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Francesca Del Moro, Una piccolissima morte (nota di Annamaria Ferramosca)

 

Piccolissima nota a Una piccolissima morte di Francesca Del Moro

di Annamaria Ferramosca

 

Ho letto, di Francesca Del Moro, tre delle sue precedenti raccolte di poesia: Gabbiani Ipotetici, Le Conseguenze della Musica, Gli Obbedienti (Cicorivolta Edizioni). E ho sempre trovato nei testi un senso di ribellione ad ogni stortura del mondo, in ogni condizione, interiore o esteriore, da cui la sua poesia prende avvio, sia essa la condizione amorosa, o lavorativa, o delle varie e inattese vicende della vita tutta.
E questa volta è una disillusione d’amore a farle compiere un viaggio di scoperta amara, che però termina con una sapiente constatazione di distacco, una nuova consapevolezza che sa affondare nel marasma l’àncora dell’ironia e libera l’orgoglio, ancora una volta, di una salutare ribellione.
Qui si scorrono i versi e sembra di stare ascoltando un notturno d’orchestra, una notte che attraversa il cuore e il corpo di una donna, se ne sentono gli spasmi di gioia e di sofferenza, di speranza e di buio. Perché Francesca si descrive qui nella sua essenza di donna, in tutta la sua nuda umanità – come fa sempre nella sua scrittura che deborda del suo sentire autentico – con il coraggio di mostrare ciò che spesso una donna tace: la propria sofferenza in amore, il timore di sentirsi inadeguata o incompresa, la paura dell’abbandono, la sensazione di sconfitta. Ma qui chi è lo sconfitto, chi appare cinico e superficiale è l’uomo, incapace – per questo perdente – di “vedere” nella donna tutto il tremore dell’attesa, il silenzioso cammino di amore platonico precedente l’incontro, tutte le vibrazioni di mente e cuore di una compagna che si offre fin quasi ad annullarsi. Un uomo che divora e dilapida, poi fugge.
Restano le parole di questa poesia straziata – e per chi legge carica di emozione anche estetica per la scelta naturale di lessico e ritmo assoluti – come intensa testimonianza della sensibilità femminile. È proprio, questo, quel femminile che incanta e che intimorisce soltanto chi non regge la vicinanza di una profondità sconosciuta. E noi che leggiamo, soprattutto noi donne, la ri-conosciamo questa profondità, e sapremo conservare preziosa questa musica del dolore, queste parole che dicono di una morte, giustamente declassata da Francesca a “piccolissima”, una morte diremmo davvero infima, che vorrebbe annullare la persona, ma finisce per darle la vittoria. Perché questa espressione del dolore trascina per empatia, si fa condividere da chi legge, dunque diviene universale e restituisce intorno vita, voglia di continuare ad essere sé stessi fino in fondo, con orgoglio.
Continueremo a tener d’occhio questa poeta nel suo così efficace e denso percorso.

©Annamaria Ferramosca

 

Francesca Del Moro, Una piccolissima morte (poesie), Edizionifolli, Milano e Bologna 2017
Una scelta di poesie con una breve nota introduttiva di A.M. Curci è stata pubblicata su Poetarum Silva il 19 maggio 2018, qui 

2 risposte a “Francesca Del Moro, Una piccolissima morte (nota di Annamaria Ferramosca)”

  1. E sì, trattasi, credo, di rifiuti vs ( contro ) l’umano ed il divino in un agone forse troppo grande, ma coraggiosamente esplicitato, dunque senza paura. Sembra così, mi pare.. Ed il dubbio è lì dietro l’angolo, così la premura, simile ad una spinta, di assistere ai riti cattolici in un luogo, la chiesa, forse considerata come calamita architettonica, anche per gli arredi di buona, ottima fattura estetica. Ma il dubbio resta, anzi lo sfrontato colloquio col Padreterno non viene reso del tutto noto, ma rimane intimo, misterioso com’è il mistero del divino e dell’umano, l’eterna tenaglia esistenziale che, per l’appunto, ci attanaglia all’interno di uno stazzo invalicabile qual è il limine ( ossimoro ) dell’infinito. Il tutto resta a mezz’aria e così la Nostra , funambola sul filo non infinito della vita, sfida quell’instabile equilibrio e procede, procede secondo forze e sforzi soggettivi che la stimolano, ma la fanno anche arrabbiare, com’è giusto che sia. E il bisogno di scrivere in versi, sincero sfogo verso l’alto, oltre le ferrate gabbie d’ogni individuale, angosciosa galera.

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