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Dante 2021 #5: Dante e T.S. Eliot

Dante muore a Ravenna settecento anni or sono, la notte tra il 13 e il 14 settembre 1321. Un anniversario importante, che su queste pagine non può passare inosservato. «Poetarum Silva» intende commemorarlo, il 14 di ogni mese, attraverso le pagine di autori che gli hanno reso omaggio, trasformandolo in personaggio della loro scrittura critica, narrativa, poetica.

dante

L’Inferno grigio. Segnali danteschi in Eliot prima di The Waste Land: Prufrock e Gerontion

È ampiamente nota l’influenza che Dante esercitò sul poeta anglo-statunitense T.S. Eliot. Come sottolineò in più occasioni Mario Praz, Eliot innalzò Dante a modello perfetto di poeta universale, «colui che esprime ‘la più grande intensità emotiva del tempo suo, basata su quello che costituisce il pensiero del suo tempo»[1] e la poetica dell’autore di The Waste Land era «strettamente connessa con l’interpretazione eliotiana dell’allegoria in Dante».[2] L’origine di tale influenza è facilmente rilevabile. La biografia ci ricorda che Eliot nasce poeta durante gli studi universitari a Harvard, pressappoco nel 1906, e uno dei primi influssi proviene proprio dalla cerchia dei dantisti americani (Longfellow, Norton, Santayana, Bradley). Certo varie furono le ascendenze su Eliot, se pensiamo che fu grazie a Arthur Symons che egli poté conoscere e apprezzare poeti come Jules Laforgue e Tristan Corbière.[3] Eppure Roberto Sanesi fa notare che all’epoca Harvard stava vivendo un «secondo rinascimento americano» animato da uno spirito laico indirizzato alla ripresa di «un eclettismo curioso e raffinato che permetteva un nuovo avvicinamento ai testi danteschi come all’opera dei poeti metafisici inglesi del Seicento», ambiente, a quanto pare, in cui Eliot «trovò immediatamente le radici significative del proprio sviluppo intellettuale».[4] Tale iniziazione gli ha pertanto fornito terreno fertile per la sua ispirazione poetica, considerando non solo La Terra desolata, bensì le altre raccolte di versi che la precedettero, fra cui troviamo le poesie Il canto d’amore di J. Alfred Prufrock[5] e Gerontion,[6] quest’ultima «che annuncia The Waste Land»,[7] rappresentandone, riferisce Alessandro Serpieri, «il vero preludio».[8] Si aggiunga che l’attività critica di Eliot riservò pure un’attenzione continua verso l’opera del Sommo Poeta.[9] Quindi i segnali danteschi si colgono ab origine e formano la chiave interpretativa della visione eliotiana sull’età contemporanea, contraddistinta dalla notoria alienazione dell’uomo moderno, da un confronto col passato che il presente non riesce a reggere, dal problema della fede e dell’identità personale, dall’aridità umana e morale. Si rivela da subito una lettura estensiva il cui principio innalza la Commedia a modello di tutta l’arte poetica. Pertanto la matrice dantesca su cui Eliot strutturò l’inferno grigio di The Waste Land ha una sua proto-lettura in alcune poesie che precedono il poema stesso. Il canto d’amore di J. Alfred Prufrock e Gerontion sono due fra gli esemplari noti.

Il canto d’amore, composto fra il 1910 e il 1911, apparso per la prima volta su Poetry nel 1915 e pubblicato nel 1917 nella raccolta Prufrock e altre osservazioni, la prima pubblicazione poetica di Eliot[10] in cui l’eterogeneità degli incontri letterari (dai simbolisti francesi ai metafisici inglesi e a Dante) è ormai fissata, riporta in epigrafe i versi 61-66 tratti dal Canto XXVII dell’Inferno, che riferiscono l’incontro di Dante con Guido da Montefeltro:

S’i’ credesse che mia risposta fosse
a persona che mai tornasse al mondo,
questa fiamma staria sanza più scosse;
ma però che già mai di questo fondo
non tornò vivo alcun, s’i’ odo il vero,
sanza tema d’infamia ti rispondo.
     (Inf., XXVII, vv. 61-66).

Va subito rilevato che le epigrafi alle poesie eliotiane diventano parti funzionali delle poesie stesse e la frequenza nasce senza dubbio dalla volontà di fornire un’espressione concentrata del poema e pertanto di lanciare un segnale prima della lettura dello stesso poema. Guido, rivolgendosi a Dante, credendo di parlare a un dannato come lui, confessa la sua storia di condottiero e astuto politico, poi pentitosi della sua condotta e in seguito divenuto francescano; proprio perché pensa che Dante non possa tornare dall’inferno, senza timore si sente libero di parlare, narrando la sua infamia. Sulla scia di simile atteggiamento, in questo monologo drammatico, J. Alfred Prufrock – dramatis personae di Eliot, tipico antieroe moderno che passa sotto la sua lente ironica il dramma della sua sterilità interiore e spirituale – rivela, credendosi non ascoltato o che il suo racconto rimanga nascosto, l’aridità e la meschinità della sua esistenza. I primi dodici versi della poesia hanno invero un sapore fortemente dantesco:[11]

Allora andiamo, tu ed io,
Quando la sera si stende contro il cielo
Come un paziente eterizzato disteso su una tavola;
Andiamo, per certe strade semideserte,
Mormoranti ricoveri
Di notti senza riposo in alberghi di passo a poco prezzo
E ristoranti pieni di segatura e gusci d’ostriche;
Strade che si succedono come un tedioso argomento
Con l’insidioso proposito
Di condurti a domande che opprimono…
Oh, non chiedere “Cosa?”
Andiamo a fare la nostra visita.

«Andiamo» è un imperativo rivolto a sé stesso, un invito che anticipa la confessione, proprio come quella di Guido da Montefeltro, un andar a far visita che riserva l’allusione, la proiezione di una discesa agli inferi. L’esortazione, ripetuta tre volte, sembra ricordare il Canto III dell’Inferno: «Per me si va nella città dolente,/ Per me si va nell’etterno dolore,/ Per me si va tra la perduta gente».[12] E è quello che fa Prufrock: egli s’avventura, nel suo monologo, verso un luogo grigio senza «chiedere “Cosa?”», senza trovare speranza di redenzione, un’assenza di speranza senza il minimo dubbio, quasi in affinità con lo stesso canto dantesco al v. 9 («Lasciate ogni speranza, voi ch’entrate») e al v. 14 («Qui si convien lasciar ogni sospetto», è la risposta di Virgilio a Dante). Prufrock, proiezione di Guido, realizza così un viaggio oltremondano in un tempo senza tempo, in un’atmosfera esalante «nebbia gialla» e «fumo giallo» (per il poeta belga Maurice Maeterlinck il giallo era il colore del peccato, del rimpianto, della stasi, un giallo appassito, caduco), dove riconosce «le voci che muoiono con un morente declino»[13] e dove «il vento rigonfia l’acqua bianca e nera». Il monologo di Prufrock riporta così alla crisi dell’io e dell’identità contemporanea per giungere a uno sgretolamento della coscienza che si conclude con un annegamento simbolico nell’indeterminatezza («le voci umane ci svegliano, e anneghiamo»).[14] Pertanto assistiamo a una emiplegia o paralisi spirituale che un noto contemporaneo di Eliot, James Joyce, sviluppò sul versante del racconto, con l’allegoria moderna della sua raccolta Dubliners (1914), anche questa non esente da influenza dantesca. Per dare la giusta resa dell’atmosfera del poema eliotiano, Locke suggerisce di tradurre “Love song” con Cantica d’amore.[15]

Nonostante la scrittura intertestuale, paragrammatica,[16] tesa al frequente uso di allusioni e citazioni, con riferimenti e rimandi alla tradizione letteraria antica e moderna – i già citati John Donne, Tristan Corbière e Jules Laforgue[17] fra gli eletti, ma pure Shakespeare, Milton, la Bibbia – Dante resta il punto fisso della sua riflessione riproposta nella raccolta successiva a Prufrock. Il “sacro bosco” poetico si arricchisce, quindi, con Ara Vus Prec, pubblicata inizialmente nel 1919 e in seguito col titolo Poems. Da un raffronto delle due opere si evince una progressione da cui è esclusa qualsiasi natura o finalità teologica: se nella prima raccolta si distingue un tratto infernale coscientemente sviluppato, nella seconda scopriamo il tema purgatoriale. Nella raccolta sono presenti dodici nuove poesie più le poesie del precedente libro e il titolo stesso riprende le parole del passo provenzale che Dante fa dire a Arnaut Daniel, poeta trovatore del XII secolo, «il miglior fabbro del parlar materno»[18] così definito da Dante tramite Guinizzelli nel Canto XXVI del Purgatorio:

Ara vos prec, per aquella valor
que vos guida al som de l’escalina,
sovenha vos a temps de ma dolor![19]
     (Purg., XXVI, vv. 145-147).

E anche in questo caso Ara Vus Prec ospita in epigrafe i versi 133-136 del Canto XXI del Purgatorio:

[…] Or puoi la quantitate
comprender de l’amor ch’a te mi scalda,
quand’io dismento nostra vanitate,
trattando l’ombre come cosa salda.
     (Purg., XXI, vv. 133-136).

Come Virgilio è la guida di Dante nel viaggio oltremondano, così Dante è il Virgilio di Eliot, l’orma riconosciuta come lume-guida, e i versi che qui riportano l’incontro di Dante e Virgilio col poeta latino Stazio suggeriscono sia la reiterata ammirazione di Eliot per il Sommo sia gli indizi di un progresso poetico sorvegliato.
La prima poesia della raccolta è Gerontion, posta all’inizio proprio perché esponente dell’idea e della concezione eminentemente eliotiana del far poesia. Si diceva che Gerontion si delinea come preludio alla Terra desolata, e di fatti Eliot avrebbe voluto inserire la poesia come prefazione al poema, ma Ezra Pound, in una lettera,[20] scoraggiò questa intenzione. Come Il canto d’amore, pure Gerontion è un monologo drammatico in cui scopriamo di nuovo lo scardinamento del tempo e un’atmosfera di abbandono che lascia nuovamente intendere una situazione di inattività e di rovina morale. Composta nel 1919, Gerontion riporta in epigrafe un verso di Shakespeare, tratta da Misura per misura[21], che suggerisce il tema della vecchiaia – insito nel significato del nome «piccolo vecchio uomo» –, messa in relazione a un’aridità sia esteriore («Eccomi qui, vecchio in un mese arido […], aspettando la pioggia»)[22] sia interiore («pensieri di un arido cervello in un’arida stagione»),[23] e sempre con un risvolto simbolico. Ritornando ancora sull’epigrafe, Nancy K. Gish[24] evidenzia che la prima bozza di Gerontion ne conteneva, però, due; la seconda, rimossa dalla versione pubblicata, era sempre una citazione di Dante, tratta dal Canto XXXIII dell’Inferno che riguarda frate Alberigo, il quale non sa se il suo corpo sia ancora vivo sulla terra:

«Oh!», diss’io lui, «or se’ tu ancor morto?».
Ed elli a me: «Come ’l mio corpo stea
nel mondo sù, nulla scienza porto. 
     (Inf., XXXIII, vv. 121-123).

Il significato delle due epigrafi non risiede solo nella morte che s’impossessa della vita, bensì pure nella dispersione cui va incontro il corpo; intendono riferirsi a Gerontion, il cui corpo sta vivendo una sorta di dissolvimento; non sa se si sente vivo o morto, o forse si sente stancamente vivo nella sua mortalità, tuttavia anche il suo corpo sembra non esserci più. Nulla vieta di pensare che il verso «la mia casa è una casa in rovina» possa simbolicamente riferirsi alla rovina del corpo, mentre all’esterno Gerontion assiste a «una desolazione di specchi». In considerazione dell’epigrafe dantesca, dapprima inserita e poi tolta, si può denotare uno stato purgatoriale che ancora non si è lasciato l’inferno alle spalle. Si coglie, certamente, la continuità nella ricerca poetica e nello sviluppo tematico: Prufrock sta diventando vecchio («Divento vecchio… divento vecchio») e sta annegando, mentre Gerontion è già vecchio, eppure – ecco ciò che lo distingue da Prufrock – «egli attende la pioggia, simbolo di rinnovamento e di purificazione, e attende un segno, un miracolo»,[25] attende qualcosa che possa salvarlo dal suo stato purgatoriale e di disfacimento. Il verso finale del poema suggerisce proprio la conferma che se i padroni della casa sono «i pensieri di un arido cervello in un’arida stagione», allora quella casa in rovina è il corpo di Gerontion.
Quindi, nel considerare le due poesie più note, si comprende che l’influenza dantesca – un’influenza persistente e cumulativa nel tempo, ricorda Sanesi –[26] non si riduce alla citazione diretta o indiretta, bensì risponde a un’esigenza più elevata, ovverosia l’urgenza di dare unità strutturale e compositiva e di pensiero alla sua poetica, guardando a un archetipo universale e indiscusso qual è la Commedia e a quegli elementi culturali, filosofici e intellettuali che un poeta come Dante ha saputo instillare in quell’unica grande metafora – unicità capace di fondere caratteri poetici e sapienziali – che è la sua opera tutta. Metafora e allegoria, cardini tecnici fondamentali del comporre, uniti all’impersonalità dell’atto poetico – ritorna l’eco di Joyce per cui l’artista è altrove –, diventano così gli strumenti perché la poesia possa donare una visione viva e incarnata dell’uomo nel suo tempo e fuori dal tempo. Eliot intese, attraverso Il canto d’amore di J. Alfred Prufrock e Gerontion, improntare una strutturazione sistematica in una sorta di work in progress che raccolse i suoi esiti più mirabili nella critica poetica come nel capolavoro che fu The Waste Land e ancora in seguito The Hollow Men e Ash-Wednesday fino a giungere a Four Quartets.

© Davide Zizza

 


[1] M. Praz, La letteratura inglese dai Romantici al Novecento (edizione aggiornata), Milano, BUR, 1975 (1992), p. 242-252; M. Praz (a cura di), T.S. Eliot, La terra desolata, Frammento di un agone, Marcia trionfale, Firenze, Fussi editore, 1958, pp. 9-13.
[2] M. Praz, T.S. Eliot e Dante, in Machiavelli in Inghilterra, Roma, Tumminelli, 1942, p. 258.
[3] A. Symons, The Symbolist Movement in Literature, London, Heinemann, 1899 (1909).
[4] Crf. R. Sanesi, Introduzione in T.S. Eliot, Poesie, a cura di R. Sanesi, Milano, Bompiani, 1961, 1983 (2019), p. 14.
[5] T.S. Eliot, Prufrock and other observations, London, Egoist Ltd, 1917.
[6] T.S. Eliot, Ara Vus Prec, London, Ovid Press 1919; in seguito col titolo Poems, 1920. Cfr. M. Praz, La letteratura inglese, p. 244.
[7] Cfr. Sanesi, cit., p. 41.
[8] Cfr. A. Serpieri, Introduzione in T.S. Eliot, La terra desolata, a cura di A. Serpieri, Milano, Mondadori, 1922 (Rizzoli, 1985; BUR 2016), p. 7.
[9] Cfr. T.S. Eliot, Il bosco sacro, trad. di V. Di Giuro e A. Orbetello, con una nota di M. Bacigalupo, Milano, Bompiani, 1995 (2016), p. 185; T.S. Eliot, Scritti su Dante, a cura di R. Sanesi, Milano, Bompiani, 1994 (2016).
[10] Le spese di stampa del libretto, a insaputa di Eliot, furono pagate da Ezra Pound, col quale Eliot aveva instaurato un rapporto di amicizia, oltre che un sodalizio poetico e intellettuale. Cfr Serpieri, cit., p. 9.
[11] T.S. Eliot, Poesie, p. 161.
[12] Cfr. Inferno, Canto III, vv. 1-3.
[13] T.S. Eliot, cit., p. 163.
[14] T.S. Eliot, cit., p. 169.
[15] F. W. Locke, Dante and T. S. Eliot’s Prufrock published on MLN, vol. 78, n. 1, 1963, p. 58: «If we translate the title of Eliot’s poem into Italian, we get Cantica d’amore». Cfr. JSTOR, http://www.jstor.org/stable/3042942. Accesso al 21 Apr. 2021.
[16] J. Kristeva, Séméiôtiké. Ricerche per una semanalisi, Milano, Feltrinelli, 1978. La fonte è desunta da Serpieri, cit., p. 8.
[17] In merito proprio a Tristan Corbière e Jules Laforgue, Eliot affermò che «Jules Laforgue, and Tristan Corbiere in many of his poems, are nearer to the ‘school of Donne’ than any modern English poet». Cfr T.S. Eliot, The Metaphysical Poets, pubblicato sul The Times Literary Supplement, October 20, 1921, pp. 669-670.
[18] Cfr. G. Lachin in A. Daniel, Sirventese e canzoni, a cura di G. Lachin, traduzione di F. Bandini, Torino, Einaudi, p. 83. Lachin, nella sua Nota ai testi di Arnaut, chiarisce l’importanza che il poeta provenzale ebbe per Dante e per Petrarca: «Attraverso Dante (ma, prima di lui, attraverso certi Toscani come Inghilfredi o Monte Andrea) e, dopo di lui, attraverso Petrarca, Arnaut diventa modello di poesia per i poeti e imprescindibile riferimento degli eruditi commentatori […]». Per tornare a Eliot, vale ricordare la dedica in epigrafe a The Waste Land fatta a Ezra Pound, definito il miglior fabbro poiché determinante per la revisione del poema.
[19] «Ora vi prego, per quella virtù/che vi conduce alla sommità della scala/ricordatevi, al momento giusto, del mio dolore!» (traduzione mia) è la richiesta di Arnaut a Dante per essere ricordato nelle sue preghiere quando raggiungerà la somma cima.
[20] Cfr. Serpieri, cit., p. 207: «Non consiglio di stampare Gerontion come prefazione. Non se ne sente affatto la mancanza, come sta ora la cosa. Per essere ancora più chiaro, lasciami dire che ti consiglio di non stampare Gerontion come preludio» (Parigi, gennaio 1922).
[21] Cfr. W. Shakespeare, Misura per Misura, atto III scena I: «Non sei né giovane né vecchio/Ma è come se dormissi dopo pranzo/Sognando di entrambe queste età». La traduzione è di Sanesi, cit., p. 211.
[22] Cfr. Sanesi, cit., p. 211.
[23] Cfr. Sanesi, cit., p. 215.
[24] N.K. Gish, Gerontion and The Waste Land: Prelude to Altered Consciousness, in AA.VV., T.S. Eliot, Dante and the Idea of Europe, edited by Paul Douglass, Cambridge, Cambridge Scholars Publishing, 2011, p. 35.
[25] Cfr. Sanesi, cit., p. 51.
[26] Cfr. R. Sanesi, Prefazione in T.S. Eliot, Scritti su Dante, Milano, Bompiani, 1994 (2016), pp. VII-XVII.

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