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Alessandro Raveggi, Nominazioni (Poesie dal ritorno 2012 – 2014)

Parigi, foto GM
Parigi, foto GM

 

Premessa

*

Ad esordio, come ritornando
da lungo stolido viaggio,
necessitando la soglia,
mi apro la mano destra
a sacrificio astruso con
del vetro opaco:
mi esplode, di scatto
la materia riprodotta,
soffiata dal niente. Uno squarcio
che è mondo altro, premessa.

*
Il sangue scorre
contraffatto,
nel suo flusso riconosco
palle di grasso, come di formaldeide,
come pallette giocose,
ninnoli da giostrare umano.
La pelle,
o gommapiuma per filmacci,
si lamenta aprendosi,
facendomi controfigura,
contraffatto b-movie ritrito
pupazzo da test,
attorno la finta calma
di chi mi soccorre.

*
Fermata per un intero mese,
aperta mano destra a bisaccia,
a espiazione medievale,
un ghigno da schizzato sul dorso,
ma scorre dentro ancora il sangue
barattato per scherzo,
e inquina il sangue puro,
che pompa in mezzo all’alveo dell’inverno,
è plus-lavoro dell’inverno:
non ricambiato sangue,
in palline che ti escono,
grasso da giostrina,
palletta infantile,
ad indicarci di gretta gomma
al confronto coi veri vivi
che violacei si avvicendano.

*

Da ET IN ARCADIA EGO

*

IV. Cavallette-uccello, anno nuovo 2012.

*

Sono un commando di piume,
sanno muoversi solidali,
mica fanno scherzi gli uni agli altri,
ognuno è un esercito,
senza vagito né lamentazione
ossicelli in tensione,
ecco uno sciame d’uccelli
disegna un senza colore e specie
termiti generate dalla brulla terra,
saltano più che volano
come cavallette sulla groppa meditativa
dell’inverno, la mangiano.

*
Io senza vergogna
passo nel mezzo,
io che rendo ragione a fatica
ragione in quest’umido
impiagarsi di valle
del grigiore non generante.
Loro, stanno
portando via i semi della primavera,
ladri e sterminatori folli
nel loro rigido flogisto
loro sono una condanna,
un’ottava piaga,
ma loro sono solidali almeno, non io, non noi,
loro generano figure e disegni.

*
Nel cielo fra le nostre teste
e le nuvole altrettanto inespresse.

*
V. Malanno di fine di una prima età.

*

Se hai un malaccio nel cervello,
dicono: senti puzza di bruciato.
Il bruciare di grossa legna,
braccia, gomiti, resti
di stecchiti tralci di viali,
come pezzi di cittadini slogati
a guardare in aria, a confidare su
nuova fioritura, o un impacco di teina,
più che reale rinascita
– una strage naturale,
nell’indifferenza molecolare
degli aguzzini.

*
L’aggravarsi del cuore di lava
di un covone nel campo addomesticato
ci coglie invece impreparati
alla combustione,
in auto appannate dalla tenebra,
perché kaputt di lingua amara,
dopo quel viale, città, facili alle noie.

*
Il cervello castagna viola,
avverte del bruciato, del malato
desiderio del combustire,
quando tutto attorno grida
l’assiduo nostro concupire,
giovanilistica trita débâcle,
glissante trombetta da cartoon,
e in fondo mai fatta per sfuocare,
sport nazionale della beffa
che molti di noi giocano con cura.

*
Il bruciare della legna sporca,
bruciare cavernoso, e dignitoso,
non spray, non esterrefatto,
non ammodernato,
la lava del cuore del covone,
lei invece dà pace, al privo di gente,
annusata solo un po’ insolentemente,
ritornando a casa, alla caverna,
a rannicchiarsi schiena a schiena
come larve buone alla seta,
ad un progetto prezioso.

*

X. Ambizioni.

*

Non c’è valle
immune che non abbia
brucato a questi plessi
le proprie ambizioni,
con una zampa toscana feroce
svanite ora nella bruma
evaporate d’umore
solo la pensosità dei colli più spelati
dà mordente e logica interna,
fiato alla perdita d’ambizioni.

*
Ambizioni estive,
ambizioni vitali,
ambizioni evaporate chissà dove
sfiatando la rugiada sul dente dell’erba
(il paradiso delle ambizioni non c’è,
la loro peste ricaduta come smog,
dà frutti infestati).

*
Non c’è pugno che distrugge
le vigne ora filaccio del ferro
spinato di guerra, ramate di una guerra
ingenerosa
battuta forse per le ambizioni.
Anche se
le industriose ariette sonanti
che vengono dallo snodo di strade
dall’autostrade urbane
si stendono in uno sfondo sicuro
di vorticose volizioni,
(ma ambizioni non sono,
colpi bassi della testa e del sogno,
origami al vento insecchiti)

*
Aspettiamo io e te,
meno ambiziosi, più pazienti
quattro mesi ancora
prima che sia la stagione di svestirci
ora attaccati ad un filo di bava
che ci passiamo con la lingua
le teste fumose e diacce
d’orgoglio rimasto asciutto
in equilibrio nel centro del campo
sul niente incolto delle ambizioni passate
(piantate già male,
nonostante quel filo, la bava,
le nostre bocche, l’ansia sessuale
che ci corre dentro
sbocca)

*

XII. Lo spillo della notte.

*

Spillo che buchi il silenzio:
sgonfiami in questa notte,
dove cerco concentrazione
notte ovattata
nel Chianti temuta dal gatto
mio rosso come una voce in testa,
di chi è ritornato stanco.
Spillo confitto nelle orecchie,
silenzio assordante, che non accade.
Esperienza di sottrazione
pari al dopo la morte, ma
senza minaccia in vita,
senza scavalcamento finale della trama
nessun presagio per gli altri
da lasciare a debito,
tomba strana un po’ amara, trasparente.

*
Sfila d’improvviso lo spillo:
lo scricchiolio del vicino
il rovesciarsi del vetro
come un occhio nel bianco
il vetro di un bicchiere di ripiano,
oppure uno sbadiglio abominevole
che contrasta lo spillo, lo sfiora
lo prende alla gola nel buio
o la dichiarazione improvvisa
di una folata dai bassi monti mormoranti
di luci mormoranti e nubili
l’ombra lattea della luna
che divelle come malta
le persiane restie allo spillo
l’aria fuori punge più volte
fa di carta straccia gli olivi
e s’infila nell’orecchio
dormono i cani accasciati
lo spillo fine della notte
è caldissimo del gelo, beato spillo,
lui operante, invisibile, determinato.

***

© Alessandro Raveggi

Una replica a “Alessandro Raveggi, Nominazioni (Poesie dal ritorno 2012 – 2014)”