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Ciò che disse il legno: Twin Peaks attraverso i monologhi della Signora Ceppo #6

Ogni episodio di Twin Peaks (in attesa dei nuovi, annunciati per quest’anno) è introdotto da un monologo di Margaret Lanterman, conosciuta da tutti come la Signora Ceppo perché gira abbracciando un ciocco di legno con cui si confida e dal quale ottiene rivelazioni. Potrebbe essere la pazza del paese, se a scarseggiare a Twin Peaks non fosse proprio la normalità. Quei monologhi, scritti dallo stesso Lynch, sono in definitiva una successione di poemetti in prosa, misteriosi, surreali, bellissimi. Hanno un valore poetico autonomo, e al tempo stesso sono una chiave di accesso al mondo immaginato dal regista e dai suoi collaboratori (Mark Frost, co-ideatore, su tutti). Dalle parole cercherò ogni volta di andare alla storia e ai personaggi, senza però svelare troppo per chi ancora ha la fortuna di non aver visto la serie. E tuttavia ogni spiegazione sarà solo l’inizio di qualcosa: nel linguaggio di Lynch, sia verbale che cinematografico, permane un residuo di non significato, un nodo di oscurità, un ceppo che non brucia e che parla.

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ciò che disse il legno poetarum silva

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[Episodio cinque – I Sogni di Cooper]

I play my part on my stage. I tell what I can to form the perfect answer. But that answer cannot come before all are ready to hear. So I tell what I can to form the perfect answer. Sometimes my anger at the fire is evident. Sometimes it is not anger, really. It may appear as such, but could it be a clue? The fire I speak of is not a kind fire.

Recito il mio ruolo sulla scena. Dico quello che posso per dare la risposta perfetta. Ma quella risposta non può arrivare prima che siano tutti pronti a sentire. Così dico quello che posso per dare la risposta perfetta. A volte la mia rabbia per il fuoco è evidente. Altre volte non è davvero rabbia. Lo può sembrare, ma se si trattasse di un indizio? Il fuoco di cui parlo non è un fuoco gentile. (traduzione di Andrea Accardi e Alessandra Zarcone)

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Il sogno di Cooper comincia a trovare corrispondenza nella realtà: le tende rosse tra cui ballava il nano sono le stesse di una casa nel bosco, ma per raggiungerla gli investigatori si imbatteranno prima e per sbaglio proprio nella casa della Signora Ceppo, che con brusca cortesia offrirà loro tè, biscotti e rivelazioni dal legno. In questo monologo Margaret torna quindi a parlare di sé, della sua ricerca per dare the perfect answer. Esiste la risposta perfetta? Esiste qualcuno ready to hear? Solo idealmente. Così la perfezione rimane un processo che non si completa, un risultato to form e non da ottenere. Davanti ai suoi ospiti la Signora Ceppo allude anche al proprio dramma personale col fuoco, al marito taglialegna, al diavolo vigliaccamente nascosto nel fumo. Quel fuoco detestato sembra però diventare anche l’unica condizione possibile della perfezione, ridotta all’indizio di sé, a una presenza di cenere. Siamo sempre sospesi tra la dimensione umana e un’altra che la trascende, tra l’interrogazione del mistero e un bisogno di padronanza. In fondo il vapore dell’infuso, lo scottare del tè sono come un kind fire che Margaret può finalmente controllare.

@Andrea Accardi