«Una strana amicizia, i libri hanno una strana amicizia l’uno per l’altro. Se li chiudiamo nella mente di una persona bene educata (un critico è soltanto questo), lì al chiuso, al caldo, serrati, provano un’allegria, una felicità come noi, esseri umani, non abbiamo mai conosciuto. Scoprono di assomigliarsi l’un l’altro. E ognuno di loro lancia frecce, bagliori di gioia verso gli altri libri che sembrano (e sono e non sono) simili. Così la mente che li raccoglie è gremita di lampi, di analogie, di rapporti, di corti circuiti, che finiscono per traboccare. La buona critica letteraria non è altro che questo: la scoperta della gioia dei libri che si assomigliano.»
Mario Praz

Lungo i fiumi di Babilonia
Sopra il Salmo Super flumina Babylonis
Lungo le correnti del fiume
che si trova in Babilonia,
là mi sedetti piangendo,
là ne irrigavo la terra,
al tuo ricordo,
o Sion, che tanto amavo.
Era cara la tua memoria
e con essa molto piangevo.
Lasciati gli abiti di festa,
prendevo solo quelli del lavoro,
là appesi tra i verdi salici
la musica che portavo
chiudendola nella speranza
di ciò che solo in te speravo.
Là mi ferì l’Amore
e il cuore mi strappava.
Chiesi che mi uccidesse,
poiché tanto mi feriva:
dentro il suo fuoco mi gettai
ben sapendo che mi sarei bruciato
comprendendo quella Fenice
che al fuoco si consuma.
In me stesso stavo morendo
e in te solo respiravo
in me per te morivo
e per te resuscitavo
poiché la tua memoria
dava vita e la toglieva.
Morivo nel mio morire
e la mia vita se ne andava
poiché la vita, continuando,
mi privava del tuo sguardo.
Godevano gli stranieri
tra i quali ero schiavo.
Guardavo come non vedevano
che il piacere li ingannava.
E mi chiedevano cantici
di quelli che a Sion cantavo:
«Cantaci un inno di Sion;
vediamo come suonava».
Ditemi, come in terra d’esilio,
dove per Sion piangevo,
come potrei cantare quella gioia
che solo in Sion ho lasciato?
Nell’oblio la perderei
se in esilio avessi gioia;
al mio palato s’attacchi
la lingua con cui parlavo,
se di te mi scordassi
qui nella terra ove dimoro.
O Sion, per i freschi rami
che Babilonia mi dava,
si scordi di me la mia destra,
ciò che in te ho più amato,
se di te non mi ricordi
in ciò che più io godevo,
e se dandomi alla festa
senza di te la festeggiassi!
O figlia di Babilonia,
misera e sventurata!
Fortunato sia Colui
In cui io confidavo,
sarà lui che ti darà il castigo,
che dalla tua mano ho avuto,
sarà lui che riunirà i suoi piccoli,
e anche me, poiché in te ho pianto,
a quella pietra che era Cristo,
per il quale ti ho lasciata!
da Poesie di Juan de Yepes Àlvarez (San Giovanni della Croce)
Traduzione di Carmelo Mezzasalma
On the rivers of Babylon we sat down and wept
I
We sat down and wept by the waters
Of Babel, and thought of the day
When our foe, in the hue of his slaughters,
Made Salem’s high places his prey;
And ye, oh her desolate daughters!
Were scatter’d all weeping away.
II
While sadly we gazed on the river
Which roll’d on in freedom below,
They demanded the song: but, oh never
That triumph the stranger shall know!
May this right hand be wither’d for ever,
Ere it string our high harp for the foe!
III
On the willow that harp is suspended,
Oh, Salem! its sound should be free;
And the hour when thy glories were ended
But left me that token of thee:
And ne’er shall its soft tones be blended
With the voice of the spoiler by me!
Noi sedevamo in pianto presso i fiumi di Babilonia
I
Noi sedevamo in pianto presso l’acque
Di Babilonia, e pensavamo al giorno
Quando il nemico con furia e con stragi
Fece sua preda le alture di Salem
E voi, mie figlie afflitte,
Foste disperse in pianto.
II
E mentre tristi guardavamo il fiume
Che libero scorreva sotto a noi,
Quelli chiesero un canto. Mai, mai
Lo straniero atterrà tale trionfo!
Mi si secchi per sempre questa destra
Ma non suoni al nemico l’arpa sublime!
III
Quell’arpa è appesa al salice, o Salem!
Libero dovrebbe essere il suo suono,
E l’ora in cui ebbe fine la tua gloria
Mi ha lasciato di te quel solo pegno:
Mai per mia causa le sue dolci note
Si uniranno alla voce di chi preda!
da Melodie ebraiche di George Gordon Byron
(traduzione di Cesare Dapino)
Alle fronte dei salici
E come potevamo noi cantare
con il piede straniero sopra il cuore,
fra i morti abbandonati nelle piazze
sull’erba dura di ghiaccio, al lamento
d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento.
da Giorno dopo giorno di Salvatore Quasimodo