Che cos’è l’ossessione? Una fissazione, una mania spesso irrazionale. Un pensiero che non permette nessuna via d’uscita. Un assedio, come suggerisce l’etimologia latina della parola.
In nome di un’ossessione sono state compiute imprese, scritti romanzi indimenticabili ed è stato cambiato il corso della storia.
Baudelaire, il poeta svisceratore dell’animo umano ha dedicato all’ossessione una delle sue poesie più laceranti, Obsession, dove nel primo verso descrive l’attrazione e lo sgomento per i boschi fitti capaci di terrorizzare e ammaliare come le cattedrali.
L’ultimo libro di Orso Tosco – Nanga Parbat, L’ossessione e la montagna nuda – è il racconto di storie che diventano imprese custodite in una cattedrale fatta di pietra e ghiaccio: il Nanga Parbat. Ascesi, impresa al di là di ogni possibilità umana, altruismo, violenza, morte e vittoria. I ghiacci millenari nel Nanga conservano storie epiche.
L’autore raccoglie le vite di: «chi decide che la parte più importante, la parte più veritiera della propria esistenza deve svolgersi lassù, nel regno dell’intensità assoluta».
Ne scrive con il tono dei narratori d’avventura, con la precisione saggistica e una vena poetica che rende questo libro, edito da 66thand2nd, un esempio ben riuscito di commistioni di generi.
Affianco alla narrazione delle imprese straordinarie di uomini e donne ammaliati e ossessionati dalla “Montagna nuda” l’autore paragona la vita, lo stile di altri uomini e donne che hanno abbracciato un’ossessione: gli artisti. Un lavoro particolare che intriga e incuriosisce il lettore.
Citazioni, versi di poesie, note su vari stili artistici avvicinate all’alpinismo estremo, perché in fin dei conti anche le opere d’arte nascono con la volontà di superare dei limiti e un alpinista che si appresta a scalare l’immensa parete Rupal del Nanga Parbat è un’artista o per lo meno ne rappresenta l’essenza.
C’è un’altra cosa che lega artisti e alpinisti, la mancanza di un’utilità lampante. Perché si dipinge un quadro? Perché si scrive un libro? Perché si vuole scalare il Nanga Parbat? Gli alpinisti estremi adulatori del pericolo sono come gli artisti; conquistatori dell’inutile (dal titolo dell’autobiografia di un grande alpinista, Lionel Terray, una delle tante citazioni letterarie riportate da Orso Tosco.) Stiamo parlando dell’arte pura e di alpinisti puri spinti nient’altro che dalla necessità di realizzare il proprio sogno impossibile.
L’ossessione può essere capace di elevare lo spirito umano, ma anche di divorarlo, soprattutto se si tratta di sfidare il Nanga Parbat, in sanscrito, la Montagna degli Dei, per definizione un luogo dove all’uomo non è consentito l’accesso.
Orso Tosco racconta anche gli effetti negativi generati dal desiderio di raggiungere la vetta; le spedizioni fatte esclusivamente per accreditarsi un titolo che costarono la vita a molte persone, i tradimenti e le mosse scorrette. La luce abbacinante della Montagna Nuda stuzzicò lo spirito dell’esoterismo posticcio nazista, fino a trasformarla nella montagna di una nazione o per meglio dire di una razza, quella ariana.
L’amore ossessivo distrugge, la voglia di entrare a far parte della leggenda condiziona le vite e spesso porta alla morte. Lunga è la lista di chi è rimasto nei ghiacci del Nanga, macabro memento mori per chi osa, anche solo con il pensiero, seguire la strada verso il cielo.

La “Mangiatrice di uomini” è crudele e indifferente al destino dei terrestri che osano avvicinarsi, rimane immobile con lo scorrere del tempo, non segue i giochi di potere umani e accoglie pochi eletti. Persone speciali che hanno vinto la sfida con l’impossibile e che sono entrate nella leggenda.
«Bisogna avere una mente d’inverno, ecco, e bisogna avere freddo da molto tempo, dal tempo che più di tutti conta, quello dell’infanzia, per non pensare alla pena racchiusa nel suono del vento, e per non avvertire il nulla che ci circonda senza sosta, come un cacciatore incurante e instancabile». Questa mente d’inverno è la qualità primaria che è servita a Hermann Buhl per
diventare il primo uomo ad arrivare in cima al Nanga ed entrare nella leggenda.
Orso Tosco paragona la sua carriera di alpinista a quella dei primi street artist nordamericani. Un paragone tanto assurdo da essere perfetto. Esattamente come Basquiat o Keith Haring, Buhl ha iniziato dal nulla con il nulla: scarponi e funi per stendere i panni: «Si tratta in entrambi i casi, di trasformare una mancanza economica in una ricchezza espressiva». Così il motto punk do it yourself diventa lo stile folle e creativo di altri alpinisti, come Tomasx Mackiewicz (Tomek) che passa dall’eroina alla dipendenza degli ottomila e decide di scalare il Nanga solo perché è l’unica montagna accessibile senza tanti costi. Follie, mosse geniali, danze con la morte, degni dei più grandi artisti della beat generation.
La morte sembra essere la protagonista di quasi tutte le storie del Nanga Parbat, ma Orso Tosco ci tiene a specificare che l’alpinista estremo ci tiene alla sua vita, i suoi non sono gesti suicidi, azzardi nichilisti, i pericoli che corre sono un atto d’amore verso la sua ossessione: la montagna, con la sua bellezza inimmaginabile e le sue ombre. Tante ombre, tanti fantasmi e allucinazioni attraversano i suoi ghiacci, leggende che accompagnano le montagne da sempre e che di fronte all’inaccessibilità diventano verità. Come Feri, la creatura con cui Tomek diceva di parlare durante le scalate o il fantasma di Günther, il fratello di Reinhold Messner, disperso durante la storica spedizione del 1970.
La dote di Orso Tosco è quella di raccontare queste vicende senza scadere nel chiacchiericcio che spesso ha animato molto dibattiti sulle storie dell’alpinismo estremo, esperienze legate alla sopravvivenza e spesso caratterizzate da situazioni inimmaginabili per chi non si trova a dover fare imprese simili, capaci di far tornare l’uomo a uno stato primordiale, dove ogni passo, ogni gesto è eseguito per sopravvivere. Queste sono storie di: «di donne e uomini decisi a leggere il manuale dell’infinità, spesso da soli. Uomini e donne che hanno oltrepassato il giardino incolto delle grandezze e si sono spinti oltre».
A noi comuni mortali non resta che scrutarle dal basso, allungare il collo verso la vetta del Nanga Parbat o leggere le loro avventure in un libro come questo.
Di Elena Cirioni