CRONACHE CITTADINE
(UNA VISIONE)
o l’abbozzo di un poema impossibile
Scena: Cupola della Basilica di San Marco
IV. (inizio della visione)
La ballata degli angeli ritorna:
nei girotondi di corti dorate
bocche incantate accordano lamenti
e tessono sudari ai redentori.
Non resta che disfare le trame
ritornare alla linea di partenza
dove è rimasta una parola, un’orma
evaporata nei rimandi del tempo.
V.
La scena dell’Apocalisse dice:
dal tuo grembo, madre, partorirai un re,
e ai piedi giungeranno sette teste
alate a divorarti il pube e il figlio.
Per mille duecento sessanta giorni
vagherai al suono di una triste voce;
visioni di serafini eccitati
chiederanno il perdono dei peccati.
Scena: Piazza San Marco
IX.
Usciva. Si ritrovò ubriaco tra la folla,
intontito da quel sogno profondo.
Barcollava verso il molo,
poi spariva in una macchia indistinta.
Le stanche navi di un altro pianeta
suonavano i confini dei secondi,
e da quel sogno andato, una parola,
un addio, trascinavano le maree.
MEMORIALE DEL FIUME
(ERINNERUNG)
I.
M’appare una memoria-discarica ammassata al fondo:
so che dovrò strapparti via come un’ortica del cuore
Per l’ultima volta mi vedo nel sueggiù da un altro mondo,
avvolto in una giacca che sa di crisalide scura,
mi guardo nel volto di bestia che chiede aiuto
…………………………………….(gli dico: non so, resta qui)
eccomi allora biglia che rotola e rimbalza
m’indico e ti dico io qui m’abbandono girare
sui gradini d’una chiesa a picco sul mare,
tu che da anni non parli e io che ti dico
ma noi qui tutto già travalicammo.
IV.
Alzavamo lo sguardo su quel sole sempre alto sulle mura:
la luce che bruciava la terra tracciava gli antichi lineamenti,
e il volto rugoso della Storia sedeva dormendo sull’alta palma.
Perché allora indicarti nelle increspature le rotte della pietra,
le diramazioni dei secoli che le dita seguivano incredule,
le dita che scatenavano su noi l’aggrovigliarsi polveroso
dei giorni, un franare del tempo nella sua pioggia sottile.
Ce ne andavamo al tramonto con il sole conficcato sulla spalla
e un’anima scheggiata disperdevamo tra i vicoli.
DETRITI
I.
Riemerge un tassello sconnesso
che dimenticato ha percorso le piste fluviali
un punto che da niente ha raccolto i detriti
di detti, facce, occhi annegati
e cerca il suo spazio nello stretto della clessidra,
la grande clessidra della memoria
che un giorno capovolgeremo.
IX.
Infine noi che abbiamo attraversato l’immensa pianura
della memoria ci siamo riscoperti vascelli in viaggio
sul filo dell’acqua.
E quanto m’è costato abbandonare le rive del volto,
varcare le coste e le cunette dei fianchi in rovina,
affondare nel fondale spigoloso delle cose dimenticate,
e mai nulla trovare, ma sterpi naufraghi tra le dita
del non ritorno, uno strano torpore dell’acqua
che sospinge il passo nuovo, e mai nulla trovare.
X. (FÓCE)
Così accade in uno dei tanti giorni
un tale comincia ad articolare
e disfa le trame, le cose
e dalle luci si ricompone
un volto che lo filano i fumi
e suoni e ponti, città circumnavigate
come una peste dovuta,
e dall’alto si vide nel nulla-corpicino,
un punto di costellazione che si sfuma.
Rimparare vorrebbe la voce
a vibrare nelle feste dell’amore
ma qui tutto si chiama e si distrugge.