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Manuel Cohen, A mezza selva #1: Per una mappatura della poesia in atto, seconda parte

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Carta portolanica di Diego Homem, XVI secolo

A MEZZA SELVA

1. Per una mappatura della poesia in atto, seconda parte

III. Bussole, mappe, atlanti nello spazio della dispersione

Ora che più distintamente si applicano le teorie della più avanzata Geocritica, elaborate secondo nuove e aggiornate categorie di pensiero e strumentazioni, principalmente a opera di Westphal, tese allo studio dello spazio geografico della letteratura e alle sue implicazioni con la realtà e le realtà linguistico-territoriali, sociali e politiche, storiche e antropologiche, appare evidente la lezione e l’eredità di Dionisotti, tesa a valorizzare la peculiare natura policentrica della storia letteraria nazionale e sovranazionale. Su un’analoga via, d’altro canto, si era mosso il Pasolini, giovane studioso delle lingue minori: in prima linea nello sdoganamento e nell’affrancamento della poesia neo-dialettale elevata a un piano paritetico con la matrice toscana e fiorentina della poesia “in lingua” italiana. Al contempo, Pasolini non poteva esimersi dal rimarcare come la storia della penisola, con le signorie e i principati prima, e con i liberi comuni e le repubbliche marinare poi, era contraddistinta da una dinamica e mai definitiva disposizione a registrare l’eccentricità e il policentrismo compresenti su un unico territorio chiamato Stato o Nazione: di “100 centri e 100 periferie”, da cui provenivano input di civiltà e cultura, unitamente a una composita, stratificata ed eccezionale, quando non babelica, varietà linguistica. In anni più recenti, non mancano esempi di mappature attente e ragionate che aiutano a orientare e a fornire materiali a lettori, critici e autori: Lanuzza, infaticabile cartografo e viaggiatore peninsulare e insulare; De Santi, riconnettendo a uno Spazio della dispersione il presente della poesia nella sua “Modernità della crisi” e nella “crisi del Moderno”, indagando territori e mescidazioni di saperi tra scrittura e cinema, poesia e filosofia, arti figurative e autori di versi d’Occidente, come dei “paesi in via di sviluppo”; o Merlin (2005, 2009), Ritrovato (2006, 2011), Piccini (2005, 2008): attenti al rapporto e alle dinamiche che si instaurano tra autore e territorio, atto poetico e paesaggio; tesi a ricostruire legami e nessi geocritici, coordinate tematiche e storiografiche possibili tra autori e autori, autori e territorio, autori e contesto (storico, storico letterario, politico-sociale). Non mancano poi i casi di critici indistintamente operativi nei campi e cartaceo e nel web: Linguaglossa arguto polemista e instancabile sobillatore dello status quo dell’editoria di establishment; Aglieco e Guglielmin recensori e capillari intercettatori dei segnali nuovi e dei linguaggi mutanti della poesia captata in rete (Web, Litblog, siti letterari) e nell’editoria cartacea di settore.

IV. Spazio-tempo (poesia come semi-prosa degli anni Zero, e poesia al tempo del web come spazio ipertestuale, di virtualità e possibilità)

Il riferimento ai critici più recenti, quasi tutti operanti ‘nella rete’, consente di spostare altrove i piani della questione. Occorre, a questo punto, fare una digressione a guisa di premessa tardiva, puntando per un istante l’attenzione, e per analogia, in altro campo di indagine: ovverossia, un po’ sconfinando. In un recente saggio che affronta la questione dello spazio, e implicitamente, del tempo tra segno grafico e scrittura, scrittura e arti figurative, linguaggi pubblicitari e design, Perondi annota:

Lo spazio entra a far parte in maniera coerente e strutturale del sistema scrittura. Per chi si occupa di grafica, sarebbe interessante riuscire a trattare grafica e scrittura nella maniera sfumata e continua in cui appaiono. È sterile cercare di costringere la scrittura entro determinati confini. […] Perché non precisare che la non meglio precisata “scrittura” abbia una componente non lineare, dotata di una struttura coerente al punto tale da permettere di comunicare in maniera efficiente e poco ambigua e di generare unità di senso a piacere? Non è sensato dire che tra questa scrittura e quella comunemente intesa potrebbe stabilirsi un legame biunivoco di perfetta traducibilità, né che possano essere messe sullo stesso piano funzionale; al contrario, le due (?) entità sembrano integrarsi in un insieme indistinto e flessibile: la disposizione spaziale degli elementi non ha solo una funzione evocativa, può generare effetti di senso ben definiti e può denotare significati precisi. Lo spazio può essere significativo quanto le parole. Le relazioni spaziali tra elementi possono servire per “scrivere” con grande economia quello che altrimenti richiederebbe complicati giri di parole (e viceversa). [Perondi (2012), 14]

Se non fossimo avvertiti di trovarci di fronte a uno studio sull’uso della grafica pubblicitaria, potremmo facilmente accostare considerazioni analoghe per la poesia. Basti solo il riferimento a quegli autori che attuano rientranze nel verso, lasciando ampio margine agli spazi bianchi: a partire da Mallarmé, quindi, Valéry, tutta la poesia “informale” del Novecento e del primo decennio del nuovo secolo, affrancatasi dalla metrica tradizionale, sembra aver affidato alla dialettica e al legame biunivoco, spazio bianco-testo, silenzio parola, gran parte della propria esperienza: un nome, su tutti: Mario Luzi. E basti il riferimento a tanta poesia visiva, performativa, ‘orale’, di origine Dada e Futurista, e che successivamente, a partire dagli anni Sessanta, ha animato le piazze occidentali e che è tornata in campo in questo primo decennio del nuovo secolo. Ancora più interessante, anche nell’economia del discorso che va qui delineandosi, e nelle premesse del solco dantesco, apparirà la lettura del passo successivo:

L’espansione è data dall’estensione della combinazione della scrittura ad opera del singolo, l’idiotismo. In questo modo si generano nuove strade, che possono essere lasciate definitivamente oppure riprese da altri per divenire comuni, standardizzate in un processo di contrazione, […]. La scrittura si adatta al mezzo, al supporto e ai lettori, ma cerca costantemente di evadere dai confini troppo marcati, soprattutto per esigenze comunicative, magari semplicemente di ergonomia. Nel processo di invenzione, espansione, l’ampliamento della scrittura è naturale, inarrestabile, impossibile da prevedere nelle sue mutazioni e tendenzialmente quasi impossibile da gestire “dall’alto”. Espansione e contrazione della scrittura. Per questo ogni sforzo di espansione della scrittura, anche se apparentemente illogico, a mio parere è necessario per migliorare la capacità di adattamento e l’efficienza in generale della scrittura stessa. [Perondi (2012), 20]

Sebbene pertinenti altri ambiti di indagini e di prassi: la grafica pubblicitaria, tra design e economia di mercato, possiamo ritenere le osservazioni di cui sopra, applicabili, con le dovute precauzioni ed evitando il rischio di una sovrapposizione di piani, ma anche di effetti (andrebbe aperta una parentesi non necessaria sul mercato editoriale, e sull’economia “di nicchia” del settore poesia). Cosa ci suggerisce e a cosa ci richiamano le considerazioni di Perondi, se rapportate alla realtà della scrittura in versi? Essenzialmente indicano e ribadiscono che i confini tra tratto, segno (lì esclusivamente grafico), cioè tra spazio del testo (e per traslato, spazio come categoria ad ampio spettro) e parola, qui, metonimicamente, come ‘il verso, di per sé’, o anche come sineddoche del verso, è un confine continuamente rimuovibile, teso a spostamenti verso margini ulteriori (il margine del testo, della pagina, dell’orizzonte. Ma anche dell’‘a capo’, dell’andare oltre il singolo verso, oltre una intentio monorematica di autonomia del verso in sé. Induce inoltre a considerare le svariate possibilità che la parola poetica ha a disposizione. Anche in questo ultimo decennio, rifacendosi a una consolidata e vulgata prassi di ‘poesia in prosa’ degli anni Settanta, che si riallacciava al proto-novecento della prosa d’arte da un lato, e più decisamente, guardava all’archetipo baudelairiano de Le Spleen de Paris. Petits pòemes en prose, e agli acuminati poemetti in prosa di Ponge, Le Parti pris des choses (1942) a cui si ispira dichiaratamente un poeta della statura di Giampiero Neri sin dall’opera d’esordio, L’aspetto occidentale del vestito, fino al recentissimo Il professor Fumagalli e altre figure. Ma a cui guardava molta della nuova poesia emergente: Cucchi, con l’opera d’esordio Il disperso, come pure una tra le voci che più hanno caratterizzato l’ultimo quarto del secolo novecentesco, ovverossia Raffaello Baldini, che sempre nel 1976 esordisce con E’ solitèri (Il solitario), scritto nell’idioma di Santarcangelo di Romagna. Un libro che lo rivela alla critica e che svela e riverbera su una realtà anche linguistica, di dilatazione polimetrica del verso e del testo poetico, una realtà sociale di dispersione, di disperazione, di totale perdita di punti di riferimento, di vite nella follia e ai margini, di vite evertite e di eversione linguistica dal canone. Possiamo intendere la percezione del libro di Baldini e la sua appercezione estetica (e la sua ricezione) come una vera e propria Stimmung dell’epoca. Dopo gli anni Settanta, a più riprese la pratica della poesia in prosa è stata affrontata da varie prospettive culturali, dall’area di scritture di ricerca all’area “di tradizione”. Gli autori esplorano nessi e pratiche in cui la poesia si ibrida o “contamina” con la prosa (del mondo, con le sue implicanze e riverberazioni, ma anche del testo): basti pensare alle lunghe narrazioni in versi di Mussapi (Racconto di Natale e Antartide). Ma i risultati più convincenti vengono da autori generalmente e genericamente considerati outsiders, ovvero non adunati sotto sigle o “scuole” né tantomeno ‘linee’. Accade che si assista a un passaggio che punta a una virata decisa: dalla “poeticizzazione della prosa” d’Ottocento e primo Novecento, si passi alla messa in prosa, alla resa formale implicante abbassamento di registri, e medietà linguistica in prospettiva comunicativa, della “poesia in prosa”. È anche il caso di De Signoribus del 2008 che rivendica il profilo prosastico del fare poesia, e che giunge a definire i suoi scritti: «nonversi e quasiprose». A conferma che i confini tra i generi e i registri si presentano vieppiù saltati, che la scrittura poetica continua a indagare oltre sé stessa, oltre i generi designati dal Canone classico ma anche dal Canone novecentesco. Inoltre è sempre più abituale imbattersi in opere di versi contenenti ampie partiture o sezioni in prosa: è sufficiente consultare le più recenti pubblicazioni della Collana dello Specchio di un editore come Mondadori, per rendersi conto dell’entità del fenomeno: e dove appare evidente un certo grado di contiguità tra i generi come pure nella ricerca di una loro prossimità, spesso confusa con indicizzazioni prosastiche o tonali di understatement, rese stilistiche tendenti a un minimalismo sintattico, nel dominio della paratassi, nonché a una riduzione basica della lingua e a una inopia lessematica. Occorre tuttavia spostarsi nel campo “scrittura di ricerca” per rendersi conto dell’ampiezza fenomeno e della pratica seria e articolata della poesia in prosa. Recentemente un’antologia, in cui sei autori esperimentano sei percorsi di Prosa in prosa in cui con una semplice ripetizione o anafora, la parola poesia è definitivamente sparita dall’enunciato: di fatto si tratta di sei autori che praticano la scrittura in versi e che attuano un progressivo, costante, linguisticamente eversivo sconfinamento del verso della pagina, nella prosa (Bortolotti, Broggi, Giovenale, Inglese, Raos, Zaffarano). Si tratta di uno dei risultati migliori, e di una delle possibili frontiere (che non casualmente guarda a quanto accade oltralpe) verso cui si spinge la scrittura poetica. Il rapporto della parola con le cose (che dice o narra o registra) è un rapporto paritetico e non più mimetico: la scrittura, il flusso verbale è inserito in un continuum morfo-sintattico, semantico, figurale, concreto: in un flusso magmatico delle cose, in cui la parola è cosa tra le cose, è un elemento che partecipa della progressiva materializzazione del mondo, o del flusso materico e materiale, ideologicamente lo diremo pure “materialistico” del mondo e delle sua realtà mercificata ed oggettuale. È uno dei motivi, se non la ragione prima per cui assistiamo a un continuo inserimento della cosalità nei testi poetici. Gli oggetti, o le realtà repertuali, le scorie, gli scarti, gli avanzi e i resti, sono protagonisti del corpo stesso del testo: la corporeità, d’altro canto, e l’altro elemento che sembra distinguere gran parte della produzione in atto: il riferimento al corpo delle cose, come al corpo degli uomini. Come pure alla fisiologia: si pensi a una antologia uscita recentemente, in cui questo dato diviene centrale e caratterizzante quasi la scrittura delle autrici: Nuovi poeti italiani 6 o si pensi al recente Dell’immergersi e nuotare. Wild swimming di Cogo, un fine anglista e traduttore, che scrive un poemetto in prosa dedicato all’acqua e al paesaggio. Non c’è soluzione di continuità nel verso e del verso: non c’è in tutto il testo alcun segno d’interpunzione: il testo, elegante e suadente, introduce dunque due aspetti fondamentali della poesia in atto: il suo naturale affidarsi alla prosa, il suo procedere ad libitum nella atemporalità sistematica e nella spazialità a-prospettica della cultura del Postmoderno. A questo punto, si rende necessaria una piccola annotazione storicista e culturale. Dai tempi di Dionisotti, di Pasolini, e di Contini, (tra Dopoguerra, anni Cinquanta e Sessanta), l’immaginario collettivo e l’immaginario poetico (o di chi comunque pratica la scrittura in versi e non solo) è stato marcatamente segnato dagli stigmi di continuo spaesamento (i titoli dei libri di poesia sono anche in questo emblematici: Il disperso di Cucchi, E’ solitèri (Il solitario) e Furistír (Lo straniero) di Baldini) e di deterritorializzazione culturale, determinati da più fattori: il crollo delle ideologie, la fase di industrializzazione e la realtà post-industriale, l’avvento del web e l’era digitale, l’informatizzazione progressiva e sistemica. A livello culturale, l’elemento inarginabile è costituito dall’avvento del Postmoderno, con cui occorre ancora fare i conti. Essenzialmente, e in riferimento alla scrittura in versi, ha determinato la sostituzione delle categorie classiche di Spazio e Tempo, così come erano pervenute fino al primo ventennio del Novecento, o fino ai primi anni Quaranta, quando diventa endemico il ricorso a pratiche versificatorie più libere da vincoli formali: si parla, non a caso, di verso libero o informale, cioè post-metrico. La metrica stessa nella ritmologia contemporanea sembra, nella stragrande maggioranza della produzione in corso, essere stata sostituita, nel migliore dei casi a elementi di “periodicità”, secondo la nozione di Jean Cohen: assonanze, allitterazioni, ripetizioni, procedimenti per accumulo omofonico o verbale che trasportano il senso ed il suono dei testi: che ne costituiscono, in sostanza, il ritmo nuovo; un insieme di recursività e di ritorni sonori che veicolano il ritmo, sostituendo di fatto, la metrica classica. Le categorie di Spazio e Tempo così come erano giunte fino ai primi decenni del Novecento, consentivano di intendere la successione degli eventi, delle storie e dei luoghi, in base a una coordinata di diacronia che scandiva la sequenzialità e la consequenzialità degli accadimenti storico-politici: una successione logica di fatti, di cose, in un’ottica sostanzialmente progressiva. Il Postmoderno implica la rottura dirompente con la diacronia: la visione delle cose, degli eventi, non è, non è più dinamica, susseguente e logica, ma si configura nella sua virtualità-realtà antiprospettica: un lungo, interminato e indeterminato piano-sequenza deprivato di prospettiva. L’azzeramento della prospettiva, e, implicitamente, dell’ipotesi, ipostasi, di idealità di un qualche futuro, condiziona l’orizzonte di attesa, potremmo dirlo ormai, di mancanza di attesa o prospettiva contemporaneo. Inoltre, l’era del digitale, del virtuale e del web, produce inevitabilmente una mutazione nell’immaginario collettivo, poetico, come nell’antropologia in genere. Va di pari passo con la globalizzazione planetaria, con il consumismo planetario. Anche di questo la Geocritica, come qualsiasi operazione di mapping nella critica e nella cultura, devono tenere sempre in considerazione. Il rischio infatti è di mappare l’esistente, a stretto raggio d’azione, perdendo di vista le possibilità che la cultura globalizzata porta con sé o produce. Un approccio geocritico o geocentrico ad esempio, eurocentrico, occidentalecentrico, applicato alla storia della letteratura di questi anni, rischia di perdere di vista elementi di novità e una trama di parentele, interrelazioni e scambi, che anche nella letteratura, nella poesia contemporanea, oggi possono configurarsi. Sarà sempre più interessante, in ottica comparatista, ricercare nessi, delineare ascendenze e risonanze tra spazi linguistici adiacenti e esperienze di scritture che travalicano confini fisici, politici, etno-religiosi e linguistici. E la poesia di Baldini, ad esempio, rivelatrice di stigmi di straniamento, e di deterritorializzazione culturale, nonostante sia impressa in un idioma locale che conta al massimo 3000-7000 parlanti: rivelerà assonanze, analogie che spaziano con le tele pittoriche e i volti ritratti dall’irlandese Francis Bacon, con le installazioni e le sculture dell’uomo spolpato dello svizzero Giacometti, i personaggi della narrativa straniata e deterritorializzata dell’israeliano Shabtai. Il rischio di un qualche limite neo-deterministico è sempre dietro l’angolo, come il rischio di erigere barriere geocritiche, geopoetiche, eurocentriche, alla scrittura e all’arte, come alla visione e al pensiero. Nella necessità di mappare l’esistente poetico, sono fondamentali le ascisse e le coordinate fornite di disanime, rassegne, profili di storia della letteratura nazionali, regionali, e locali. Occorre tuttavia sempre valorizzare i riferimenti ad una pratica di interdisciplinarietà e di interculturalità planetaria. Ciò, e nella Geocritica, come nella comparatistica, deve avvenire avendo sempre in considerazione che la letteratura è inserita in un flusso o in una dinamica di totale globalizzazione. La cultura, pur con tutti i particolarismi e le storie (regionali, nazionali, continentali, delle aree linguistiche) è oggi eminentemente espressione proteiforme, metamorfica e dinamica di una cultura non local, ma glocal.

Appendice: un esempio di mapping su nuovi autori

L’esempio che segue, vuole essere un ulteriore contributo alla pratica del mapping. Nella fattispecie, si tratta di una ricognizione o mappatura generazionale:

Gli inediti che seguono appartengono a Roberto Cescon (Pordenone,1978), Marco Corsi (Terranuova Bracciolini -AR-, 1985), Piero Simon Ostan (Portogruaro, 1979), Annalisa Teodorani (Rimini, 1978), tre dei quali hanno varcato la soglia dei trent’anni, ma per il fatto di essere nati alla fine di un decennio e prima del successivo, o a cavallo di due decenni, non sono stati inclusi nelle crestomazie generazionali, mentre il solo Marco Corsi può considerarsi ancora ventenne. Hanno tutti all’attivo più di un libro di versi (tre la Teodorani: che vanta anche il primato della più giovane esordiente in ambito neodialettale a 20 anni, nel 1999), svariate pubblicazioni in riviste, antologie cartacee e nel web. Inoltre alcuni hanno già editato monografie notevoli: Cescon su Franco Buffoni (Pieraldo, 2005) e Corsi su Biancamaria Frabotta (Archetipolibri, 2010), sono vieppiù attivi sul territorio con readings, incontri, premi, festival, eppure all’anagrafe letteraria li consideriamo giovani, auspicabilmente nuovi. Volendo a tutti i costi ridurre queste righe alle griglie di una disanima comune, potremmo dire, col rischio di qualche forzatura, che è possibile ravvisare elementi, fili sotterranei che passano e agiscono tra l’uno e gli altri.  Un primo collante è riscontrabile, ad esempio, a livello linguistico e grammaticale: una sostanziale medietà della lingua veicola i motivi attraverso la nudità, quasi basica, dei vocaboli, in costrutti e frasi brevi, non di rado coincidenti con versi monorematici, chiari e semplici: in cui è evidente lo sforzo di comunicazione, quasi mossi dalla onesta necessità di raggiungere il lettore, specie in Cescon, in direzione della immediatezza, e in Teodorani, in direzione della massima rastremazione o economia lessicale. Medietà che, va da sé, determina la sintassi, caratterizzata da predilezione per costruzioni paratattiche. Marco Corsi, pur affidandosi ad una lingua fluida e veicolare, sfugge sostanzialmente a questo discorso. È il più giovane e, per paradosso, appare il più dotato della consapevolezza degli strumenti, dei registri e dei codici, o meglio, il più votato a una scrittura che, senza farne sfoggio e auspicabilmente senza compiacersene, attinge fortemente alle strutture di tradizione per riusarle e per evertire da esse: con una rara (considerando la giovane età) competenza metrica, meglio, con una forte appercezione ritmologica, per altri versi e non casualmente riscontrabile nelle scritture dei coetanei Giuseppe Carracchia (1988) e Davide Nota (1981). Per questo autore, dalla produzione esondante e versatile, a giudicare dalla fluviale messe di materiali pubblicata qua e là in rivista, e con all’attivo una buona opera prima, L’inverno del geco (Gazebo, 2011), fortemente marcato da una componente manierista (quasi barocca: nella ottima realizzazione di percussività e ritorni sonori affidati a omofonie, allitterazioni e assillabazioni, a giochi di ripetizioni e riprese acustiche e lessematiche), e di ricerca nell’allegoresi. Per l’aretino potrebbe valere quella nozione di ritmologia come prassi avanzata dalla Julia Kristeva, secondo cui il ritmo è diretta conseguenza del corpo e della pulsione, ed è l’elemento sovvertitore della sintassi. Ritmo dunque come avanguardia di significato e soluzione acustica da preferire al metro (canonico e di tradizione): a corredo c’è quella nozione di periodicità di Jean Cohen qui ben realizzata dalla frequenza di recursività sonore in strutture a cinque accenti tonico-ritmici: «a dominarti, domani soltanto domande/ ti farei di questo mondo che a te/ mi contese, in pochi versi, senza mani».  Un secondo elemento comune, sempre a livello linguistico, è rappresentato dal ricorso non infrequente a un’assertività da parlato, che riproduce mimeticamente gli automatismi dei modi di dire, uno stadio dell’oralità scopertamente pregrammaticale, attestante spesso un primo orizzonte di riferimento, oltremodo domestico e feriale o un contesto di rapporti familiari, affettivi, d’amicizia e di lavoro: «Parliamo di calcio, stipendi, colleghi,/ dove mangiare la prossima volta,/ la politica se siamo d’accordo./ Certi discorsi ormai si ripetono/ perché guardiamo gli stessi tg.» (Cescon); «Doveva essere una giornata con il sole/ Eri in giardino per un motivo che non ricordo.» (Ostan), «ma fermati con me da questa parte/ e prova a sillabare con le unghie/ i labili graffiti sulle porte» (Corsi), «A t’ò vést te spèc/ sal mèni tal bascòzi/ ta m’aspitìvi.», «Ti ho visto nello specchio/ con le mani nelle tasche mi aspettavi.» (Teodorani). Sembra quasi che l’esperienza della lingua, si depositi ad altezza di un basso continuo di tonalità e accenti, frequenti il raso terra aprospettico del nuovo secolo: si avverte nei testi come una Stimmung oggidiana, un’atmosfera marcata da tracce di disagio, inquietudine, allarme: «freddi gli sguardi/ di una paura non da fuori/ in disuso le caldaie/ se anche guardarsi raffredda» sono versi di Ostan che già in Pieghevole per pendolare precario (Le voci della Luna, 2011), un titolo che vale come emblema di una condizione attinente ad almeno due, forse tre generazioni, aveva sondato l’urgenza sociale di una condizione liquida, e fornito, attraverso una lingua della realtà e delle merci, dei non-luoghi contemporanei e del patois (un métissage tra dialetto friulano, slang giovanile e detriti linguistico-letterari) le foto segnaletiche dei ‘non identificati’, tratti di una umanità marginale e clandestina. Una urgenza che in questi inediti si connota di una dimensione esistenziale, nel recupero di un io repertuale, singolo e plurale, che si fa regesto di natura lirica: «È così anche il nostro stare qui,/ gli squarci e le spaccature/ provano chi siamo». Eppure quanto può apparire come il grado zero dello stile semplice, una voluta ingenuità nei dati di ovvietà naturalistica, nella inopia dell’analogismo, non rappresenta lo specifico, né la mira di questi autori: piuttosto è un ripartire da zero, in sordina, con la consapevolezza nuova di essere tra le cose e gli uomini, privi di velleità e di privilegi: è davvero questa l’età che sembra finalmente consegnare per acquisita un conquista cara alla poesia di Mario Luzi: «sopravanzano le cose il loro nome», affermata in tempi in cui i nomi di una res cogitans antecedevano ancora, per ipostasi, la res extensa. Ora l’indirizzo luziano sembra fatto chiaro, precipitato nelle nuove parole-racconto, e nelle parole cosali, cioè portatrici di cose, della nominazione e della risonanza di senso delle cose, dei più giovani. Paradigmatico appare dunque in questa prospettiva il testo di Cescon, La direzione delle cose dove l’avverbio introduce un dubbio molto attivo tra incertezza e possibilità: «Forse nel buio le cose/ hanno una loro intelligenza/ perché sono più di quello che siamo». L’autore friulano, dopo Vicinolontano (Campanotto, 2000) e La gravità della soglia (Samuele editore, 2010) prospetta negli inediti una lingua ‘poca’ (povera) più attinente o in re per «coprire la distanza dalle cose». Quelle parole che non bastano, che sottendono tutta l’inadeguatezza della lingua di fronte alle cose e alla direzione che queste prendono, antivedendo e precedendo il significato, langue e parole, rappresentano dunque un dato nuovo di partenza, una competente humilitas o luziana ‘aderenza alle cose’. Ed è, non a caso, una ripartenza che ha a che fare con il paesaggio contemporaneo dei non-luoghi e del soggetto (natura naturans), e con un ‘ritorno’ all’oggetto di natura (natura naturata): «La folata che fora e grigi si fanno i riflessi/ negli alberi di novembre, nei pendii del primo gelo/il declino del bosco farsi nel respiro/ le fronde finire tra le suole/ il letargo della terra bucare la prima pelle» (Ostan); «chiudendosi l’occhio non dispera/ di toccare le forme della luce/ la vera natura dei contorni, i margini:/ vuoti mutilati di frontiera tra te/ e il passo circolare della sera.» (Corsi); «U n’è mai l’òura/ par i treni ch’i n s’férma./ Ma néun i s’à zcórd/ te mèz dla campàgna/ a zcòr m’i giraséul ch’i piénz», «Non è mai l’ora giusta/ per i treni che non fermano./ Ci hanno dimenticati/ in mezzo alla campagna/ a confortare i girasoli che piangono.» (Teodorani). Nei versi affilati e precisi, nitidi e delicati della neodialettale di Santarcangelo, che già in Sòta la guàza, Sotto la rugiada (Il Ponte Vecchio, 2010) tra fragilità e stupore marcava i sentimenti e le attese, di una condizione creaturale tra sospensione stupita e ansia, come in questo essere ‘dimenticati in mezzo alla campagna’ c’è ora tutto lo spaesamento, spesso raccontato con le venature minimaliste e intimiste di un’esperienza che non cessa mai di dire io, e di dire noi. Perché quando ci dicono dell’esperienza di solitudine, anche questi 4 autori ci riferiscono di una solitudine non chiusa né ripiegata in sé, bensì popolata di discrete presenze: «Ognuno tiene le altre cose per sé./ Nelle loro vite c’è la direzione della mia» (Cescon). Un ulteriore elemento comune è dunque da ricercare nella allusione ai motivi dei rapporti tra le persone in tonalità e modalità dal gusto contemporaneo, minimale e contenuto: viene raccontato l’amore nei versi di Corsi che mimano i costrutti di un moderno canzoniere; la coppia, liquida e in crisi, è protagonista della suite di testi brevi, arguti acquerelli in vibranti impressionismi della Teodorani; le scene o dinamiche matrimoniali nei versi feriali e condominiali di Cescon e Ostan, tra desiderio di paternità e incubi sociali che minano i legami. Ovunque è dedicata attenzione agli affetti in genere e in particolare, anzi viene oltremodo amplificata la portata dei sentimenti, così a rischio d’implosione nell’epoca della precarietà tout court, nella impossibilità e nella necessità di «comprendere l’uomo dove l’uomo/ non c’è, non si può.» (Ostan).  Si potrebbe sospettare di una attitudine minimale, si pensi solo al riferimento quasi da etologi e zoologi a specie piccolissime: le termiti (Ostan) e la formica (Teodorani), e sia pure di un minimalismo linguistico, figurale, e tematico. Tuttavia questi autori, con mezzi e con esiti differenti, ma tutti con tratti già riconoscibili, sembrano non arrendersi alla rovina socioeconomica presente. Articolano, anzi, le parole caricandole di attese, prefigurando, malgrado tutto lo sconcerto del mondo, la continuità della specie e una sostanziale fiducia nel gesto del dire: «È scattato un conto alla rovescia/ per nascere e diventare creatura/ e un altro lungo un orizzonte/ per diventare padre». (Cescon); «Sarà poi un giorno mio figlio/ e il figlio di mio figlio/ sarà l’aggirarsi nell’identico buio delle strade/ ad aspettare che venga il vento giusto/ e il chiaro dentro gli occhi» (Ostan); «e come vedi a dividerci è la luce/ mentre piano la tua voce gira» (Corsi); «A t’ò niné/ fin a fèt indurmantè/ èli e ràdghi a l s’è invrucèdi./ E t’una nòta pursì/ da la nèbia l’è scap fùra/ un pésgh in fiòur», «Ti ho cullato/ fino a farti addormentare/ ali e radici si sono intrecciate./ E in una notte qualunque/ dalla nebbia è spuntato/ un pesco in fiore» (Teodorani). [Cohen (2012, 18-22]

 

BIBLIOGRAFIA

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Fiorentino Francesco, Sampaolo Giovanni (a cura di), Atlante della letteratura tedesca. Macerata: Quodlibet 2009, 640.
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Mazzoni Guido: Sulla poesia moderna. Bologna: Il Mulino 2005, 256.
Mengaldo Pier Vincenzo: Attraverso la poesia italiana. Analisi di testi esemplari. Roma: Carocci 2008, 207.
Merlin Marco: Poeti nel Limbo. Studio sulla generazione perduta e sulla fine della tradizione. Novara: Interlinea 2005, 315.
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Moretti Franco: Segni e stili del moderno. Torino: Einaudi 1987, IX-261.
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Orlando Francesco: Gli oggetti desueti nelle immagini della letteratura. Rovine, reliquie, rarità, robaccia, luoghi inabitati e tesori nascosti. Torino: Einaudi 1994, 585.
Pasolini Pier Paolo: Passione e ideologia. Milano: Garzanti 1973, 493.
Pedota Giuseppe: Dopo il Moderno. Saggi sulla poesia contemporanea. Piateda: CFR 2012, 117.
Perondi Luciano: Sinsemie. Scritture nello spazio. Viterbo: Stampa Alternativa e Graffiti 2012, 236.
Piccini Daniele: Letteratura come desiderio. Studi sulla tradizione della poesia italiana. Bergamo: Moretti & Vitali 2008, 323.
Raboni Giovanni: La poesia che si fa. Cronaca del Novecento poetico italiano, 19592004, a cura di A. Cortellessa. Milano: Garzanti 2005, VII-415.
Raimondi Ezio: Letteratura e identità nazionale. Milano: Bruno Mondadori 1998, XX-235.
Renzi Lorenzo: Come leggere la poesia. Bologna: Il Mulino 1991,165.
Ritrovato Salvatore: Piccole patrie. Il Gargano e altri sud letterari. Bari: Stilo 2011, 167.
Said Edward W.: Cultura e imperialismo. Roma: Gamberetti 1998, 430.
Sannelli Massimo: Scuola di poesia. Macerata: Vydia 2012, 145.
Todorov Tzvetan: La letteratura in pericolo. Milano: Garzanti 2008, 90.
Trifone Pietro: Storia linguistica dell’Italia disunita. Bologna: Il Mulino 2010, 208.
Westphal Bertrand (a cura di): Géocritique mode d’emploi. Limoges: Pulim 2001.
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Westphal Bertrand, Flabbi Lorenzo (a cura di): Espaces, tourismes, esthétiques. Limoges: Pulim 2010.

II. Antologie
Alfano Giancarlo, Baldacci Alessandro, Bello Minciacchi Cecilia, Cortellessa Andrea, Manganelli Massimiliano, Scarpa Roberta, Zinelli Fabio, Zublena Paolo, (a cura di): Parola plurale. Sessantaquattro poeti italiani fra due secoli. Roma: Sossella 2005, 1177.
Bortolotti Gherardo, Broggi Alessandro, Giovenale Marco, Inglese Andrea, Raos Andrea, Zaffarano Michele: Prosa in prosa. Firenze: Le Lettere 2009, 216.
Buffoni Franco (a cura di): Poesia contemporanea. Undicesimo quaderno italiano. Milano: Marcos y Marcos 2012, 283.
De Santi Gualtiero (a cura di): I sentieri della notte. Figure e percorsi della poesia italiana al varco del millennio. Milano: Crocetti 1996, 175.
Fantuzzi Matteo (a cura di): La generazione entrante. Poeti nati negli Anni Ottanta. Borgomanero: Giuliano Ladolfi Editore 2011, 170.
Giuliani Alfredo (a cura di): I novissimi. Poesie per gli anni ’60. Torino: Einaudi 1997, 233.
Loi Franco (a cura di): Nuovi poeti italiani 5. Torino: Einaudi 2004, 249.
Marelli Piero (a cura di): Guardando per terra. Voci della poesia contemporanea in dialetto. Faloppio: LietoColle 2011, 267.
Ostuni Vincenzo (a cura di): Poeti degli Anni Zero. Gli esordienti del primo decennio. Roma: Ponte Sisto 2011, 345.
Pasolini Pier Paolo, Dell’Arco Mario (a cura di): Poesia dialettale del Novecento, Torino: Einaudi 1995, 378.
Pasolini Pier Paolo (a cura di): Canzoniere italiano. Antologia della poesia popolare. II voll. Milano: Garzanti 1992, 608.
Pontiggia Giancarlo: Il miele del silenzio. Antologia della giovane poesia italiana. Novara: Interlinea 2009, 198.
Rosadini Giovanna (a cura di): Nuovi poeti italiani 6. Torino: Einaudi 2012, XVIII301.
Testa Enrico (a cura di): Dopo la lirica. Poeti italiani 1960-2000. Torino: Einaudi 2005, XXX-436.

III. Opere in versi.
Baldini Raffaello: La nàiva. Furistír. Ciacri. Torino: Einaudi 2000, 366.
Ballerini Luigi: Cefalonia 43 e altre poesie. Milano: Mondadori 2005, 96.
Baudelaire Charles: Lo spleen di Parigi. Milano: Feltrinelli 2008, 235.
Bertolucci Attilio: La camera da letto. Milano: Garzanti 1988, 388.
Buffoni Franco: Poesie 1975-2012. Milano: Mondadori 2012, XLIII-340.
Calandrone Maria Grazia: Sulla bocca di tutti. Milano: Crocetti 2010, 124.
Cipriano Domenico: Novembre. Massa: Transeuropa 2010, 37.
Cogo Roberto: Dell’immergersi e nuotare, Wild swimming. Bassano del Grappa: Attiliofraccaro 2012, 43.
Cucchi Maurizio: Il disperso. Milano: Guanda 2004, 83.
De Angelis Milo: Poesie. Milano: Mondadori 2008, XXXVII-263.
D’Elia Gianni: Trentennio, versi scelti e inediti 1977-2007. Torino: Einaudi 2010, 326.
De Signoribus Eugenio: Poesie (1976-2007). Milano: Garzanti 2008, 663.
Fedeli Ivan: Virus (e altri scempi). Milano: Dot.com Press 2011, 152.
Finzi Zara, Per gentile concessione. San Cesario di Lecce: Manni 2012, 75.
Franzin Fabio: Fabrica. Borgomanero: Atelier 2010, 96.
Franzin Fabio: Co’e man monche, Con le mani mozzate. Milano: Le Voci della Luna 2011, 89.
Frungillo Vincenzo: Ogni cinque bracciate. Firenze: Le Lettere 2009, 135.
Fucci Gianni: Rumànz. Un’epica famigliare in dialetto santarcangiolese. Cesena: Il Vicolo 2011, 269.
Guerra Tonino: E’ mél, Il miele. Rimini: Maggioli 2010, 161.
Insana Jolanda: Tutte le poesie (1977-2006). Milano: Garzanti 2007, 663.
Insana Jolanda: Turbativa d’incanto. Milano: Garzanti 2012, 131.
Insana Jolanda: Frammenti di un oratorio per il centenario del terremoto di Messina. Milano: Viennepierre 2009, 71.
Lo Russo Rosaria: Nel nosocomio. Massa: Transeuropa 2011, 23.
Majorino Giancarlo: Prossimamente: Milano: Mondadori 2004, 146.
Majorino Giancarlo: Viaggio nella presenza del tempo. Milano: Mondadori 2008, 424.
Mazzoni Guido: I mondi. Roma: Donzelli 2010, 72.
Mesa Giuliano: Poesie, 1973-2008. Roma: La Camera Verde 2010, 421.
Mussapi Roberto: Racconto di Natale. Milano: Guanda 1996, 64.
Mussapi Roberto: Antartide. Milano: Guanda 2000, 96.
Nadiani Giovanni: Guardrail. Ancona: peQuod 2010, 139.
Neri Giampiero: Poesie, 1960-2005. Milano: Mondadori 2007, XIX-203.
Neri Giampiero: Il professor Fumagalli e altre figure. Milano: Mondadori 2012, 99.
Pagliarani Elio: Tutte le poesie (1946-2005). Milano: Garzanti 2006, 512.
Pagliuca Salvatore: Lengh’ r’ terr’, Lingua di terra. Milano: Le Voci della Luna 2012, 145.
Pasolini Pier Paolo: Tutte le poesie, con un saggio di F. Bandini II voll. Milano: Mondadori, 2003.
Ponge Francis: Il partito preso delle cose, tr. it. J. Risset. Torino: Einaudi 1979, XII 131.
Pusterla Fabio: Le terre emerse. Poesie scelte 1985-2008, Einaudi, Torino 2009, 213.
Raboni Giovanni: L’opera poetica. Milano: Mondadori 2006, 1871.
Renda Marilena: Ruggine. Milano: Dot.com Press 2012, 83.
Ritrovato Salvatore: Cono d’ombra (deframmentazione di un viaggio). Massa: Transeuropa 2011, 33.
Santi Flavio: Mappe del genere umano. Milano: Scheiwiller 2012, 160.
Santoro Daniele: Sulla strada di Leobschütz. Milano: La Vita Felice 2012, 58.
Sovente Michele: Carbones. Milano: Garzanti 2002, 171.
Sovente Michele: Bradisismo. Milano: Garzanti 2008, 247.
Valduga Patrizia: Quartine. Seconda centuria. Torino: Einaudi 2001, 107.
Vit Giacomo, Ziklon B. Piateda: CFR 2012, 48.
Zuccato Edoardo: Ulona. Rovigo: Il Ponte del Sale 2010, 83.

 

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