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‘Gli scomparsi’: tre volumi dello sterminato diario di Gabriel Matzneff

Gli scomparsi sono i libri che non abbiamo mai saputo di voler ritrovare: libri dimenticati, libri fuori edizione, libri introvabili, libri mai tradottilibri trascuratiOgni settimana qualche brano da un libro“scomparso”, nella speranza che questo piccolo spazio nascosto possa contribuire a riesumarne qualcuno.

Edoardo Pisani

Le Muse, Jan Toorop

Il libro di oggi non è uno bensì tre, Cette camisole de flammes, Mes amours décomposés e La Jeune Moabite, tre volumi dello sterminato diario di Gabriel Matzneff, altrimenti detti carnets noirs, taccuini neri, libri che fino a poco tempo fa in Francia si vendevano liberamente ma che nel 2020 sono stati ritirati dalle librerie, dopo lo scandalo seguito alla pubblicazione del memoir di una delle sue ex amanti. Gabriel Matzneff è oggi un autore proibito; si spera che prima o poi i carnets noirs ritornino nelle librerie francesi.


Cette camisole de flammes (1953-1962)

Ho sedici anni, fra qualche giorno ne avrò diciassette, e quest’estate troppo calda,
troppo vuota, mi dà a un tratto il sentimento di star passando nel mondo della
solitudine e del grigiore, nel mondo delle persone grandi. Mi annoio come non
pensavo fosse possibile annoiarsi. Di mattina monto a cavallo, nel pomeriggio vado
in solex a Houlgate o a Cabourg, dove vago per ore, di sera andiamo tutti a Deauville,
però me ne fotto di Deauville e della sua vita mondana, è di altre cose che ho sete.
Nella libreria di Houlgate ho comprato Le signe dans la pierre, di Paul Henrys, un
romanzo d’amore fra ragazzi. Lettura dolorosa, che ravviva in me la coscienza di
tutto ciò che ho conosciuto e di cui sono oggi privato, da cui sono esiliato. Dove
siete, amicizie appassionate e brucianti? Al vostro delizioso bruciore si è sostituito
l’orribile bruciore della solitudine. […]
Ah! non ne posso più di essere solo. E questa solitudine è un circolo vizioso, perché
mi rende orso, asociale. Solitudine tanto più strana perché senza motivo: sono un bel
ragazzo, in piena forma fisica, ho dei soldi, dei cavalli, degli svaghi, la mia famiglia mi
lascia (relativamente) in pace, ho dunque “tutto per essere felice”, come si dice,
eppure non lo sono.
[…]
Prendo la metro di mattina presto solo un giorno alla settimana, il lunedì, quando
vado alla Sorbonne per ascoltare il corso di Deleuze su Kant. Quest’umanità grigia.
Questi volti da iloti. Il gregge. Orrore e tristezza.
Sembra che una buona parte delle ragazze che fanno filosofia siano lesbiche. Come le
capisco!
Gli scrittori si dividono in due categorie: i liberatori dello spirito e gli altri. Solo i
primi contano per me.
[…]
30 dicembre, tre del mattino. Dal mio balcone contemplo la notturna baia degli
Angeli. Il mare, rivestito di nero e d’argento, geme sui sassi della spiaggia. È l’ora e il
luogo in cui sarebbe dolce morire. Ogni problema cancellato. Calma assoluta.
Tentazione di salire su una barca e di perdermi per sempre in questa vastità
rumorosa.

Mes amours décomposés (1983-1984)

Non cerco la felicità nell’amore, ma l’infelicità. Ciò che inseguo nella mia incessante
ricerca di volti, di cuori, di corpi adolescenti, è la tensione, il gorgo, l’inquietudine, il
cuore che batte all’impazzata, il tragico, la morte.
[…]
Ieri, nel giro di qualche ora, Anne T., Catherine T. e Marie-Agnès B. mi hanno
parlato dell’ostilità dei loro genitori nei miei confronti, ripetendomi le stupidaggini e i
cliché che tirano fuori su di me: il mito Matzneff del seduttore diabolico, del satiro,
del distruttore, insomma sempre lo stesso disco caricaturale. Per tutti questi cretini
sono l’inferno, ma io me ne frego perché per le loro figlie sono il paradiso. “Sei il mio
paradiso”, sono le esatte parole che mi ha mormorato ieri pomeriggio la mia
adorabile Anna, diciassette anni, mentre facevamo l’amore.
[…]
La maggior parte degli stranieri che vengono a Manila vi fanno una cura di erotismo;
io vi faccio una cura di solitudine. Ieri ho risposto a Joy e a Mercy, che insistevano al
telefono (“Posso venire in camera tua?”), dicendo che non avevo il tempo di vederle
(“ho un appuntamento importante alla French Embassy”), e ho trascorso la giornata
deliziosamente solo, in piscina, nel mio appartamento e in città. Che riposo!
A Parigi, fra Marie Agnès, Diane, Brigitte, Virginie, Marie-Elisabeth, Anne e le altre,
tornerebbero i lavori forzati dell’amore, le persecuzioni, le mie furbizie per sfuggirvi,
le mie bugie. Qui, a Manila, al capo opposto del mondo, mi godo supremamente le
gioie della libertà – compresa quella di non fare l’amore, pur avendo solo un gesto da
fare per avere subito nel mio letto una ragazza di quattordici anni o un ragazzino di
dodici.
A Parigi gli imbecilli pensano che vada in Asia per darmi alla dissolutezza, mentre è
l’esatto opposto. Qui sono molto più casto che in Europa. Ciò mi riposa e mi diverte.

La Jeune Moabite (2013-2016)

Un prete domanda a Frederick Rolfe (il baron Corvo): “Figlio mio, amate Dio?”
E Corvo risponde: “Non lo so. Davvero, non lo so.”
E io, se mi ponessero la domanda?
Non saprei cosa rispondere. Il Cristo sì, sono sicuro di amare il Cristo. Amo il Cristo
alla follia. Ma Dio è un’altra cosa.
[…]
Ieri, dopo aver lasciato il Lipp in cui avevo cenato faccia a faccia con Claude
Guittard, faccio scivolare un biglietto da cinque euro nella mano di un barbone dalla
barba bianca. Questi solleva la testa e mi dice: “Oh, grazie signore! E coraggio!”
Quel “coraggio!” di un vecchio mendicante seduto alle undici di sera sull’asfalto del
boulevard Saint-Germain mi ha divertito e soprattutto commosso.
[…]

Ieri sera, su Raidue, Bernard-Henri Lévy ha parlato, in francese, di antisemitismo.
Brillante e, tutto considerato, veritiero, in particolare quando ha osservato che gli
antisemiti nel corso dei secoli hanno sempre saputo inventarsi delle nuove ragioni per
odiare gli ebrei; tuttavia non mi toglierà mai dalla testa che la creazione dello stato di
Israele nel 1948 (come quella del Pakistan l’anno precedente) non fu una buona idea.
[…]
Il mio diario? Una somma di conoscenze, di osservazioni, di riflessioni, di cose viste
sulle adolescenti, sulle ragazze, persino sulle donne, giacché la donna che, venti o
trent’anni dopo, rinnega il suo passato con rabbia e determinazione, lo calpesta, tenta
di cancellarlo o meglio ancora di riscriverlo, è la stessa adolescente ebbra di felicità di
scoprire l’amore fra le braccia del suo primo amante, la stessa ragazza che, dopo
qualche anno di felicità, non è più soddisfatta da ciò che vive e comincia a soffrire di
gelosia e a sognare il matrimonio e la maternità.
[…]
I miei “social network” sono i miei libri. È là che mi si incontra, che mi si scopre. Da
nessun’altra parte.
[…]
Leggo A se stesso, di Leopardi. Lo avevo già letto spesso, ma oggi, in ospedale,
uscendo vittorioso da un’operazione delicata, reagisco con vivacità, con fiamma.
Sono anch’io un romantico, un pessimista, addirittura un nichilista, però amo la mia
vita, amo le mie passioni, ho un’esistenza eccezionalmente felice, benedetta dagli dèi,
non scriverei mai che la vita è amaro e noia, amaro e noia, è il contrario di ciò che
sono. Da questo punto di vista Leopardi è ai miei antipodi. Condivido il suo
sentimento dell’infinita vanità del tutto, ma questa sensazione, lontana
dall’abbattermi, mi stimola. Il tono piagnucoloso di Leopardi non è e non sarà mai il
mio. Ammiro – ci mancherebbe altro! – la perfezione delle sue poesie, la bellezza e la
musicalità dei suoi versi, ma questo tono lamentoso, questa mancanza di appetito
sensuale per la vita mi sono antipatici. Viva Foscolo! Viva Byron!
[…]
Persistere, all’età degli omaggi e degli onori (ricordo il chiasso unanime dei media che
festeggiavano gli ottant’anni di François Mauriac), a essere un autore sovversivo, uno
scrittore il cui nome suscita i sussulti dei passanti onesti, dal punto di vista
dell’eternità è un ottimo segno; ma noi non siamo nell’eternità, siamo hic et nunc e io
mi sono stufato di recitare la parte di M il Maledetto. Aspiro all’amnistia.

 

(Byron, Cioran, Nietzsche, Hergé, i diari e i romanzi, Baudelaire e Nil Kolytcheff, i viaggi in Italia o in Asia, gli amori folli e adolescenti e i cafards: l’opera di Matzneff, inedita in Italia, è tutto questo e molto altro. “Il diario” scrive in Vanessavirus, il suo unico libro attualmente disponibile in italiano, “per come lo concepisco io, è il grado zero della scrittura, la vita bevuta a collo, la verità annotata giorno per giorno, l’istante fugace fissato sulla carta minuto per minuto. Il romanzo, come la poesia, è la verità scelta, stilizzata. Il diario è le mele che Cézanne ha comprato al mercato; il romanzo è quelle stesse mele sulla tela in cui le ha dipinte.” Si spera che un giorno i carnets noirs di Gabriel Matzneff ritornino finalmente nelle librerie francesi).

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