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Stelvio Di Spigno
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Quadranti
Quanti fascicoli di luce, quanti sguardi innevati,
e mattine il cui carico è dolore dovrà attraversare
questo corpo corale di tutte
le gioie distrutte, i disamori, le cadute,
prima che il tempo di ognuno anche per me
si esaurisca, sulla soglia di casa, o rinculando
con montagne di parole nella mente, guardando
solo il cielo, facile da vedere qui da Anzio,
quando, per non odiare gli uomini, storci il collo,
distrai gli occhi, punti a caso dentro una stradetta
senza uscita,
e i lavori in corso sono la sola certezza
che tutto si riabitua e si riabita,
ma non saremo noi a goderla, la felicità promessa.
*
Napoli rivisitata
Forse hai capito quale festa ti dà gioia,
se Ognissanti o Natale, mentre previeni
il vento ottuso del porto, con tutti
quei presepi di barche e budelli,
e fuori c’è l’aria secca dei palazzi, e sembra che il Vesuvio
bruci elettricità nell’atmosfera: un giorno
andammo con mio nonno a leggere le pietre
nella grande vasca della stazione,
e su di loro c’era un volto napoletano.
Città di fame immonda e solo da guardare: oggi
lavoro lontano, non posso vederti invecchiare,
hai un saluto per tutti nelle asole bollenti,
e passi in umiltà senza domandare
che i tuoi arrivi siano scaltri la sera, che si disfi
quella mole di infamia che ti fa nera, che una mano
infili nel fitto dei tuoi vicoli una riserva umana
di latte impiantato tra colli e caserme.
Ogni volta che hai pianto ti ho visto
perdere a dadi ogni verginità, e come
se fossi una madonna abbandonata
in una delle mille edicole di quartiere,
ho cercato la tua essenza da amare
dentro un barattolo di complimenti a ore,
sapresti regalarmi ancora un po’ di castità
fermarti dove si passa dal diluvio alla sciagura,
essere in tempo per salvare ancora te
dalla tua storia e insieme prendermi e farmi
ancora tuo, come quando ero
uno dei tuoi fantasmi arroventati.
*
Diario, 2.1.2004
Andrea è in Francia e io me ne sto qui,
cercando di guarire ma peggioro –
È tremendo
come può avvoltolarsi
la vita intera a un gambo di ortica,
succhiarne tutto il succo,
bollire sulle labbra, morire di bruciore,
credendolo piacere.
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Carla Saracino
*
Non parlare, vita d’una volta.
Ogni scrittura sul foglio
della fatica di ricordare
è dilapidazione, preparazione
alla morte.
Sii dentro, sta’ reclusa.
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A poche cose dedichiamo un nome.
Nella vita, come nella menzogna,
i nomi coincidono col cuore.
E a nulla vale crederli.
Loro sanno cosa non dire.
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Cercare il cuore del secolo nelle case
abbandonate del materano, un pomeriggio,
mentre l’erba stipa sotto terra l’annuncio
del tempo che non vedrai.
Essere nella fiamma del camino d’un albergo
senza bellezza
e fumare il gelo sulle labbra alla fastidiosa cerimonia
della cena.
Essere in tanti dentro se stessi, una volta sola negli altri.
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Alla tua vita imploro una cosa:
restare nascosta dove io passo.
Alla tua vita non chiedo altro che
il colmo di un vile significato.
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Stefano Di Spigno, Carla Saracino, Qualcosa di inabitato, EDB Edizioni, Milano, 2013.
5 risposte a “Qualcosa di inabitato (Stelvio Di Spigno, Carla Saracino)”
Dimenticare d’esistere,esistendo. Poesia che ..”io restituirò.,pagherò, espierò!…Bavi! Bavi!
Avete messo questo blog su un “piedistallo”! …Poeta si nasce, e voi nasceste!
(io lavorerò, lo comprerò, lo leggerò!)
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Due pronuncie “veraci” , molto comunicative , affatto “costruite” e quindi godibili anche per i non addetti ai lavori . Una modalità che si vorrebbe ben più presente nella poesia di questi anni .
Grazie !
leopoldo attolico –
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almeno c’è del sentimento…
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il prezioso scandaglio, che Stelvio è capace di realizzare, trasforma il lettore in ascoltatore di quei ritmi suggestivi , che raramente la poesia di oggi riesce a realizzare. Qui la sintesi è legata al significato, nella salvezza delle metafore e nella luminosità delle inquietudini. Il fascino della città blocca le immagini per impreziosire ogni dire. Antonio Spagnuolo
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[…] [Qui alcuni testi tratti dal libro] […]
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