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In Apulien, 14 – Francesco Cagnetta

Trommeln in den Höhlenstädten trommeln ohne Unterlaß
weißes Brot und schwarze Lippen
Kinder in den Futterkrippen
will der Fliegenschwarm zum Fraß

Tamburi nelle città cave rullano senza sostare
pane bianco e labbra nere
nelle greppie bimbi a schiere
vuole di mosche il nugolo gustare

Ingeborg Bachmann, In Apulien

(traduzione di Anna Maria Curci)

Questa rubrica propone itinerari di lettura tra voci della terra di Puglia. Alcune di queste sono note, altre meno, altre ancora sono state troppo presto dimenticate. La quattordicesima tappa è dedicata a Francesco Cagnetta, nativo di Terlizzi.

Francesco_Cagnetta

Ho ascoltato per la prima volta nell’estate del 2015, tra i sassi di Matera, i versi di Francesco Cagnetta, chiari, ruvidi, diretti. La lettura, successiva all’ascolto, dei suoi inediti ha rafforzato l’impressione iniziale di un dettato sicuro che attinge a due fonti primarie: i viaggi quotidiani nelle letture amate – Vittorio Bodini innanzitutto – e l’altrettanto quotidiano duetto con un tempo storico vissuto per lo più come antagonista. Di qui l’alternanza, nei testi, di autoritratti che alla narrazione di allenamenti a un’opposizione, che si riconosce come strenua e vana, affiancano la constatazione, ridotta all’essenziale, di un’identità “disossata”,  e di precetti non privi di ironia, tutti – autoritratti e precetti – lanciati da avamposti scomodi, spogli, spolpati (il paesaggio delle Murge emerge qui, oltre che nelle immagini, anche attraverso scelte linguistiche legate a varietà di quell’area geografica), dinanzi a nemici che si sono resi invisibili. (Anna Maria Curci)

Alla mia stagione
facevano tremare i palazzi
scuotere gli arbusti di sussurri
e parole abbiette,
crocifiggere gli abissi
con la tempra della forca
e i confini della propria vigna.

Forse, che le tonache
non siano ancora dismesse.
Che il crepitio
sia del tutto indifferente
che la tenacia dei muscoli
sia rimasta sopita.

Che sia tutta colpa della foschia
frapposta tra lo sguardo ed i nervi.

*

Ho comprato attrezzi ferrosi
per allenare i muscoli
tutti i santi giorni.
Riscaldato il cuore
accelerato il battito
scandito
alle intermittenze della notte.
Ho la compostezza delle vene
espanse di bolle d’aria
che si fanno strada nel sottopelle
e nervi duri
da poter contrarre gli oceani.
Mi strozzo di fibre proteiche
ed alimenti ipercalorici
per ingrassare il temperamento
e la tenacia delle lame sottili
affilate per l’occasione.
Ho issato le bandiere di avvistamento
affinato i radar
e la percezione dell’olfatto.
Ho indossato l’armatura di frittura
l’elmetto di cartoccio
per la chiamata alle armi.

Ma qui il nemico non si vede!

*

Sono il tuo curatore fallimentare.
Colui che deve ricombaciare
i frammenti assetati delle costole,
le incombenze delle notti accese.
Prepararti al giorno del tuo funerale.
Dirigere le melodie dei tuoi tormenti
i canti dirottati, disossati
della tua quiete dismessa.
Sono ciò che non ti aspettavi.
Il passo rigoroso dei tuoi pensieri.
L’ombra che non ti lascia.

*

Stinco che dimeni furioso
assapora indolente il sepolcro
che ti è stato affidato
lo stanzino in cui prosciughi
i tuoi occhi salvi.
Smorza il respiro duro
le arterie disostruite
smonta pezzo pezzo
il tuo pudore.
Dimentica il respiro,
i merletti di pane e di olio.
Deponi il tuo scarto,
che sia l’ultimo,
nei cupidi tramezzi
che ti contengono.
Doma la sete
non ne avrai più.

*

Sono l’assenza da me stesso
la contumacia dalla pelle
l’eclissi dal risveglio.
Sono il buco dei ricordi
l’inchiostro inciso sulla ruga
la luce bassa sulla sedia.
Il credo osseo
la pagina tibia
suono corno
che percuote
le cavità del cranio.

*

Si sta al sud come le mosche
che chiosano rumorose
e si posano vibranti.
Quando le senti che girano intorno
è perché sei tu il prescelto,
decidono loro.
Cominciano a parlarti sopra;
loro, l’odore dello sterco,
l’hanno già trovato.
Se qualcuno ne attira più di te
non farti vanto: il tuo feticcio
necessita contaminazione,
dedizione!
E se provi a cambiar pelle
o a purgarti
per depistarne l’odore
sappi che quella sarà l’ora
di concederti in pasto ai vermi.

*

Smetti di correre
di avere il fiato corto
di tendere alla deriva:
sei già alla meta.
Smetti di allungarti
in disperate acrobazie
di tendere le fibre
verso il mare aperto
di declamare forza bruta
se tutto ciò deve portare
solo a misurare la larghezza
del nodo che porti al collo.
Posa la catena,
cadrà esattamente
sui tuoi piedi.

.

Francesco Cagnetta è nato nel 1982 a Terlizzi (Ba), dove tutt’ora vive. Laureato in legge presso l’Università di Bari e prossimo all’abilitazione forense, ha frequentato corsi di fotografia sociale presso il Centro Sperimentale di Fotografia di Roma e di scrittura creativa, curati da Michelangelo Zizzi. Le sue letture poetiche prediligono autori che si rifanno al legame col territorio e, spesso, spazi ben circoscritti: Ungaretti, Scotellaro, Toma, Bodini, Dickinson, Magrelli, Caproni e Montale.
Alcune sue poesie sono state pubblicate nei quaderni de “La presenza di Erato”.


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