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Savina Dolores Massa, “Lampadari a gocce”. Nota di lettura di Maria Allo

Savina Dolores Massa, Lampadari a gocce
Il Maestrale editore 2020      

E appena dico
è reale,
svanisce.
Così è più reale?
(Octavio Paz)

Savina Dolores Massa, affabulatrice ricca d’inventiva, ha la capacità di operare una sorta di corto circuito nell’interiorizzare fantasticamente i personaggi di questo romanzo che sconfina di continuo dal piano della rappresentazione verosimile a quello dell’invenzione fantastica, sorretta da un preciso e lucido vigore intellettuale. Da ciò un pathos che è al tempo stesso denso e controllatissimo. Libera dai vincoli di obbedienza alle principali correnti letterarie, l’autrice non sembra assillata dall’ossequio alla realtà, ma trova il modo di parlare del proprio tempo attraverso la realtà in un microcosmo chiuso che si trasforma in una vasta metafora dell’esistenza. Potremmo dire che all’autrice non interessa la realtà come fine bensì come mezzo per tentare di cogliere l’interiorità dei personaggi. In questa prospettiva la prosa diventa poetica, mentre la poesia si fa prosastica, perché quello che conta realmente nella comunicazione letteraria non è l’oggetto narrativo: sono le sue implicazioni morali e sentimentali. Il linguaggio metaforico di Savina punta non tanto a descrivere le cose o a rappresentarle realisticamente, bensì a creare intorno a esse un alone d’indeterminatezza, una risonanza di pensiero che suggerisca significati nascosti oltre la realtà o racchiusi nelle sue insondabili profondità.
Incentrato sul tema del viaggio (fra Veracruz, Gibilterra e tanto mare, con brevi puntate su Napoli, sull’odiata Amsterdam, su Livorno e altrove) e dell’artista in crisi d’identità (uno dei temi più ricorrenti della letteratura novecentesca) che diverrà l’uomo senza più identità “mi chiamano Notturno, poteva andarmi peggio”: il marinaio pittore solo di acquarelli neri, fogli d’insonnia dove ogni altro marinaio legge ciò che vuole. La crisi d’identità dell’io percorre trasversalmente la produzione letteraria della maggior parte degli scrittori europei del nostro secolo; si tratta non di malattia della coscienza, ma di una condizione che identifica l’uomo contemporaneo come alienato da sé e dal mondo, avendo egli perduto ogni punto di riferimento esistenziale. Tutti i personaggi di questo romanzo hanno vissuto o stanno vivendo il tempo della memoria e della coscienza; eppure è come se nelle loro clessidre si fosse alzato un tempo anfibio a chiedere i conti e così il tempo si fa e poi si disfa all’interno di una determinata situazione, grazie a un complesso miscuglio di sentimenti e di circostanze che formano la trama stessa del romanzo.

L’autrice fa ricorso alla narrazione in prima persona di Notturno a raccontare questa storia che tocca tanti porti del mondo dove venti uomini d’equipaggio che prediligono il mare, «anime cucite e ricucite da aghi senza sosta» per i quali «il mal di mare è anche una specie di mal d’amore spietato: potere o resa fa scarsa differenza», hanno tutti un conto in sospeso con una donna: moglie, madre, amante, prostituta di passaggio, illusione. In rotta, ormeggiata nel porto di Gibilterra e dimora del suo equipaggio, Casta Diva, nave da trasporto, simboleggia la vita intesa come un “cammino” o un “pellegrinaggio”, la morte come un “trapasso”, i momenti decisivi della vita in società come riti di “passaggio”. E poi, viaggiare sì, ma verso dove? C’è una meta o un limite al viaggiare? Il percorso può svolgersi infatti in senso rettilineo, verso una terra promessa, oppure avvolgersi su di sé smarrendosi nella spirale. Un’immagine saliente del vagabondare è data da Notturno, colui che “abita” il proprio vagabondaggio. Tra dubbi e ricordi dolorosi egli si accorge di aver vissuto come un soldato nell’adempimento di un dovere astratto senza mai riuscire a essere sé stesso. Si può cambiare improvvisamente vita e ricominciare daccapo? Solidamente installato nel proprio andare, Notturno e i suoi compagni sono ebrei erranti, figure inquiete che vivono in una permanente condizione di esodo, protesi verso un girovagare senza meta come il viaggio di Arthur Rimbaud, che sta alle sorgenti stesse della contemporaneità con il suo Battello ebbro che mette in scena il viaggio totalmente “aperto”, il labirintico errare dell’uomo. L’autrice con la sua straordinaria umanità sonda il fondo oscuro dell’abisso ove si celano i segreti dell’uomo e del mondo ma assurge al ruolo di autentica protagonista della storia con la messicana Izta,  «una piccola donna di zucchero filato […] spaventosamente popolata» voleva Izta il «germoglio di grano macchiato di papaveri: la vita che nasce sanguinando» e ancora «gli occhi della donna erano ancora ricoperti dalla cenere di un vulcano spento da secoli», che conferisce alla narrazione una vitalità prorompente, brulicante di suoni, voci, gesti, colori, un potenziale esplosivo del romanzo trattenuto però da una prosa limpida e al tempo stesso analitica, che scava nelle pieghe dell’animo umano senza pedanteria né virtuosismi retorici. Un universo seducente e avvincente il cui fascino è destinato a durare, un romanzo da leggere e degno di una trasposizione cinematografica.

© Maria Allo

 


Nata a Oristano, cresciuta nel mezzo di correnti di una narrativa orale ricchissima, avida e “disordinata“ lettrice, giunge alla forma romanzo nel 2008 con Undici, opera prima che raggiunge la finale del premio Calvino, Savina Dolores Massa per la sua scrittura viene spesso associata al cosiddetto realismo magico sudamericano. Con la casa editrice nuorese Il Maestrale ha poi pubblicato negli anni i romanzi: Mia figlia follia (2010), Ogni madre (2012), Cenere calda a mezzanotte (2013), Il carro di Tespi (2016), A un garofano fuggito fu dato il mio nome (2019) e ultimo Lampadari a gocce da pochi giorni. Risale al 2017 la pubblicazione della raccolta di poesie, sempre con il Maestrale, Per assassinarvi e piacere siamo spettri.

5 risposte a “Savina Dolores Massa, “Lampadari a gocce”. Nota di lettura di Maria Allo”

  1. Buongiorno a tutti. Cara Maria, oltre al battello ebbro e all’ebreo errante mi viene in mente l’Olandese Volante (perdona l’orribile rima involontaria). Che ne pensi di quest’altro piccolo collegamento? Interessante la tua riflessione su questo libro, da isolana hai colto subito le intenzioni dell’altra isolana, l’autrice del romanzo. Un caro saluto a te e a tutti.

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    • Grazie Paola, per le tue considerazioni. Sì, certamente anche l’Olandese Volante, ispirato a uno scritto di Heine, è incentrato sul tema del viaggio, interessante anche il film. Il saper tessere insieme i diversi saperi e i diversi codici in una visione plurima è la grande sfida per la letteratura che si accompagna a un intenso lavoro di ricerca con visioni e toni che spesso si saldano trasversalmente e raggiungono in alcuni casi esiti di artisticità assoluta.

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