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Il demone dell’analogia #11: Capelli

«Una strana amicizia, i libri hanno una strana amicizia l’uno per l’altro. Se li chiudiamo nella mente di una persona bene educata (un critico è soltanto questo), lì al chiuso, al caldo, serrati, provano un’allegria, una felicità come noi, esseri umani, non abbiamo mai conosciuto. Scoprono di assomigliarsi l’un l’altro. E ognuno di loro lancia frecce, bagliori di gioia verso gli altri libri che sembrano (e sono e non sono) simili. Così la mente che li raccoglie è gremita di lampi, di analogie, di rapporti, di corti circuiti, che finiscono per traboccare. La buona critica letteraria non è altro che questo: la scoperta della gioia dei libri che si assomigliano».
Mario Praz

Capelli

 

Quel nostro incontro a quattro gambe, quasi canino, lo aveva rallegrato: magari avesse piovuto tutti i giorni così! Ma quello era un giorno speciale: la pioggia era venuta per lui, perché quello era il suo compleanno: venticinque anni. Ora, il caso voleva che quel giorno compissi venticinque anni anch’io: eravamo gemelli. Il Tischler disse che era una data da festeggiare, perché difficilmente avremmo festeggiato il compleanno successivo. Trasse di tasca mezza mela, ne tagliò una fetta e me la donò, e fu quella, in un anno di prigionia, l’unica volta che gustai un frutto.
Masticammo in silenzio, attenti al prezioso sapore acidulo come ad una sinfonia. Nel tubo di fronte al nostro, frattanto, si era rifugiata una donna: giovane, infagottata in panni neri, forse un’ucraina della Todt. Aveva un viso grosso e largo, lucido di pioggia, ci guardava e rideva; si grattava con indolenza provocatoria sotto la giubba, poi si sciolse i capelli, si pettinò con tutta calma e cominciò a rifarsi le trecce. A quel tempo capitava di rado di vedere una donna da vicino, ed era un’esperienza dolce e feroce, da cui si usciva affranti.
Il Tischler si accorse che la stavo guardando, e mi chiese se ero sposato. No, non lo ero; lui mi fissò con severità burlesca, essere celibi alla nostra età è peccato. Tuttavia si voltò e rimase per un pezzo a contemplare la ragazza anche lui. Aveva finito di farsi le trecce, si era accovacciata nel suo tubo e canterellava dondolando il capo.
– È Lilìt – mi disse il Tischler ad un tratto.
– La conosci? Si chiama così? –
– Non la conosco, ma la riconosco. È lei Lilìt, la prima moglie di Adamo. Non la sai, la storia di Lilìt? –

da Lilìt e altri racconti di Primo Levi

 

IL SOGNO CATTIVO

Se guardo questo pettine sottile
di tartaruga e d’oro, che affigura
opera egregia di cesellatura
un germoglio di vischio in novo stile,

risogno un sogno atroce. Dal monile
divampa quella gran capellatura
vostra, fiammante nella massa oscura.
E pur non vedo il volto giovenile.

Solo vedo che il pettine produce
sempre capelli biondo-bruni e scorgo
un cielo fatto delle loro trame:

un cielo senza vento e senza luce!
E poi un mare… e poi cado in un gorgo
tutto di bande di color di rame.

da La via del rifugio di Guido Gozzano

 

LA CHEVELURE

Ô toison, moutonnant jusque sur l’encolure!
Ô boucles ! Ô parfum chargé de nonchaloir!
Extase ! Pour peupler ce soir l’alcôve obscure
Des souvenirs dormant dans cette chevelure,
Je la veux agiter dans l’air comme un mouchoir!

La langoureuse Asie et la brûlante Afrique,
Tout un monde lointain, absent, presque défunt,
Vit dans tes profondeurs, forêt aromatique!
Comme d’autres esprits voguent sur la musique,
Le mien, ô mon amour ! nage sur ton parfum.

J’irai là-bas où l’arbre et l’homme, pleins de sève,
Se pâment longuement sous l’ardeur des climats;
Fortes tresses, soyez la houle qui m’enlève!
Tu contiens, mer d’ébène, un éblouissant rêve
De voiles, de rameurs, de flammes et de mâts:

Un port retentissant où mon âme peut boire
A grands flots le parfum, le son et la couleur;
Où les vaisseaux, glissant dans l’or et dans la moire,
Ouvrent leurs vastes bras pour embrasser la gloire
D’un ciel pur où frémit l’éternelle chaleur.

Je plongerai ma tête amoureuse d’ivresse
Dans ce noir océan où l’autre est enfermé;
Et mon esprit subtil que le roulis caresse
Saura vous retrouver, ô féconde paresse,
Infinis bercements du loisir embaumé!

Cheveux bleus, pavillon de ténèbres tendues,
Vous me rendez l’azur du ciel immense et rond;
Sur les bords duvetés de vos mèches tordues
Je m’enivre ardemment des senteurs confondues
De l’huile de coco, du musc et du goudron.

Longtemps! toujours ! ma main dans ta crinière lourde
Sèmera le rubis, la perle et le saphir,
Afin qu’à mon désir tu ne sois jamais sourde!
N’es-tu pas l’oasis où je rêve, et la gourde
Où je hume à longs traits le vin du souvenir?

LA CAPIGLIATURA

O chioma ondosa in boccoli fin sulla spalla pura,
balsamo intriso d’estasi e di pigro diletto!
Per destare stasera entro l’alcova oscura
i ricordi che affollano questa capigliatura,
voglio nell’aria scuoterla al par d’un fazzoletto!

Tutto un assente mondo, remoto, quasi spento,
il sonnacchioso Tropico e il torrido Equatore
vive nel tuo profondo, o foresta d’unguento,
e come sulla musica taluna anima al vento
alza le vele, io navigo sul tuo profumo, amore!

Laggiù, dove la linfa gonfia uomini e piante,
che sotto un cielo ardente anelano al piacere,
oh, come un’onda, portami laggiù, treccia pesante!
Mare d’ebano, un sogno tu celi, abbarbagliante,
di rematori e d’alberi, di vele e di bandiere:

un porto risonante, sul cui nolo assaporo
a lunghi sorsi gli echi, i colori, i profumi;
scivolano vascelli in un tremulo oro,
e le braccia disserrano al glorioso tesoro
d’un etere ove il sole versa eterno i suoi fiumi.

Affonderò il mio capo, dall’ebrezza rapito,
in questo nero oceano ove l’altro è rinchiuso,
e il mio sottile spirito, sopra i flutti blandito,
vi saprà ritrovare, onde d’ozio infinito,
feconde ore d’inerzia nel torpore diffuso!

Vello turchino, tenda di tenebre profonde,
tu mi ridai l’azzurro dei grandi firmamenti;
delle tue ciocche intorte sulle morbide sponde
ebbro un’aria io respiro che in un solo confonde
di cocco e muschio e pepe gli aromi differenti.

A lungo! Sempre! O donna, sui tuoi densi capelli
perché tu corra docile ai miei bramosi appelli
seminerò la perla, lo zaffiro e il rubino.
Non sei tu forse l’oasi dei sogni miei più belli,
la fiasca ove il passato tracanno come un vino?

da I fiori del male di Charles Baudelaire (trad. di Gesualdo Bufalino)

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