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Consigli di scrittura

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In merito allo scrivere, allo scrivere poesia in particolare, Auden ebbe modo di esporre alcune verità indiscutibili, valide allora come ora.[1] Tra queste ne spicca una, semplice solo in apparenza, e riassumibile nel fatto che ciascun individuo, ai suoi occhi, appartenga a una classe composta di un solo membro. L’unicità, esemplificata così bene, sembrerebbe appunto una questione scontata. In realtà, si tratta dell’apertura di uno spazio complesso, d’immensa e anche preoccupante libertà. Intanto sarebbe la fonte per cui l’immagine che ogni autentico poeta ha del mondo è unica e irripetibile. Poi, da qui deriva che ogni “visione”, in poesia (il che, coinvolgendo la forma, riguarda essenzialmente lo stile, più che i contenuti), è visione del mondo. Detto questo, certo non mancano i “compiti”: caso mai dovesse esistere un giorno, da qualche parte del globo, una vera e propria università per poeti, tra i diversi punti a suo avviso essenziali, Auden indica la necessità da una parte di imparare a memoria migliaia di versi, dall’altra di possedere oltre alla conoscenza di una lingua straniera, anche quella del greco o dell’ebraico.[2]
Agli occhi di Čechov, invece, il soggettivismo era (ed è) da ritenersi una cosa tremenda.[3] Ciononostante, a Auden lo unisce proprio la convinzione dell’unicità della fonte. Tutto ciò che è unico non può generare finzione. L’arte deve anzi esclusivamente produrre una seria testimonianza delle nostre vite, e per questo non tollera la menzogna.
All’autore soltanto e alla sua coscienza, inoltre, appartiene la sfera del giudizio.[4] Ed è senz’altro il compito più difficile, capire se stessi e giudicare il proprio lavoro.
Tra i consigli di scrittura più validi da estrarre dalla miniera di Čechov, c’è quello di cercare la brevità, “il posto”, potremmo dire, dove la poesia si trova meglio. Sorella del talento, la brevità ci permette di entrare, e dalla porta principale, nel cuore dei nostri tempi. La contemporaneità pare indicarcela come strada preferibile, addirittura necessaria.
E un altro consiglio, che a questo si ricollega, va sottolineato: quello di non descrivere a chiare lettere uno stato d’animo, ma fare in modo che emerga dalle azioni. E se in poesia l’azione è certamente più difficile da porre in essere, e quindi da rilevare, è nella sintesi dei brevi tratti con cui possiamo dipingerla (ecco, ancora una volta, la brevità) che riscontriamo la via privilegiata per fare emergere il segreto della poesia. Un atteggiamento “freddo”, dunque, consentirebbe di non cedere il passo al sentimentalismo. Il dolore, del resto, se ad esempio di questo si parla, non si mostra mai, e mai va esibito, ma trasudato, respirato, portato nel verso. È in questa “tenuta”, probabilmente, che il soggettivismo viene meno in favore, si spera, di un’autentica ispirazione.
Da Čechov a Sereni. Come già indicato da Mengaldo,[5] è possibile mettere in stretta relazione alcuni luoghi cechoviani, che hanno l’andarsene come tema, con l’apertura e con il finale de La spiaggia, laddove si evidenzia la tendenza sereniana al “rasoterra”, cioè a “tenere bassa” la parola.
Se poi rovistiamo in Un posto di vacanza, aggiungiamo di Sereni un passaggio mirabile:

[…]

Pensavo, niente di peggio di una cosa
scritta che abbia lo scrivente per eroe, dico lo scrivente come tale,
e i fatti suoi le cose sue di scrivente come azione.
Non c’è indizio più chiaro di prossima vergogna:
uno osservante sé mentre scrive
e poi scrivente di questo suo osservarsi.
[…]

Ora, volendo allargare di questi versi il riverbero perché si faccia ancor più luce sul profilo del poeta, mi servo della riflessione di un amico di redazione, Francesco Filia. Ecco le sue parole, che sento di condividere profondamente:

«C’è gente che veramente crede che si possa essere Poeti, che scrivere testi poetici dia la possibilità di accedere a un ruolo sociale, a una forma quasi sacerdotale e a relative pose estetico-narcisistiche. Il poeta, se mai questo ruolo possa avere un senso, è funzionario della parola, come il filosofo lo è del pensiero, che a differenza di altri cerca di obbedirle in maniera non ovvia. La scrittura poetica è una forma specifica di produzione (basti pensare all’etimologia), e uno si può dire poeta se non come altre persone possono dirsi falegnami, muratori, operai. Tutto qui. E poi nel frattempo bisogna vivere nel mondo (che non significa assolutamente “impegnarsi”, altra trappola narcisistica per chi non ha niente da dire) o almeno cercare di farlo, o bisogna averlo fatto, altrimenti niente scrittura che abbia un senso, che possa tentare di dire qualcosa.»[6]

La scrittura poggia sull’esperienza, l’uomo ne scrive con mano tremante, in compagnia della propria ombra. Con un dubbio sempre vigile, sul vissuto e sul pensato, è cosciente esattamente di questo, che la scrittura è tale solo se equivale all’ombra, che sia propria, unica, irripetibile. Ed è tutto quanto Sereni, fra altri, ha lasciato come insegnamento a un «girotondo di prigionieri (dicono) sulla parola».[7]
E vale per l’uomo, e per il poeta.

© Cristiano Poletti


[1]
W. H. Auden, La mano del tintore, traduzione di G. Fiori, Adelphi 1999. L’opera risale tuttavia al 1961.
[2] Questi sì, eppure non vanno sottovalutati altri punti: saper cucinare; aver cura di un animale domestico e di un minimo di giardino; studiare una scienza naturale e una scienza pura.
[3] Senza trama e senza finale, a cura di Pietro Brunello, traduzioni di G. Ventura e C. Coїsson, Minimum fax 2002.
[4] Viene spontaneo un collegamento a Rilke. In una delle Lettere a un giovane poeta (17 febbraio 1903) scrive: «…Guardi dentro di sé. (…) si domandi, nell’ora più quieta della sua notte: devo scrivere? (…) volevo solo consigliarla di seguire silenzioso e serio il suo sviluppo; non lo può turbare più violentemente che guardando all’esterno, e dall’esterno aspettando risposta a domande cui solo il sentimento suo più intimo, nella sua ora più quieta, può forse rispondere». R. M. Rilke, Lettere a un giovane poeta, a cura di M. Bisolfi, Mondadori 1994.
[5] P. V. Mengaldo, Da Čechov a Sereni, in Strumenti critici (a. XXVI, n. 2, maggio 2011).
[6] Ringrazio Francesco Filia per queste parole e per avermene concessa la pubblicazione.
[7] V. Sereni, Pantomima terrestre, in Stella variabile, 1981.

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