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“Quello che scrivo è la trasposizione della mia vita immaginaria”: intervista a Mircea Cărtărescu  (a cura di Elena Cirioni)

“…amo la letteratura, continuo ad amarla, è il vizio cui non posso sfuggire e che mi distruggerà”. Solenoide, pag. 49.

Questa dichiarazione d’amore per la letteratura si trova all’inizio di quello che viene considerato il capolavoro di Mircea Cărtărescu, Solenoide. Un’opera labirintica e monumentale che ingloba i precedenti romanzi dello scrittore romeno, andando a costruire insieme alla trilogia Abbacinante un maestoso monumento della letteratura postmoderna.
Durante l’ultima edizione del Flip – Festival della Letteratura indipendente di Pomigliano d’Arco ho avuto l’occasione di intervistare Mircea Cărtărescu, con il professor Bruno Mazzoni traduttore di tutti i suoi romanzi.


 

 

Da dove nasce il suo immaginario?

Il mio immaginario è sempre stato presente in me. È qualcosa che appartiene alla mia vita interiore. Ho sempre sognato molto e ho l’abitudine di scrivere i miei sogni e di annotarli in un diario che tra poco compirà cinquanta anni. Questo è un dono che ho ereditato da mia madre, ricordo che quando ero piccolo, ogni mattina mentre facevamo colazione lei raccontava il sogno che aveva fatto. Era una donna semplice che veniva dalla campagna però i sogni che riusciva a raccontare dimostravano una capacità immaginifica fuori dal comune. Sono rimasto affascinato da questa mia componente visionaria e posso dire che quello che scrivo è la trasposizione della mia vita immaginaria. Da quando ho iniziato a scrivere, dalla mia adolescenza, ho avuto la forza di raccontare con il potere dell’immaginazione; un po’ come un baco che ha dentro di sé la forza di farsi circondare da un filo di seta che poi in realtà lo costruisce.

La struttura narrativa delle sue opere è composta da piani fantastici e realistici. Come si compensano questi due livelli?

Questi due livelli ci sono, ma io sono convinto che per essere un bravo scrittore realista bisogna essere contemporaneamente, o forse prima un notevole scrittore immaginifico. Quanto più hai la capacità di raffigurare le varie facce, i vari volti della realtà, tanto più sarai bravo nel rappresentare anche tutte le diverse facce dell’immaginario. Nei miei romanzi parto sempre da un piano realistico, se pensiamo per esempio a Solenoide è la descrizione della scuola con gli insegnanti, la base da cui far crescere la sostanza più immaginaria. A mano a mano in questa base realistica si infiltra la materia immaginifica, onirica, metafisica.

 

 

A proposito dei personaggi descritti in Solenoide. Mi ha particolarmente colpito Eftene, il tecnico del laboratorio che viene accusato ingiustamente di un furto. All’interno del quadro dei personaggi rappresenta gli umili, i dimenticati, i discriminati…

Le sono molto grato per aver colto questo aspetto, perché in realtà Solenoide non è soltanto un libro che ambisce a essere esteticamente un romanzo di valore, ma l’ho scritto con lo scopo di dare voce a tutta una parte di umanità non favorita nella nostra società contemporanea. Eftene appartiene alla comunità Rom, ancora oggi purtroppo vengono discriminati. Eftene si auto accusa di un furto che non ha commesso, ma in realtà questo serve alla narrazione per poter smantellare tutta la cattiva reputazione che la comunità Rom ha all’interno della società romena. Ci sono tante altre situazioni in cui provo a rappresentare la mia compassione per tutte le persone che sono sfavorite sul piano dell’accettazione sociale, per questo credo che Solenoide possa essere definito un romanzo con una visione umanistica verso la società.

Maria e Irina due personaggi femminili particolarmente importanti nella sua opera. L’universo femminile che descrive cosa rappresenta?

Per uno scrittore è difficile rappresentare dei personaggi che sono all’opposto di come è lo scrittore. Ad esempio, per uno scrittore molto giovane non è per niente facile descrivere personaggi molto anziani, per una scrittrice è difficile creare figure maschili e naturalmente il contrario. Ho sempre avuto una grande facilità nel descrivere le figure femminili e questo mi ha dato una grande gioia. Gli artisti sono androgini, tutti noi lo siamo, in misura maggiore o minore in ognuno di noi c’è una parte maschile e una femminile. Ho affrontato questo tema in un mio romanzo di tanti anni fa, Travestì, dove il tema centrale è la fluidità sessuale nell’adolescenza.

Nell’ultimo volume di Abbacinante, L’ala destra viene raccontata la storia contemporanea della Romania, da dove nasce l’impulso di scrivere di questo particolare momento storico?

L’Ala destra è il terzo tomo della trilogia di Abbacinante che ho dedicato a mio padre.
Ho fatto una sorta di radiografia del passato recente della Romania che è il mio, ma è anche quello della storia del paese degli ultimi cinquanta anni. Mio padre è stato un comunista sinceramente fiducioso, ha creduto negli ideali del comunismo. A mano a mano che gli anni passavano ha acquisito una delusione crescente, non dimenticherò mai il momento in cui ha dato fuoco alla Tessera del Partito. Erano i giorni della rivoluzione del dicembre del 1989, mi ha chiamato in cucina e mi ha detto: “Sappi che tu hai avuto ragione, non io”. Si è avvicinato al lavello della cucina, ha preso la Tessera del Partito e l’ha bruciata. Mentre lo faceva piangeva, era come se stesse dando fuoco alla sua intera esistenza. Sono partito da questa immagine tragica per provare a capire che cosa è successo agli individui a livello personale all’interno della dittatura di Ceaușescu. Ho provato a scrivere una sorta di satira alla maniera di Jonathan Swift su cosa è accaduto negli anni del comunismo romeno.

Oggi com’è la Romania?

È una domanda molto difficile che mi viene posta spesso. La Romania è rinata dopo essere stata annessa nell’Unione Europea e nella Nato. Da un punto di vista economico i progressi sono evidenti, ma dal punto di vista della politica interna purtroppo assistiamo ad una catastrofe. Il governo è corrotto, incapace di risolvere i problemi reali e l’estremismo sta conoscendo un incremento piuttosto terrificante. C’è un movimento nazionalista forte, simile al neofascismo, che purtroppo sta avendo molto successo.

Può parlarci dell’ultimo libro, Theodoros?

Dopo Solenoide ho pubblicato un altro libro, Melancolia, credo che sia stato il libro meglio scritto fin ora e senza dubbio il più poetico. Dopo aver finito Melancolia ho iniziato un progetto molto più ambizioso a cui pensavo già da quarant’anni solo che non avevo mai il tempo. Theodoros è un romanzo storico, ma ha una dimensione postmoderna. La storia parte da un personaggio vero, un servo del sud della Romania, della Valacchia che da giovane ha avuto il sogno di diventare Imperatore e dopo molti avvenimenti riesce a diventare Imperatore di Etiopia. È una storia che si svolge su due emisferi per un arco di tempo di tremila anni. Mi piacerebbe che questo libro fosse letto, fosse interpretato, come un nuovo Cent’anni di Solitudine.

A cura di Elena Cirioni


Mircea Cărtărescu  è nato a Bucarest, nel 1956, oggi è considerato il maggiore romanziere di lingua romena e tra i più importanti in Europa. Ha vinto molti premi, tra cui l’Internationaler Literaturpreis a Berlino (2012), lo Spycher in Svizzera (2013), il premio di Stato per la Letteratura europea conferito dalla Repubblica austriaca (2015) e il Prix Formentor (2018). È stato inoltre più volte segnalato per il premio Nobel. Tra le sue opere, uscite in Italia per Voland, ricordiamo Travesti (2000), Nostalgia (2003), la trilogia AbbacinanteL’ala sinistra (2008), Il corpo (2015), L’ala destra (2016) – e Il Levante (2019). Solenoide è considerato il suo capolavoro.

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