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Una frase lunga un libro #32: Merrit Tierce, Carne viva

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Una frase lunga un libro #32: Merrit Tierce, Carne viva, Sur, 2015. Trad. di Martina Testa. € 16,50 ebook € 9,99

Nel cuore della notte vieni a infilarti nel mio letto. Mi metti un braccino sul petto e dici che hai paura che io muoia mentre dormo. Dico Non hai paura che muoia mentre sono sveglia? Quando sei sveglia ti posso tenere d’occhio, rispondi. No, non ha senso, dico io. Vuol dire che quando tu sei sveglia puoi tenermi d’occhio. No, mi spieghi, quando io dormo e tu sei sveglia sogno quello che stai facendo. Ma quando dormi non lo so mai.”

Il brano scelto per la rubrica sta nella seconda parte di Carne viva, il fortunato romanzo d’esordio di Merrit Tierce, premiata dalla National Book Foundation come uno dei cinque migliori scrittori americani sotto i trentacinque anni. Scelto perché Mary, protagonista e voce narrante, parla a sua figlia, ma le parla come se le stesse scrivendo e come scrive a lei così scrive a noi. È un brano molto tenero, uno dei pochi in un libro doloroso e duro. Scelto perché è uno di quei brani di scarto con la narrazione principale del romanzo che avviene quasi totalmente nella parte di vita di Mary in cui sua figlia (che vive col padre) non c’è. Scelto perché questo brano giustifica e, in un certo modo, salva il resto della storia e della vita di Mary, vediamo perché.

Siamo in Texas, Mary lavora come cameriera, prima in piccoli bistrot e successivamente nlla ristorazione di lusso, a Dallas. Il ristorante in cui lavora è un posto da cene carissime e da mance (sappiamo che per i camerieri negli Usa le mance sono tutto) con percentuali da brivido. Mary ha circa vent’anni ed è molto brava nel suo mestiere, brava soltanto in quello, lei crede, ed è quello che Tierce ci racconterà. Mary si butta via, fa sesso casuale, con chiunque, dovunque. Assume droghe prima e dopo i turni di lavoro. Non trova il piacere e nemmeno lo cerca, non si abbandona. Mary cerca – invece – il proprio dolore, lo genera, se lo autoinfligge. Lo trova, lo riconosce e in quel dolore si riconosce. Sa che la sua solitudine, il suo rimanere lontana dalla figlia, dal marito (un bravo ragazzo), sono scelte che rivendica – sbagliate o meno. Non è la vita che non fa sconti a Mary, è lei che non ne vuole. Tierce usa un linguaggio forte, diretto, impone anche al lettore una scelta, proponendogli una narrazione delle cose come stanno, raccontate per quello che sono, non c’è filtro. Il dolore è cupo e insopportabile, fisico. La dolcezza, quando arriva, proprio perché a quella sofferenza è connessa, commuove. Mary pare trovare la quiete, una sorta di pace nel dolore, il che è terribile, eppure è questo che accade.

Nel romanzo troviamo il sesso, troviamo il linguaggio cruento e allo stesso tempo divertente, quello diretto e sboccato che molti di noi hanno amato in romanzi e racconti di scrittori americani dei primi anni novanta. Rideremo, poi, in alcune scene comiche, Tierce mostra un quadro singolare del mondo della ristorazione. Alcuni personaggi sono degni di una storia di Joe R. Lansdale.

Merrit Tierce ci racconta una storia dove la solitudine e il senso di inadeguatezza comandano, perché in fondo Mary sceglie per non pensare, per non pensare alla sua paura e certezza di non farcela. Il terrore di non essere all’altezza in lei è atavico e si amplifica dal momento della gravidanza, fino all’inevitabile esplosione.  Prima di cominciare a leggere il libro ne parlai con Sabina della Libreria Marco Polo di Venezia, le dissi che avrei voluto scrivere di quel “Carne rossa”, che fu un lapsus, ma non lo fu del tutto, il rosso è il colore di questo libro, dalla cover (dei sempre impeccabili Falcinelli&Co.) alle parole più difficili, quelle che stordiscono per parafrasare il New Yorker. Mi domando che storia personale abbia Merrit Tierce, ma me lo chiedo per poco, mi soffermo molto di più sul talento, sulla capacità di tenere l’equilibrio, di saper costruire frasi e pagine che reggono dall’inizio alla fine, in bilico tra sfascio e normalità, entrambi presenti in ogni giornata della vita di Mary. Se ami qualcosa stanne lontano.

Ma non era questione di piacere: era che alcuni tipi di dolore sono il perfetto antidoto per altri. Perciò quando mi davano il numero ed erano vecchi e li avevo visti con delle mignotte, dicevo di sì.

© Gianni Montieri  su Twitter @giannimontieri

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