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‘Perché il lifting brasiliano dei glutei non ci salverà’: Tishani Doshi, Un Dio alla porta (a cura di Giulia Bocchio)

Tishani Doshi

La poesia diventa un fatto attraverso l’occhio vigile di Tishani Doshi, poetessa, giornalista e narratrice indiana che ha dimestichezza con il flusso del tempo che attraversa il corpo, la società e le strutture del potere: per quindici anni è stata prima ballerina di bharatanatyam nella compagnia Chandralekha, a Madras. È infatti una questione di attraversamento la sua riflessione, dal corpo alle fibre delle sinapsi, sino alla rielaborazione concreta e multiforme del reale.
A God at the Door – Un Dio alla porta (Internopoesia, 2022, a cura di Andrea Sirotti) è la sua quarta raccolta poetica, selezionata lo scorso anno per il prestigioso Forward Prize for Poetry, e si tratta di pagine complesse, perché Tishani Doshi scrive versi che denudano il mondo di oggi, un mondo prosaico, nel quale ci alitiamo addosso, annaspando sudati e connessi a internet fra una controversia e l’altra.
Dalla cronaca a YouTube, femminismo, recensioni come oracoli su Trip Advisor, malattia, ambiente, passando per i glutei rimodellati di Kim Kardashian, la storia è anche questo, uno yo-yo fra trascendenza, spazzatura e vivere quotidiano. In quest’ultimo si insinua un po’ di tutto, specie le ingiustizie che portano al sangue e le disuguaglianze di genere, più profonde di una qualsiasi fossa comune.
Tishani ne ricava poesie che non risparmiano, naturalmente dense, intense, così lucide da non rassicurare nessuno, eppure, nel medesimo istante, sono riconducibili a uno stimolo creativo, pulsante e militante. Addirittura si intravede nella stesura grafica dei testi stessi  – fra spazi bianchi e forme che suggeriscono in pagina un’immagine – un ritmo, una discesa a imbuto nella coscienza.

Fra perimetri e ambiguità la poetessa attraversa il mondo contemporaneo facendosi largo fra una presa di coscienza che dovrebbe essere collettiva, ma che rimane comunque un cammino iniziatico assai personale, differente per ognuno, esattamente come l’esperienza. Esattamente come un Dio che un bel giorno bussa alla tua porta, ma, attenzione, ognuno sceglie il proprio, chiunque esso sia, qualsiasi cosa esso sia. È una metafora che è, come sapientemente fa notare Andrea Sirotti, “Un dio con l’iniziale minuscola, forse un’allusione agli ishta devtas, gli dèi personali della tradizione induista, un dio che in qualche modo riesca a palesarsi nella vita quotidiana per sbrogliare le inestricabili complessità della nostra tormentata epoca”.
Che qualcuno bussi o no alla porta, l’esperienza che facciamo del mondo è subordinata a un elemento importantissimo: il corpo. Difficile separare l’esistenza corporea da estetica e mortalità, specie per le donne, che nei secoli hanno visto il loro corpo giudicato, brutalizzato, usato, svilito, violato, ma anche rimpolpato attraverso filler e medicina estetica, costretto alla fuga da una vecchiaia che lo specchio non perdona e se lo fa, ineluttabilmente emargina.
La poetessa sprofonda in questo vortice aspro, con una consapevolezza che diviene gesto sicuro: la scrittura poetica, nonché il linguaggio come strumento di potere, rivolta, emancipazione, resilienza, autodeterminazione.
Scrive in inglese, un inglese che si fa duttile, che si modella anche sui telegiornali, non senza satira, non senza ironia.
Un Dio alla porta è una raccolta che si discosta da tanta letteratura aulica, incentrata squisitamente sul tormento personale con brevi sprazzi dedicati all’universale; è matura Tishani Doshi, è una donna che sembra accettare le condizioni imperfette dell’esistere, ovvero del r-esistere.
In agguato c’è sempre un po’ di tutto, difficile dare un volto, difficile poter usare il singolare in certi casi: da qualche parte c’è la guerra, qualcuno ha il Covid e non lo sa, in questo momento una giovane ha bisogno di trovare un modo per abortire, dall’altra parte del mappamondo l’inquinamento devasta silenzioso i polmoni di tanti bambini. Le città sorgono e cadono, l’abbiamo studiato per anni. Il mondo è racchiuso in una sfera all’interno della quale, come in una biglia, certi elementi si mescolano. A volte sembra un miracolo sopravvivere a tanta assurdità, a certe ingiustizie radicate o ideologiche.
Eppure succede. Tutto è un flusso.

 

A cura di Giulia Bocchio

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