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proSabato: Gian Ruggero Manzoni, La voce #1

2017 11 11 Gian Ruggero Manzoni, La voce

1

La voce, dal profondo, sussurrò: “Lo sai chi sono?”
L’ufficiale si guardò attorno. Nella trincea era solo. La neve, caduta durante la notte, aveva riempito quasi tutto lo scavo e, dietro e avanti, ogni affronto del terreno, le asperità, le costruzioni degli uomini, i sacchi pieni di terra nera, gli insulti creati per difendersi o per infierire erano cancellati, donando a quella ferita, che correva lungo tutta la vallata, di nuovo quiete, di nuovo pace.
Anche i reticolati in parte erano stati coperti dal manto bianco. La neve aveva ridato natura alla natura, morbidezza alla morbidezza.
Il militare si guardò ancora attorno. Nessuno.
Sfilatosi il tascapane e appoggiatolo sul bordo della trincea, tolti i guanti di lana, portò le mani alla bocca e alitò caldo, quindi, senza curarsi dei cecchini nemici, finalmente alzò per intero la figura, cavò l’elmetto e si aggiustò il passamontagna. Le sue spalle e la testa svettavano al di sopra dello scavo. Era un bersaglio facile.
“Lo sai chi sono?”, ripeté la voce.
“Penso di aver capito”, sussurrò appena l’ufficiale, “… penso di aver capito.”
“Sei spaventato?”
“Non più di tanto. Ti stavo aspettando. Se così deve esser … così sia.”
Non ti sapevo fatalista.
“È solo stanchezza. Sì, sono stanco di dover stare sempre chinato.”
“Lo sai che quando deciderò dovrai seguirmi?”
“Lo so.”
“Hai rimpianti?”
“Non c’è uomo che non ne abbia.”
“Allora a presto.”
“A presto”, mormorò Riccardo Aldobrandini.
Rimessi i guanti, rimesso a tracolla il tascapane, sollevato il bavero del cappotto, l’ufficiale, senza chinarsi, sempre a figura alta, osservando con infantile meraviglia i ghiaccioli pendere dai rami spogli degli alberi, a passi lenti percorse un lungo tratto della trincea fino al rifugio, all’interno del qual scomparve, come divorato dal suolo.

© Gian Ruggero Manzoni, La voce, Carteggi Letterari, 2016


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