Ogni episodio di Twin Peaks (in attesa dei nuovi, annunciati per quest’anno) è introdotto da un monologo di Margaret Lanterman, conosciuta da tutti come la Signora Ceppo perché gira abbracciando un ciocco di legno con cui si confida e dal quale ottiene rivelazioni. Potrebbe essere la pazza del paese, se a scarseggiare a Twin Peaks non fosse proprio la normalità. Quei monologhi, scritti dallo stesso Lynch, sono in definitiva una successione di poemetti in prosa, misteriosi, surreali, bellissimi. Hanno un valore poetico autonomo, e al tempo stesso sono una chiave di accesso al mondo immaginato dal regista e dai suoi collaboratori (Mark Frost, co-ideatore, su tutti). Dalle parole cercherò ogni volta di andare alla storia e ai personaggi, senza però svelare troppo per chi ancora ha la fortuna di non aver visto la serie. E tuttavia ogni spiegazione sarà solo l’inizio di qualcosa: nel linguaggio di Lynch, sia verbale che cinematografico, permane un residuo di non significato, un nodo di oscurità, un ceppo che non brucia e che parla.
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And now, an ending. Where there was once one, there are now two. Or were there always two? What is a reflection? A chance to see two? When there are chances for reflections, there can always be two – or more. Only when we are everywhere will there be just one. It has been a pleasure speaking to you.
2 risposte a “Ciò che disse il legno: Twin Peaks attraverso i monologhi della Signora Ceppo #30”
Un’ottima finestra sui fitti boschi della trama
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L’ha ribloggato su A proposito di un cane in livrea.
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