Dante muore a Ravenna settecento anni or sono, la notte tra il 13 e il 14 settembre 1321. Un anniversario importante, che su queste pagine non può passare inosservato. «Poetarum Silva» intende commemorarlo, il 14 di ogni mese, attraverso le pagine di autori che gli hanno reso omaggio, trasformandolo in personaggio della loro scrittura critica, narrativa, poetica.
Boccaccio, Sikelianòs e il sogno di Monna Bella
È il 1915, seicentocinquanta anni dopo la nascita dell’Alighieri. All’Ambasciata d’Italia ad Atene si tiene un ciclo di letture dantesche, alle quali partecipa Ànghelos Sikelianòs, uno dei più grandi poeti greci del Novecento, profondo lettore, estimatore e conoscitore della letteratura italiana, in particolare di quella delle origini.
Dalle suggestioni di queste giornate nasce una poesia in cui Sikelianòs evoca, piuttosto che Dante, la figura di sua madre, Bella degli Abati, morta precocemente.[1] È una lirica in cui né la donna né il figlio compaiono nettamente. Il protagonista è un sogno premonitore nel quale Bella si avvicina profeticamente al futuro del bimbo che porta in grembo. L’aneddoto è riportato da Boccaccio nel suo Trattatello in laude di Dante, prima biografia dell’Alighieri in cui si mescolano testimonianze di prima mano raccolte personalmente dal biografo con episodi inverosimili resi verosimili dalla cieca devozione del Certaldese.
Probabilmente tale episodio non è mai avvenuto, ma è piuttosto uno dei tanti sogni premonitori di madri di uomini illustri che contribuiscono a creare, a posteriori, un’immagine da eroi e da predestinati. Lo stesso Dante, in Par., XII, 50-60, riporta quello della madre di San Domenico. Nella Vita di Virgilio di Elio Donato la madre di Virgilio sogna di partorire un ramo d’alloro che diventa ben presto un albero rigoglioso.[2] La veridicità del fatto non è quindi sicura, ma ciò non toglie nulla al simbolismo poetico della visione onirica. Riportiamo qui di seguito il brano del Trattatello in cui compare l’episodio:
Pareva alla gentile donna nel suo sogno essere sotto uno altissimo alloro, sopra uno verde prato, allato ad una chiarissima fonte, e quivi si sentiva partorire uno figliuolo, il quale in brevissimo tempo, nutricandosi solo delle orbache, le quali dello alloro cadevano, e delle onde della chiara fonte, le parea che divenisse un pastore, e s’ingegnasse a suo potere d’avere delle fronde dell’albero, il cui frutto l’avea nudrito; e a ciò sforzandosi, le parea vederlo cadere, e nel rilevarsi non uomo più, ma uno paone il vedea divenuto.[3]
Probabilmente proprio da questa fonte nasce la poesia di Sikelianòs dal titolo La madre di Dante, che qui riportiamo nella traduzione di Filippo Maria Pontani:
La madre di Dante
Come svuotata le sembrò Firenze nel suo sogno
all’inizio del giorno
lontano dalle amiche, lei va, lenta e solinga,
per le strade d’intorno…
Indossa il suo vestito di seta delle nozze,
le sue vesti liliali,
vaga per i crocicchi, nel sogno sono nuove
tutte le vie, larvali…
Bagna i colli una pallida alba primaverile.
Suono d’api remote
sono i lenti rintocchi di campanili esanimi,
gravi, di chiese vuote…
Si trova d’improvviso nel cuore d’un giardino
perso nell’aria bianca,
come vestito a nozze, colmo di meli e aranci
fin dove l’occhio manca…
Nella scia degli odori, una pianta d’alloro
approda. Appena giunta,
c’è un pavone che sale, di gradino in gradino
fino all’estrema punta:
a un ramoscello piega il collo, a un altro: di bacche
ogni rametto è pieno:
una ne mangia, un’altra ne dispicca e la getta
rapido, sul terreno…
Magata, inconsapevole, lei solleva, nell’ombra,
il grembo ricamato:
presto s’appesantisce di bacche ricciolute
se lo vede colmato.
Dal travaglio dell’alba trovò breve riposo
in rugiadoso nimbo.
E le amiche, d’intorno al suo letto aspettavano
di raccogliere il bimbo![4]
© Paola Deplano
[1] Cfr. la voce Atene (di Mario Vitti), in Enciclopedia Dantesca (1970), versione on-line, consultata il 22/02/2021.
[2] Cfr. G. Boccaccio, Trattatello in laude di Dante, a cura di Luigi Sasso, Garzanti, Milano 2007, p. 13 n.
[3] Ivi, p. 12.
[4] A. Sikelianòs, La madre di Dante, in «Poesia», XVIII, n. 200, Dicembre 2005, pp. 118-119.