
SCRITTORI E SHOAH: WÜRGER VS. SCHLINK
Nel post precedente,* quello del 19 novembre 2018 (scusate il lungo silenzio, cari amici), parlando del libro di Éric Vuillard L’ordine del giorno, abbiamo visto i primi passi del Nazismo. L’Anschluss, l’annessione dell’Austria da parte della Germania, si configura come il primo atto di espansione territoriale, da parte del regime. Per quanto maldestro e male organizzato, provocherà da solo un’ondata di suicidi, nonché rastrellamenti e deportazioni. Da questo vorrei ripartire per segnalare due libri di autori tedeschi che ancora oggi, a più di settant’anni di distanza, sono testimoni di una ferita che non si è mai perfettamente chiusa nella coscienza collettiva tedesca. Di autori tedeschi che hanno trattato la materia del Nazismo gli scaffali sono pieni, e come al solito non possiamo che fare una scelta che implichi eccellenti esclusioni. I libri di cui voglio parlare sono Il lettore di Bernhard Schlink e Stella di Takis Würger. Essi ruotano, da due angolature diverse, attorno alla tragedia del Nazismo e al senso di costernazione e di colpa che ha afflitto i tedeschi, almeno i più coscienti e consapevoli, per alcune generazioni.
Il libro di Schlink è del 1995, tradotto più volte, e portato sullo schermo da Stephen Daldry nel 2008, vede l’ultima sua pubblicazione in Italia per i tipi di Neri Pozza e per la traduzione di Chiara Ujka. Si tratta di un grande classico della letteratura tedesca contemporanea e, anche se in molti ne conoscono la storia, mi permetto di tracciarne un accenno di trama. Michael, un quindicenne affetto da itterizia, viene soccorso, mentre tornava da scuola, da Hanna, una donna di trent’anni. Siamo negli anni cinquanta, nella piccola città di Heidelberg. Una volta guarito, Michael va a ringraziare Hanna per l’aiuto che gli ha dato. Hanna vive in un piccolo e modesto appartamento dove accoglie Michael senza cerimonie e senza inibizioni. Lei è una donna matura ma piacente, ha la pelle chiara e profumata. Michael ne è misteriosamente attratto e vive con lei la sua iniziazione sessuale. I due prendono a vedersi con una certa frequenza e alternano alla passione carnale uno strano rituale: la lettura ad alta voce di brani di romanzi famosi. È Michael a leggere e Hanna sembra tenere molto a questa abitudine, come tiene molto a che Michael vada bene a scuola e recuperi quanto ha perso nella lunga malattia. Il loro amore, fatto di erotismo e letteratura, ha fasi alterne, momenti di pudore, momenti di sfrenata passione, ma sempre intercalati dalle storie più belle della letteratura internazionale, dette da Michael ad alta voce. Ad un certo punto Hanna scompare; dopo un primo smarrimento Michael torna a riprendere la sua vita, studia Giurisprudenza e, passati diversi anni, ritrova la donna al banco degli imputati in uno dei tanti processi celebrati in seguito alla tragedia di Auschwitz: gli Auschwitzprozesse appunto. Hanna è accusata di un crimine tremendo dal quale potrebbe discolparsi se solo ammettesse un suo intimo segreto, ma non lo farà. Verrà condannata all’ergastolo. Molti anni dopo le sarà concessa la libertà per buona condotta. Per tutto questo tempo Michael continuerà a spedirle in carcere cassette registrate con letture prese dai libri preferiti. Nell’ultima parte del libro la prosa si alza di tono, la tensione narrativa si fa più forte e il coinvolgimento del lettore più serrato. Le ultime pagine scuotono le coscienze e alimentano domande a cui è difficile dare una risposta. Hanna accollerà su di sé il senso di colpa di una generazione, si immolerà a espiare un male di cui lei è stata strumento incosciente e le letture, che tanto hanno caratterizzato la sua esistenza, saranno la chiave del suo segreto. La consapevolezza tardiva e la scelta catartica di Hanna pongono la donna sull’altare della redenzione, muovono a compassione, e la rendono partecipe del riscatto morale di una nazione.
Bernhard Schlink, oltre ad essere uno dei più noti scrittori tedeschi contemporanei, è stato, nella vita professionale, giudice e professore di diritto. La vicenda narrata ne Il lettore ha radici biografiche. Anche l’altro libro che desidero suggerire, Stella di Takis Würger (tradotto da Nicoletta Giacon), è ispirato, se pur in modo romanzato, a una storia vera. Würger, giornalista di Der Spiegel, di quarant’anni più giovane di Schlink, affronta la tematica della partecipazione dei tedeschi alla Shoah in modo diverso. La prima parte del libro ci narra l’infanzia e l’adolescenza di Friedrich. Il protagonista vive in una valle della Svizzera che ricorda molto gli ambienti del cartone Heidi. Da piccolo è aggredito al volto da uno sconosciuto con un punteruolo che gli provocherà una grossa cicatrice e l’incapacità di riconoscere i colori. Questa piccola menomazione costituirà per la madre, depressa e alcolista, un grosso problema in quanto ella sperava che il figlio raggiungesse quel successo nella pittura che non era riuscita ad avere per sé. Dotato di notevoli possibilità economiche, Friedrich decide di affrancarsi dalla famiglia e di andare a studiare disegno e pittura a Berlino, presso un popolo che ammira e di cui spera in qualche modo di assimilare le qualità. Siamo nel ’42, la città ha un aspetto lugubre e contraddittorio. Se da una parte emergono i chiari segnali della guerra, dall’altro sembra esserci la volontà di sfuggire a questa, quasi di ignorarla. Friedrich conosce Kristin che posa nuda come modella, ma è anche cantante swing e jazz, musiche allora proibite dal regime. Kristin è bella, scaltra e affascinante, fa conoscere a Friedrich una Berlino nascosta, che vive di notte in locali improbabili, spesso frequentati da quegli stessi gerarchi che di giorno aborrono quella musica che di notte vanno ad ascoltare e che Kristin canta divinamente. Tra i due nasce una relazione amorosa abbastanza intensa, fin quando un giorno Kristin scompare. Riapparirà qualche giorno più tardi con i capelli rasati, una spalla lussata e altri evidenti segni di tortura. È allora che Kristin rivela la sua vera identità, lei è Stella Goldschlag, ebrea collaboratrice della Gestapo, cacciatrice e procacciatrice di ebrei destinati ai campi. Il dramma di Stella è quello di sperare di salvare i suoi genitori dai campi di sterminio, in cambio delle sue informazioni. Non ci riuscirà, ma la sua collaborazione con la Gestapo continuerà fino alla fine della guerra. Per salvarsi la vita? Per continuare a fare la vita di lusso e di spettacolo che i gerarchi le permettevano di fare? Perché la sua vanità è più forte di lei? Perché è presa dal regime in una morsa da cui non si può affrancare? O semplicemente per denaro? Non c’è risposta. Ogni capitolo del libro di Würger si apre con delle indicazioni sul momento storico in cui è ambientata la vicenda, ed è intercalato da corsivi che riportano testimonianze rilasciate nel corso del processo che la Goldschlag ha subito presso un tribunale russo. Prima di essere arrestata la Goldschlag tentò di farsi registrare come vittima del fascismo, ma non funzionò, a lei toccarono dieci anni di detenzione. Se in qualche modo l’espiazione di Hanna ci convince fino a farle guadagnare una nuova immagine, più pulita e serena. La colpevolezza di Stella non riesce a cancellarsi neanche con la triste esistenza che seguì al suo arresto. In altre parole se in Hanna possiamo individuare una colpa, in Stella, a causa dei suoi reiterati tradimenti, non possiamo che riconoscere il dolo. Le due protagoniste (personaggi-persone) sembrano aver avuto destini paralleli. Prima l’amore, poi il processo, quindi il carcere e un destino finale che se da una parte le accomuna, dall’altra le contrappone.
Il libro di Würger ha suscitato notevoli polemiche in Germania, e lo capisco. La contraddittoria figura di Stella, a volte forte e scaltra, altre estremamente fragile, è disegnata con una tale umanità che indulge al perdono, anche se non riesce a conquistarselo, visto il contesto in cui si è consumata la vicenda. Forse questo sentimento di indulgenza e compassione nasce proprio dall’io narrante del romanzo: il personaggio Friedrich; l’unico che, candido e innamorato, pur subendo indirettamente le vicende di Stella, ha cercato di capire, senza giudicare.
© Maurizio Ceccarani 2019
*il post è apparso precedentemente sul blog dell’autore, qui
