da Diario ottuso, 1968
……Partì senza dire a nessuno perché partiva: partiva, ed era obbediente agli altri nel partire, essi che preferivano che lei partisse. Partì, e fu come togliersi la giacca, tutta indaffarata nel partire e pensare: perché sono partita? Perché mi hanno fatta partire?
…Non so perché sono partita, si disse, e nemmeno voglio sapere perché essi hanno voluto che io partissi, si disse, e ora non ho nemmeno voglia di partire, pensò partendo.
…E sedendosi sul morto sedile, fece un pulito, stancante viaggio, sempre pensando fra sé: perché partire, perché hanno desiderato ch’io partissi. Venne: perché si castrò da sola? Perché era sola e indesiderabile? Perché era conscia della sua scelta? O perché era nuova all’ingranaggio? Fu come se una fiera di interrogativi la colpissero nel punto giusto: la testa: l’ombelico: il saper tutto: il non saper nulla: il preferirsi morta.
…Montò sul treno, fece il viaggio e riscosse dal bigliettaio la promessa di arrivare in tempo per essere distrutta in questo nuovo luogo dove avrebbe, finalmente, imparato a vivere. Volendo cocente saper vivere e cogliere dalla vita solo quello che gli era dovuto.
…Ma non gli era dovuto nulla, e con orrore se ne accorse dopo pochi mesi nella nuova città che da prima le sembrò molto triste e inutile. seguiva urgentemente le sue intenzioni, ed obbediva alle intenzioni degli altri: lavorare sino a stancarsi troppo per poter seguire le proprie istruzioni. Senza istruzioni si accorse di essere ma insisteva nel riconoscere soltanto le istruzioni degli altri, in piena obbedienza, in fierezza nell’umiliazione, in semplicità matematica nel calcolare i suoi doveri presenti dimenticando le torture non comprese nel passato.
…Non pensava di morire, o di morirne, o di dover accettare la pietà altrui: anzi: così dura e semplice e pura era la sua intenzionalità che ne fu distrutta, quasi, in quanto non ammetteva che potesse essere duro, pernicioso, inumano, questo suo sorteggiare la sua persona, elencandola tra gli oggetti inutili.
…Ora la sapienza, o un barlume, una briciola di sapienza qua e là la risvegliarono e le fecero comprendere almeno alcune cose, con veemenza, violenza, delusione, e perfino gioia nel capire. Capì d’aver subìto un danno, capì che il suo errore per il malfatto altrui era da considerarsi con indifferenza, perché essa poteva raggiungere ben più alte mete dello spirito, dell’arte volatile e religiosa: la sua fame di Dio per un istante soddisfatta: anzi si distaccava dalla superficie della terra e lottando chiedeva più pace, più dolcezza, il perdono a sé e agli uomini, senza sapere molto degli uomini, ma comprendendone troppo i calcola, la crudeltà. Non fece parola alcune dei suoi pensieri più intimi».
Il testo allora inedito è comparso in «Quotidiano Donna», Anno IV, n. 6, 20 marzo 1981; foto tratta dall’articolo. Poi IBN 1990 e Empirìa 1996.