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Paolo Febbraro: poesie da “Elenco di cose reali”

In occasione del IX Premio Ciampi Valigie Rosse, pubblichiamo una selezione di liriche da Elenco di cose reali di Paolo Febbraro, vincitore della sezione italiana 2018

IL NOME TERRA

Se le terre emergono, anche l’oceano
è insufficiente. Animali a fior d’onda
decisero un giorno per l’aria
pensandola forse più infinita.
I mari si posero in orizzonte
di attesa, in più filiale relazione
col vento. Il continente intanto
cuoceva al sole e prese riparo
con gli alberi. Poi la combinazione
dell’uomo. Vani gli assalti del mare
a forma d’inverno. Anzi altra acqua
risorta dalle rocce fornì stato civile
alla creatura. Il seguito è un libro.
«Terra» ebbe nome il pianeta
mentre il mare materno e maggiore
al traino della Luna e fra i sismi
ciechi degli abissi rimane stabile
come un poema nel pieno movimento.

 

I fiori, che durano un giorno,
ci guardano appassire:
quelli che per l’incontro
cogliamo tra le offerte del fioraio.
Saliti alle nostre case, inaspriti
dalla mancanza di madre natura,
da muri ad angolo fanno attriti,
colore e aroma dolci come scusa.

 

INFANZIA

Giocano bimbi al centro del giardino,
da spensierati mettono paura.
Guardando dal perimetro, declino:
albero strano, e l’estate dura.

 

Tu cammini e vai per la città
a lavoro o per negozi col mio grosso
cuore d’uomo di due metri.
L’hai nella borsa o appeso al collo
come un pendolo e lo dimentichi
perché troppo tuo. Ed io penso
di languire dissanguato, vuote
le vene e pallido il volto.
Macché! Allo specchio mi vedo
rosato e fresco come un fiore
dopo la pioggia… Ho il cuore tuo
che m’irrora benevolo e distratto
col suo fare minuto da donna
alta un metro e sessanta
sicché alla sera sono stanco
e un po’ bianco, ma vivo,
da non chiedere indietro il mio cuore.

 

VENEZIA

Avevano tentato coi palloni,
l’avevano appesa a enormi tiranti,
provato a sostenerla
con sgraziate strutture d’acciaio.
Ma nulla, Venezia affondava,
più niente da fare,
Venezia affogava
nel mare melmoso,
piccola, rattrappita,
sommersa da un peso più grande di sé.
Più radi si fecero
lo scalpiccìo dei passanti,
il tramenìo dei turisti,
i traffici, i commerci.
Già i banchi nuotavano,
il mare lavava i marmi,
lambiva gli affreschi
e in un giorno di nuvole e piogge
Venezia fu lasciata anche dagli ultimi,
fu lasciata vuota e sola.
Nessuno calcò più le calli,
il mare nei campi
si fece silenzioso lago.
E al venir della notte,
quando nemmeno la luna
volle in lei più specchiarsi,
come svegliandosi, senza fatica,
Venezia si volse
verso la sua laguna
e senza il più piccolo scricchiolìo
si tolse all’abbraccio del mare
e volò via,
schivò i satelliti-spia,
piegò verso Sirio
poi a destra
in pochi secondi
scomparve alla vista.

 

CHIEDIAMO ALL’ISTRICE

Chiediamo all’istrice di non chiudersi
di non temere le conseguenze
gli promettiamo tre apparizioni
per illustrare il suo pensiero
«Rispetteremo il Suo stile di vita
bando alla troppa pubblicità»,
vorremmo non fosse prevenuto
aprioristico male informato
poco disposto alla contraddizione
alla ricchezza del dialogo
ché noi siamo dialettici sintetici
ancipiti anfibi antitetici
non tolleriamo l’intolleranza
incoraggiamo un’onesta discordia
la geometria non euclidea
diciamo all’istrice di non sdegnare
fiducia stima storia millenaria
e quando lui con un cenno di stizza
fa segno piano di avvicinarci
come per dirci chissà che cosa
noi lo uccidiamo.

 

Paolo Febbraro, Elenco di cose reali, Valigie Rosse, Livorno 2018


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