Ferrovie del Messico: l’invenzione infinita di Gian Marco Griffi (a cura di Omar Suboh)


Immaginiamo la letteratura come un’immensa mappa geografica della Terra, e dei mondi possibili che si diramano attraverso fenditure inattese – varchi inesplorati accessibili soltanto attraverso una parola d’ordine, evocativa come una formula magica per compiere un incantesimo –, e in essa tracciare i rapporti di potere che tengono in equilibrio la bilancia dell’universo. Così scrivere, l’atto artistico della scrittura, si scopre essere un gioco, allo stesso modo in cui Julio Cortázar in Rayuela imbastisce il gioco del mondo, per condurre noi lettori verso un’ipotetica ascensione; un’infinita cognizione poetica, inesauribile come i personaggi che la abitano, gli stessi che si muovono sulla scacchiera apparecchiata da un demiurgo sapiente e folle – una follia luminosa, distinta da quella oscura, la stessa follia di alcuni pesci che vivono nelle acque profonde, e ricche di tesori, dell’Islanda –, guidati verso una fine che non esiste, forse è il niente – lo spazio bianco –, ma che in verità si scopre essere nient’altro che la ricerca stessa.

Gian Marco Griffi è l’artefice, un po’ come l’autore del Giardino dai sentieri che si biforcano, di questa corsa furiosa e dissennata chiamata Ferrovie del Messico (Laurana Editore, 2022), libro mondo, romanzo enciclopedico – monstruum letterario multiforme –, un particolare oggetto narrativo della mole di ottocento pagine che sembrano scorrere alla stessa velocità dei treni che conducono verso la città segreta ricercata dal suo protagonista, Cesco Magetti: Santa Brígida de la Ciénaga.
Città assente da ogni mappatura ufficiale. Perché affannarsi nella compilazione di una presunta mappa delle ferrovie messicane, nel cuore della Repubblica Sociale Italiana, in quel di Asti nel febbraio del quarantaquattro, lui semplice Guardia nazionale repubblicana ferroviaria? Perché i nazisti sono venuti a conoscenza di un temibile segreto: infatti, un libro rarissimo, scritto da un certo Gustavo Adolfo Baz dal titolo Historia poetica y pintoresca de los ferrocarriles en México, contiene tutte le informazioni necessarie per raggiungerla: «nel libro si descrive questa città misteriosa del Messico, chiamata Santa Brígida de la Ciénaga, dove i cittadini sono entrati in possesso di un oggetto, di qualcosa di malvagio, di un attrezzo. Insomma, di un’arma eccezionale». L’arma di cui si fa riferimento è risolutiva, potrebbe portare all’immediata cessazione del conflitto e la vittoria per chi ne viene in possesso. Bardolf Graf, impiegato amministrativo rinchiuso nei palazzi labirintici del Reich, tra piani che conducono a uffici che si aprono verso altri uffici dalle diramazioni inestricabili, è tra i primi a venire a conoscenza di questa città mitologica.

Afflitto da un insopportabile mal di denti che non lascia scampo, Cesco viene incaricato dall’alto di partire alla ricerca del raro libro per consentire, nel più breve tempo possibile, ai nazisti di venire a conoscenza dell’ubicazione della città fantastica: l’impresa si rivelerà tutt’altro che semplice.

Tutto questo è soltanto il principio di una serie di eventi rocamboleschi che porteranno Cesco a incontrare innumerevoli personaggi, ognuno con dei tic aderenti alla follia che riveste, come se questa fosse una componente imprescindibile di ogni carattere umano. La folla di pedine che Griffi muove dall’alto della propria visione, lucida come un delirio chiarificatore degli eventi, è la stessa che accomuna opere come quelle di Roberto Bolaño e Thomas Pynchon: poeti e scrittori, bibliofili, generali amanti dell’arte, addetti cimiteriali alla bollitura dei cadaveri, misteriosi clienti di un night club frequentato da prostitute dal nome altisonante di Aquila agonizzante, e molti molti altri.
«Credo fosse questo il motivo per cui amava i poeti, i trovatori, i giullari, giacché nelle loro voci scopriva quello stesso scontro, quella folle corsa della vita verso la gioia, incessantemente ostacolata dai cavalli di Frisia della bruttezza della malvagità, della chiusura, dell’intolleranza; nel loro sguardo ritrovava la medesima angolatura minimamente diversa nella visione del mondo che cambiava la percezione di ogni cosa», dice Anna, la domestica di Tilde Giordano, la bellissima donna di cui si innamora all’istante Cesco quando la incontra per la prima volta in biblioteca durante le sue ricerche. Imbevuta di letteratura e poesia, Tilde è, forse, il vero motore che tutto muove nel romanzo: è la spinta alla ricerca per Cesco, motivato più nella speranza di congiungersi con lei che di ritrovare il libro; è l’amore che orienta Steno, il suo fidanzato partigiano, a intraprendere un lunghissimo viaggio a nuoto per restituirle il senno, un po’ come Orlando sulla luna; è la vittima dello Stato che ha bisogno dell’oppressione per «sperimentare la libertà», così come la sua pazzia è il pretesto per rinchiudere e soffocare una sensibilità superiore: la più grande minaccia per l’ordine costituito. 

Uno degli aspetti che colpisce di più della lettura del romanzo di Griffi è la capacità di ricreare un mondo, partendo da uno dei periodi storici più frequentati dagli scrittori italiani e non solo, come quello della Seconda guerra mondiale, e di trasfigurarlo nella sua elasticità in una potenziale macchina generatrice di storie senza fine, orientate verso un punto indefinito di quella mappa geografica mentale redatta dall’autore, in cui il lettore si muove come uno scopritore di tesori disseminati un po’ ovunque in ogni pagina del testo. Plasticità dei personaggi e della lingua, la cui lezione di Carlo Emilio Gadda mischiata con quella di Beppe Fenoglio, si riflette su ogni vocabolo scelto e impiegato come in uno spartito musicale da Griffi, dando vita a una creatura tentacolare in grado di attrarre a sé come un magnete irresistibile. Allo stesso modo in cui in 2666 di Bolaño la figura di Giuseppe Arcimboldo rappresentava l’iconografia a cui ricondurre le multiple stratificazioni di un testo moltiplicatore di storie e di significati, allo stesso modo qui la cartina delle ferrovie con la sua Santa Brigída protettrice dell’ingresso verso il regno della città misteriosa, è il viatico per un viaggio che è una dichiarazione estrema di amore verso tutto ciò che ha fatto, e riesce ancora a fare, la letteratura. Per i libri, la poesia, un po’ come nei Detective selvaggi Ulises Lima e Arturo Belano – che farà anche una rapida comparsa tra le tante citazioni sparse e nascoste nel testo –, rappresentanti del movimento avanguardistico dei realvisceralisti, vengono raccontati da un coro di voci sempre da una prospettiva differente, così da comporre le diverse facce di un prisma multicolore e suggestivo. 

L’idea che muove il mondo di Griffi, ma anche di Bolaño e di Pynchon, è quella che la letteratura possa rivelare ancora qualche segreto, aprire qualche finestra non ancora schiusa, deformare la realtà e, come avrebbero voluto i realvisceralisti, sovvertire l’ordine costituito, l’accademia della letteratura e del gusto consolidato, conferendo il significato nella forma e nel modo in cui essa è organizzata. Rischiarare di luce propria la radura in cui siamo immersi nella notte del mondo: «Non ho potuto fare a meno di pensare che connaturato al genere umano doveva per forza esistere uno slancio vitale che neppure quei tempi di merda avevano potuto troncare, o sospendere, e che anzi proprio la guerra, l’indifferenza, la fame e l’orrore avevano acuminato e reso tagliente come una scimitarra appena forgiata, così tanto da generare una nuove concezione del mondo, una nuova Weltanschauung […], nella quale l’orrore dei nostri tempi fecondava l’utero della propria ripugnanza, concependo un innamoramento spasmodico e selvaggio per la vita umana».   

Quasi impossibile riassumere le varie vicende che si susseguono nel testo, pervaso da un lirismo e un’ironia unici che continuamente si attraversano ricongiungendo questi due estremi sulla pagina brulicante di comparse, incarnate dai loro stessi gesti e movimenti, sempre tesi alla risoluzione di un qualche mistero a cui venire a capo – come nell’indimenticabile sequenza in cui siamo chiamati come lettori a risolvere le colonne della «Settimana enigmistica» per conoscere la parola chiave che consentirà a Cesco l’accesso verso la città segreta, in un dialogo serrato ed enigmatico con un conte bibliofilo –, e per ripararci dal tragico, dalla disperazione assoluta, non ci restasse che essere lirici e ironici contemporaneamente. Cesco, Tilde, Steno, Bardolf Graf, il poeta alcolizzato e oppiomane Edmondo Bo – autore di una affascinante teoria sulla grandezza dei poeti suicidi rispetto a tutti gli altri –, il cartografo samoano Epa…, cosa ci fanno tutti questi personaggi insieme? Che cosa sembra unirli al di là dell’annosa ricerca del libro di Baz? Ferrovie del Messico è come una riscrittura de Il Circolo Pickwick di Charles Dickens: sono le storie che si intersecano con altre che diventano leggende, aperture inattese al soprannaturale, in una spirale continua di stravolgimenti che lasciano senza fiato. La realtà è deformata, e ogni cosa, compresi i drammi, nasconde una dimensione che conduce il lettore sul piano del gioco in un’invenzione infinita, che non può lasciare indifferenti.

A cura di Omar Suboh

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