dispone intorno all’ombra
al silenzio: il suolo consuma le radici.
***
Esca d’inganno o di salvezza?
Busso alla porta.
Un’ora d’autunno rintocca.
Al di là un occhio come secca foglia.
La pioggia non lo adombra.
***
Il sole appena
trema nell’azzurro stagno.
Si torce, pesce moribondo, un giorno stanco.
(qui il respiro sconfina:
paura d’esserci o estremo
richiamo della vita?
Appesa la veste, nudo
contro nudo)
***
Non resiste di volti
che una foresta.
Un intrico senza spazio
di corpi.
È un luogo infrequentato.
Appena più piano della brulla
e scarna pianura.
A pensarlo pensiero
non dura.
Fabrizio Ferreri è nato nel 1979 a Catania, dove tuttora vive.
Attualmente è docente di storia e filosofia nei licei e promotore del costituendo Osservatorio dei Piccoli Comuni della Sicilia.
Ha pubblicato Borghi di Sicilia (con Emilio Messina) per Dario Flaccovio Editore e Coscienza di luogo e sviluppo locale. Analisi su Sambuca di Sicilia per Giuseppe Maimone Editore.