«Una strana amicizia, i libri hanno una strana amicizia l’uno per l’altro. Se li chiudiamo nella mente di una persona bene educata (un critico è soltanto questo), lì al chiuso, al caldo, serrati, provano un’allegria, una felicità come noi, esseri umani, non abbiamo mai conosciuto. Scoprono di assomigliarsi l’un l’altro. E ognuno di loro lancia frecce, bagliori di gioia verso gli altri libri che sembrano (e sono e non sono) simili. Così la mente che li raccoglie è gremita di lampi, di analogie, di rapporti, di corti circuiti, che finiscono per traboccare. La buona critica letteraria non è altro che questo: la scoperta della gioia dei libri che si assomigliano».
Mario Praz

Contrasto
«Becchin’ amor!» «Che vuo’, falso tradito?»
«Che mmi perdoni». «[Tu] non ne se’ degno».
«Merzé, per Deo!» «Tu vien’ molto gecchito».
«E verrò sempre». «Che saràmi pegno?»
«La buona fé». «Tu nne se’ mal fornito».
«No inver’ di te». «Non calmar, ch’i’ ne vegno».
«In che fallai?» «Tu ssa’ ch’i’ l’abbo udito».
«Dimmel’, amor». «Va’, che tti veng’ un segno!»
«Vuo’ pur ch’i’ muoia?» «Anzi mi par mill’anni».
«Tu non di’ bene». «Tu m’insegnerai».
«Ed i’ morrò». «Omè, che ttu m’inganni!»
«Die te’l perdoni». «E cché, non te ne vai?»
«Or potess’io!» «Tegnoti per li panni?»
«Tu tieni ’l cuore». «E terrò co’ tuo’ guai».
da Sonetti di Cecco Angiolieri
Dualismo
Son luce ed ombra; angelica
farfalla o verme immondo,
sono un caduto chèrubo
dannato a errar sul mondo,
o un demone che sale,
affaticando l’ale,
verso un lontano ciel.
Ecco perché nell’intime
cogitazioni io sento
la bestemmia dell’angelo
che irride al suo tormento,
o l’umile orazione
dell’esule dimòne
che riede a Dio, fedel. […]
Ecco perché m’affascina
l’ebbrezza di due canti,
ecco perché mi lacera
l’angoscia di due pianti,
ecco perché il sorriso
che mi contorce il viso
o che m’allarga il cuor.
Ecco perché la torbida
ridda de’ miei pensieri,
or mansüeti e rosei.
or violenti e neri;
ecco perché, con tetro
tedio, avvicendo il metro
de’ carmi animator.
O creature fragili
dal genio onnipossente!
Forse noi siam l’homunculus
d’un chimico demente,
forse di fango e foco
per ozïoso gioco
un buio Iddio ci fé
E ci scagliò sull’umida
gleba che c’incatena,
poi dal suo ciel guatandoci
rise alla pazza scena,
e un dì a distrar la noia
della sua lunga gioia
ci schiaccerà col pie’.
E noi viviam, famelici
di fede o d’altri inganni,
rigirando il rosario
monotono degli anni,
dove ogni gemma brilla
di pianto, acerba stilla
fatta d’acerbo duol.
Talor, se sono il dèmone
redento che s’indìa,
sento dall’alma effondersi
una speranza pia
e sul mio buio viso
del gaio paradiso
mi fulgureggia il sol. […]
E sogno un’Arte eterea
che forse in cielo ha norma,
franca dai rudi vincoli
del metro e della forma,
piena dell’Ideale
che mi fa batter l’ale
e che seguir non so.
Ma poi, se avvien che l’angelo
fiaccato si ridesti,
i santi sogni fuggono
impäuriti e mesti;
allor, davanti al raggio
del mutato miraggio,
quasi rapito, sto.
E sogno allor la magica
Circe col suo corteo
d’alci e di pardi, attoniti
nel loro incanto reo.
E il cielo, altezza impervia
derido e di protervia
mi pasco e di velen.
E sogno un’Arte reproba
che smaga il mio pensiero
dietro le basse imagini
d’un ver che mente al Vero
e in aspro carme immerso
sulle mie labbra il verso
bestemmïando vien.
Questa è la vita! l’ebete
vita che c’innamora.
Lenta che pare un secolo,
breve che pare un’ora;
Un agitarsi alterno
fra paradiso e inferno
che non s’accheta più!
Come istrïon, su cupida
plebe di rischio ingorda,
fa pompa d’equilibrio
sovra una tesa corda,
tale è l’uman, librato
fra un sogno di peccato
e un sogno di virtù.
da Libro dei versi di Arrigo Boito
Lui e io
Lui ha sempre caldo; io sempre freddo. D’estate, quando è veramente caldo, non fa che lamentarsi del gran caldo che ha. Si sdegna se vede che m’infilo, la sera, un golf.
Lui sa parlare bene alcune lingue; io non ne parlo bene nessuna. Lui riesce a parlare, in qualche suo modo, anche le lingue che non sa.
Lui ha un grande senso dell’orientamento; io nessuno. Nelle città straniere, dopo un giorno, lui si muove leggero come una farfalla. Io mi sperdo nella mia propria città; devo chiedere indicazioni per ritornare alla mia propria casa. Lui odia chiedere indicazioni; quando andiamo per città sconosciute, in automobile, non vuole che chiediamo indicazioni e mi ordina di guardare la pianta topografica. Io non so guardare le piante topografiche, m’imbroglio su quei cerchiolini rossi, e si arrabbia.
Lui ama il teatro, la pittura, e la musica: soprattutto la musica. Io non capisco niente di musica, m’importa molto poco della pittura, e m’annoio a teatro. Amo e capisco una cosa sola al mondo, ed è la poesia.
Lui ama i musei, e io ci vado con sforzo, con uno spiacevole senso di dovere e fatica. Lui ama le biblioteche, e io le odio.
Lui ama i viaggi, la città straniere e sconosciute, i ristoranti. Io resterei sempre a casa, non mi muoverei mai.
Lo seguo, tuttavia, in molti viaggi. Lo seguo nei musei, nelle chiese, all’opera. Lo seguo anche ai concerti, e mi addormento.
Siccome conosce dei direttori d’orchestra, dei cantanti, gli piace andare, dopo lo spettacolo, a congratularsi con loro. Lo seguo per i lunghi corridoi che portano ai camerini dei cantanti, lo ascolto parlare con persone vestite da cardinali e da re.
Non è timido; e io sono timida. Qualche volta, però, l’ho visto timido. Coi poliziotti, quando s’avvicinano alla nostra macchina armati di taccuino e matita. Con quelli diventa timido, sentendosi in torto. E anche non sentendosi in torto. Credo che nutra rispetto per l’autorità costituita. Io, l’autorità costituita, la temo, e lui no. Lui ne ha rispetto. È diverso. Io, se vedo un poliziotto avvicinarsi per darci la multa, penso subito che vorrà portarmi in prigione. Lui, alla prigione, non pensa; ma diventa, per rispetto, timido e gentile.
Per questo, per il suo rispetto verso l’autorità costituita, ci siamo, al tempo del processo Montesi, litigati fino al delirio.
da Lui e io in Le piccole virtù di Natalia Ginzburg