Joyce, il poeta plasmatore e quella raccolta mai davvero apprezzata dalla critica: tradurre “Musica da camera”

La poetica di James Joyce non è racchiusa solo fra le pagine dei suoi testi più celebri e noti, come l’Ulisse, Gente di Dublino o Ritratto dell’artista da giovane. Ne è una chiara dimostrazione una raccolta ancora oggi poco conosciuta e citata: Chamber musicMusica da camera. Poesie giovanili la cui musicalità diverrà tocco illuminato per le stesure dei capolavori successivi.

Oggi questa raccolta è stata tradotta da Andrea Carloni per Castelvecchi: James Joyce, Musica da camera (con postfazione di Enrico Terrinoni).

Di seguito proponiamo un estratto della prefazione, scritta dallo stesso Carloni, e alcune poesie scelte.

Pubblicata quando James Joyce aveva venticinque anni, la raccolta di poesie Musica da camera (Chamber music) non ricevette entusiasmi di pubblico e critica allora, come non li riceve oggi. Se si parla di Joyce si parla anzitutto – sacrosantamente – di Ulisse e Finnegans Wake; a seguire Gente di Dublino e infine Ritratto dell’artista da giovane. E solo dopo, vagamente, ci si ricorda della sua produzione poetica, drammaturgica, saggistica (senza contare quella privata ed epistolare), che tradizionalmente ci rappresentiamo come una sorta di laboratorio, una produzione minore dove il letterato affinava i suoi strumenti, in attesa dell’esperienza, della conoscenza, dell’ispirazione definitiva. Le poesie non convincevano nemmeno il confidente fratello Stanislaus, che le trovava acerbe, e il titolo Musica da camera, che lui stesso avrebbe suggerito, non convinceva James, che lo trovava troppo compiacente. Quasi aveva deciso di non procedere alla loro pubblicazione, considerando le sue poesie non tanto più che un cominciamento espressivo, un insieme di versi «carini» («pretty»), degni tuttavia di essere musicati.
Le definiva «canzoni» nella sua lettera al compositore Molyneux Palmer, cui illustrava come la struttura della silloge seguisse musicalmente l’evoluzione di una storia d’amore, quasi fosse un ciclo di Lieder; le canzoni I e II rappresentavano il preludio, dalla III alla XXIV l’ascesa
del sentimento amoroso, dalla XXV alla XXXIV il suo declino, fino alla XXXV e la XXXVI, ovvero la coda della composizione.
La critica rimase più o meno equanime nell’approvare da un lato il ritmo, la formalità, la musicalità delle liriche, e nel rilevarne la fiacchezza contenutistica e intellettuale dall’altro.
(…) Credo sia indispensabile finalmente tradurre Musica da camera in rima e, ove possibile, in una struttura metrica, restituendo a noi il ritmo, la melodia, anche a costo di accomodare – gentilmente e solo se necessario – una disposizione delle parole. Così come credo sia indispensabile leggerlo ad alta voce, o cantarlo, se non addirittura musicarlo, come avrebbe appunto voluto il suo autore, che cantante, sappiamo bene, lo era.

Andrea Carloni


James Joyce, Musica da camera, Castelvecchi, 2022, (trad. di Andrea Carloni, postfazione a cura di Enrico Terrinoni)

I
Archi fra i cieli e le terre
Fanno musiche miti;
Archi dove il fiume scorre
Tra i salici riuniti.

Musica va lungo il fiume
Dove s’aggira l’Amore,
Sui capelli le foglie brune,
Sul mantello un pallido fiore.

Tutto leggero suonando,
Col capo alla musica intento,
Le dita vanno vagando
Lungo uno strumento.

IV

Quando in cielo una stella sconsolata,
Si mostra timorosa, verginale,
Ascolterai nella sera assonnata
Chi alla tua porta cantando rimane.
Della brina più lieve è il suo cantare
Ed è lui che ti viene a visitare.

Non cedere alla fantasticheria
Se di sera lo senti che ti chiama.
Non chiederti: Chi canta tuttavia
Quella canzone che il cuore reclama?
Adesso sai di chi è il canto d’amore,
Ecco sono io quel tuo visitatore.

V

Vieni alla finestra,
Capelli dorati,
Ti sento intonare
Canti beati.

Il libro è già chiuso,
Non ne leggo più,
Mentre guardo il fuoco
Danzare quaggiù.

La camera e il libro
Ho lasciato già,
Ti sento cantare
Nell’oscurità.

Intonare e intonare
Canti beati,
Vieni alla finestra,
Capelli dorati.

XII

Mia schiva dolcezza, quale mai timore
La luna in cappuccio ti mise nel petto,
In un plenilunio dell’antico Amore,
Di gloria e di stelle al suo cospetto —
Una saggia che è tutta amica e parente
Di quel tale Cappuccino commediante?

Affidati a me, che io resti sapiente,
E che indifferente il divino mi sia,
Negli occhi una gloria s’è fatta splendente,
Tremante di stelle. Cara, o cara mia!
Fra luna e la nebbia mai lacrima vista
Per te, la mia dolce sentimentalista.

XXIII

Quel tuo cuore accanto al mio palpitante
La mia speranza e mia ricchezza è,
Così infelice quando sei distante
Così felice se tu baci me;
La mia speranza e mia ricchezza — si! —
E la mia felicità son qui.

Poiché là, come a quel nido muschioso
I suoi tesori lo scricciolo ha dato,
I miei tesori vi ho messo a riposo
Prima che a piangere avessi imparato.
Sapremo noi esser saggi altrettanto
Se amore vive un giorno soltanto?


 

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un’icona per effettuare l’accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s…

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.


%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: