Alessandra Carnaroli: “Quest’idea di poesia che raschia, tipo intervento dopo aborto” (Intervista a cura di G. Bocchio)

50 tentati suicidi più 50 oggetti contundenti (Einaudi), di Alessandra Carnaroli, è un libro feroce, sadico, composto da una poesia splatter originale e spietata, poiché sincera e senza orpelli.
Il lirismo è annegato nella bile (e nel detersivo per piatti).
La quotidianità è raccontata con un piglio macabro, geniale ed elettrico, ma uccidersi o uccidere non è detto che richieda isteria o follia, piuttosto una dimestichezza disinteressata con la lucidità, che è il bisturi più affilato.
Ironia grottesca da dedicare a un quotidiano che ci riguarda tutti.


Alessandra ben trovata, con la potenza dei tuoi versi il macabro ha un’estetica nuova: il quotidiano…

Mettere in versi il quotidiano, ciò che ci circonda, ci passa il sale, è sempre stata una necessità, un esercizio di salvezza, come correre mezz’ora al giorno, bere tanta acqua, dormire di notte. Questo sollevare i tappeti, aprire vasi e armadi è un tentativo per rendere visibili gli scheletri che portiamo dentro e intorno, l’ombra scura che proiettiamo sul mondo. È una ricerca costante, un andare incontro e insieme allontanarsi dall’abisso che ha la stessa tinta della carta che nonna metteva sulle mensole della credenza. Una danza tra le bomboniere di battesimi e sposalizi, omicidi, suicidi, traumi estremi e lutti. Ci siamo dentro tuttə basta spostare un poco la tenda. Riuscire a raccontarlo può dare inizio alla lotta per la salvezza, tipo squadra scarsa di calcetto.

La morte è piena di variazioni sul tema: eppure inventare una fine sempre nuova evoca una necessità che ha a che fare con gli inizi…

Il libro che nella prima parte è un vero e proprio manuale di istruzioni, nella bozza era corredato da semplici disegnini a penna, schizzi per spiegare le diverse tecniche, come foglietto Ikea per montare armadietto, rompersi l’osso del collo.
L’inizio, per tutte le poesie della sezione, è un letto bianco in un afoso pomeriggio di luglio quando il caldo schiaccia lo sterno e fai tutt’uno con il coprimaterasso. Quando non “ganga” una foglia, tutto è fermo e s’appiattisce sotto un ferro rovente come preda tra i cespugli, pensare al suicidio diventa l’unica cosa umana che resta.

50 tentati suicidi: ogni modalità per darsi il colpo finale racconta in maniera cruda il ventaglio di oggetti banali che spesso ci circondano…

In una ricerca che usa la parola come lama ogni cosa prende una forma nuova o meglio si palesa, racconta la verità del suo essere forchetta o torcia, bambolina di ceramica e stoffa, telecomando, nintendo. Racconta la vita che assorbe, le grida i tonfi, diventa arma del delitto perfetta, ancora mai usata, come nuova. Il mestolo, lo zoccoletto non hanno solo a pronunciarle una loro forza? Anche senza mano che le afferra, senza corpo che rimbalza per i colpi, senza schizzi? Ogni cosa, forse, è dannata ma ci frega sempre questa cosa della luce.

50 oggetti contundenti: i versi evocano immagini che potrebbero anche essere una striscia infinita di vignette splatter… Leggere è come essere testimoni di quell’omicidio.

Oppure prenderne parte e insieme le distanze ed è tutta qui la catarsi. Questo libro non è un tentativo di denuncia sociale ma è girare intorno alla piaga, osservare come si può cadere, finire l’altro e sfinire in quell’abisso che è la pagina bianca e insieme giubbotto per restare a galla, fare il morto, tornare a riva dove aspetta mamma. *La madre della riviera, archetipo adriatico che ci guarda con le mani sui fianchi, in qualche lido o Bagni Franco dell’inconscio.*

Il tuo libro dà il braccio al grottesco ma anche a un realismo sanguinosissimo, la tua è una penna che scarnifica la pancia della pagina e non solo….

L’idea di una parola che scarnifica come dente intorno l’unghia, che trova sangue e acqua in una buca nella spiaggia mentre scavi con la paletta di plastica e solo il pezzo sotto del costume con il granchio. La poesia come cosa nuda, cosa cruda che si mostra per gli ossi che restano, che ritornano in bocca a un cane. Quest’idea di poesia che raschia, tipo intervento dopo aborto, toglie ciò che è morto insieme a ciò che può ancora dare vita, mettere al mondo. Questa poesia che partorisce gusci, un grande utero sgombro è un po’ la mia ossessione: dire le cose per quello che restano dopo averle pulite bene, pelate, mi sembrano più vere, più somiglianti a quello che non si vuole vedere.

Alessandra Carnaroli

A cura di Giulia Bocchio


Alessandra Carnaroli è nata a Piagge, nelle Marche, nel 1979. Ha pubblicato alcune raccolte di poesia di taglio neo-sperimentale presso piccoli editori, con prefazioni, tra gli altri, di Aldo Nove, Tommaso Ottonieri, Andrea Cortellessa, Helena Janaczek. Tra i titoli piú significativi: Femminimondo, sui femminicidi (2011), Primine, sui traumi infantili (2017), Sespersa, sull’esperienza della gravidanza (2018), In caso di smarrimento / riportare a:, sull’Alzheimer (2019). Per Einaudi ha pubblicato 50 tentati suicidi più 50 oggetti contundenti (2021).

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